martedì 16 giugno 2020

La clessidra



Piove, piove e ancora piove. Sembra di essere a Macondo. Qui un po’ Macondo l’è sempre, anche quando non piove. Non c’è l’azzurro terso di Roma, il ponentino che ti accarezza nei giorni di afa. L’aria è cattiva e ammala, tuttavia molta gente si accompagna bene con questo clima. In genere sono persone molto riservate.

Ho viaggiato nello stesso treno ogni giorno per decenni con delle persone che non ho mai saputo chi fossero. Salivano, sedevano perlopiù nei loro soliti posti, presi nei loro pensieri, a volte con un libro, le cuffiette ficcate nelle orecchie. Ci si scambiava un cenno di saluto, nulla di più. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, restavano anonimi e silenziosi. Fosse dipeso da questi viaggiatori, fosse stato quel treno l’Orient Express, Hercule Poirot non avrebbe cavato un ragno dal buco dai loro interrogatori.

Per fortuna non tutti i viaggiatori erano così. Alcuni, più alla buona, avevano un temperamento diverso, cercavano il dialogo, la complicità nella battuta. Avevamo formato un gruppetto ben assortito di donne e maschietti, ciarliero e solitamente allegro specie nel tragitto del ritorno. Ad ogni stazione intermedia avevamo dato un nome nuovo, che la qualificava umoristicamente. Piccole stanzioncine, dove il personale ferroviario si prendeva cura di bellissime aiuole e a natale addobbava un abete. In una di queste faceva il presepe all’aperto. Capitava che il capostazione facesse segno al capotreno di aspettare, che un viaggiatore ritardatario stava per arrivare.

Una volta, ricordo, dedicammo una settimana alle ipotesi più fantastiche sul perché nelle coltivazioni di sorgo, che ci scorrevano sotto gli occhi, le piante rimanessero assai più piccole ai bordi dei campi. Tutte ipotesi molto scientifiche s’intende, quanto le nostre risate. Era un modo di passare il tempo del viaggio in serenità, tuttavia a volte gli argomenti erano anche più seri, ma quasi mai si toccava la politica o lo sport.

Non mancavano occasioni che si festeggiasse un compleanno, oppure il carnevale (con le frittelle), gli auguri di natale, l’agognata pensione di qualcuno che ci lasciava. Ognuno portava qualcosa. Alla sobria festicciola partecipava anche il personale viaggiante, sempre lo stesso in quella tratta da molti anni. Un mondo che non c’è più.

Non ci resta che la nostra clessidra, la stessa di un librino di Mann (*). La sabbia scorre attraverso un forellino così sottile che all’inizio sembra che il livello della parte superiore non debba cambiare mai; cominciamo ad accorgerci che la sabbia scorre via solo verso la fine, ma prima d’allora ci vuole tanto che non vale la pena di pensarci. Poi, all’ultimo momento, quando non c’è più tempo, ci si accorge che è troppo tardi per pensarci.

(*) Similmente in: La morte a Venezia, Einaudi, Nuovi Coralli, 1971, p. 88 (oppure qui).

1 commento:

  1. Cara Olympe,
    grazie a te ho scoperto il sorgo.
    Dalle mie parti non ricordo di aver mai visto delle coltivazioni,forse perché distratto.
    Di Thomas Mann ho letto solo "La montagna incantata" tanto tempo fa.(Ricordo di quanto mi riuscisse antipatico il Settembrini)
    Di viaggi su mezzi pubblici,ho brutti ricordi.
    Tratte di non più di 40 Km ,in autobus.
    Veri e propri ,carri bestiame,dovetti rinunciare mi massacrava più il viaggio che non il lavoro.
    In merito alla clessidra,vale per me il "sorgo",non si finisce mai di imparare.

    caino

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