martedì 5 maggio 2020

L’aspetto principale: la produzione


Mi spiace essere completamente d'accordo con Chiaberge.
Purtroppo in circolazione vedo troppi idioti senza mascherina.
Speriamo bene.

Propedeutica marxiana in epoca di crisi pandemica.

Si sbaglia chi dovesse credere che, poiché il dollaro è la principale valuta globale, le autorità finanziarie e il governo degli Stati Uniti d’America possano continuare a espandere indefinitamente l’offerta di moneta in modo esente dalle leggi che operano nel resto dell’economia globale.

Aggiungere trilioni di dollari creati digitalmente alla montagna già esistente di capitale fittizio ha in sé i semi in rapida germinazione di una crisi economica e finanziaria che va ben oltre qualsiasi cosa vissuta finora. Se non nel breve periodo, in quello medio.

Ciò che vale per il dollaro, vale per qualsiasi altra moneta (e anche di più).



Il circuito del capitale nella sua forma più semplice è denaro-merce-denaro (D-M-D). Condizione essenziale della produzione capitalista (e sua forza trainante) è la disponibilità di denaro (capitale) per l’acquisto di merci (compresa la merce forza-lavoro), non per consumarle ma per uso produttivo.

La formula che rappresenta la produzione capitalistica: D è il denaro iniziale che si trasforma in capitale mediante l’acquisto di macchine, materie prime e forza-lavoro (cioè: M), che vengono trasformati in nuovi prodotti, venduti i quali si ottiene un capitale D’ maggiore di quello iniziale, in quanto contiene in più il plusvalore prodotto dalla forza lavoro.

Tutte le scuole economiche borghesi, al fine di non imbattersi nella dinamica che sta alla base dello sfruttamento della forza-lavoro, e cioè della produzione di plusvalore (che concettualmente è tutt’altra cosa rispetto al “valore aggiunto”), e delle conseguenze pericolose per l’ordine sociale esistente che ciò comporta, evitano qualsiasi analisi del processo di produzione (se non in forme ideologicamente stereotipate), limitandosi unicamente a quella dei fenomeni di mercato.

La tendenza a considerare solo il valore di scambio, riduce l’economia borghese all’analisi delle relazioni tra i prezzi, così come si sono date sul mercato. Procedendo dai prezzi, invece che dai valori, non si è in grado di andare oltre la superficiale apparenza delle merci e si finisce col cadere vittime del feticismo di esse (*).

Tutte queste teorie, nella misura in cui osservano il capitalismo solo o prevalentemente dal punto di vista della circolazione, mirano a dimostrare che la contraddizione fondamentale del modo di produzione capitalistico non consiste nello sfruttamento della forza-lavoro, bensì in un’ingiusta ripartizione della ricchezza prodotta. Sarebbe sufficiente un’equa distribuzione dei redditi – e quindi una riforma o una serie di riforme – per eliminare o mitigare fortemente “l’ingiustizia della società”.

È questa una concezione del socialismo più simile a quella di Proudhon, che non a quella di Marx.

Ad ogni modo, per farla breve, noi vediamo come nei momenti di crisi del sistema economico capitalistico emerga chiaramente il rapporto che lega inscindibilmente produzione e circolazione, e come questi due momenti del processo economico siano unità di opposti, laddove è la produzione a rappresentare l’aspetto principale (**).

(*) La domanda chiave è: da dove proviene questo plusvalore (o anche valore aggiuntivo, se la locuzione non fosse, per altri motivi, assai fuorviante)? Karl Marx ha risolto il problema che aveva tormentato i suoi predecessori classici nella sfera dell’economia politica (in particolare Adam Smith e David Ricardo, dopo di che la questione, assai pericolosa in termini sociali, è stata lasciata cadere pervenendo all’apologetica più volgare). Com’è possibile in una società di mercato, in cui le merci sono scambiate come equivalenti, si accumuli un surplus nelle mani della classe capitalista?

Marx fece notare che, contrariamente alla concezione precedente, il lavoratore non vendeva il proprio lavoro al capitalista, ma la capacità di lavorare, la propria forza-lavoro.

Il valore di questa merce (forza-lavoro) era determinato dal valore delle merci necessarie per sostenere il lavoratore e la sua famiglia, riproducendo così la prossima generazione di lavoratori salariati. Per merci necessarie si devono intendere quelle reputate tali alla riproduzione della classe lavoratrice in una data epoca e dunque in un dato contesto economico-sociale.

Avendo acquistato la forza-lavoro, il capitalista aveva quindi il diritto di consumarla e, come ogni altro acquirente di una merce, di godere i frutti di quel consumo. Il consumo della forza-lavoro delle merci ha luogo nel processo produttivo, nel quale il lavoratore crea più valore di quanto sia incorporato nelle merci corrispondenti al salario.

Il valore del salario corrisponde al valore della forza-lavoro, poniamo quattro ore di lavoro (oggi molte meno), ma il lavoratore ne lavorava per 8, 10 o 12 di ore, ed è questo pluslavoro, questo lavoro non pagato all’operaio, all’origine del plusvalore.

La forza-lavoro è una merce peculiare, poiché il suo consumo è la fonte di un valore extra, un surplus, un plusvalore. Questo processo di estorsione di valore non avviene in violazione delle leggi di scambio, ma in accordo con esse!

(**) Sarebbe il caso di mettersi in testa che a pagare le maggiori conseguenze della crisi, dello stop della produzione e del commercio, sono sempre le classi più deboli. Pertanto far passare come un favore ai padroni la ripresa della produzione in questo momento, è un modo semplicistico d’approcciare la questione. La questione del rapporto tra lavoro e capitale va affrontata in modi e sedi diverse.

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