lunedì 6 aprile 2020

« la medesima parola per Dio e per porco »



Maria Pansa, nata Gigli-Cervi, famiglia parmigiana, nel 1884 a 17 anni andò in sposa ad Alberto Pansa, diplomatico di carriera. Tra gli ultimi lustri del XIX e i primi del XX, seguì il marito nelle sedi in cui prestò servizio: Costantinopoli, Budapest, Pechino, Berlino, Il Cairo.

Della sua non comune esperienza di vita all’estero lasciò un diario, da poco consultabile anche on-line. Si tratta di una riscrittura, come appare evidente dalla grafia uniforme nelle oltre 260 pagine e dal fatto che non vi sono correzioni e ripensamenti. Il tratto è largo e rapido, la prosa diretta, asciutta e scevra d’ironia, le virgole approssimative.

La contessa, poliglotta, descrive gli incontri e le amicizie con personaggi che hanno fatto la storia, non solo diplomatica, dell’epoca che precede il primo conflitto mondiale. Testimonianze e impressioni di prima mano, sull’arciduca Rodolfo, la sua amante, la diciassettenne Maria Vetsera, morti a Mayerling, quindi sull’imperatrice Elisabetta, la famosa Sissi, e altri innumerevoli incontri ravvicinati e strette amicizie con diplomatici che divennero poi noti come ministri e politici, ritratti nel loro ambiente costituito di ricevimenti, lusso e ricamo diplomatico. Ovviamente per Maria il punto di riferimento centrale della propria vita è rappresentato dalla comunità internazionale, dalle sue norme e dai suoi ritmi di vita. E tuttavia, non sfuggono al suo sguardo attento spaccati della realtà sociale dell’epoca.

Come quando racconta una saga di beneficienza in quel di Pest:

«Il ritrovo giornaliero elegante era la pasticceria Gerbouse Kugler alla Gisella Platz dove si trovavano dei dolci deliziosi (*). Nel 1888 fu organizzato dalle signore della società una grande festa vendita di beneficenza per gli inondati che durò tre giorni [**]. In un immenso locale nel giardino Stadt Welchen ogni patronessa aggiustò con mobili e tappeti il proprio banco in un salotto elegantissimo. Le ragazze e le signore giovani stavano a servire. Io ero nel gruppo Kellerine delle patronessa contessa Karoly per servire the, bevande e simili. La contessa aveva aggiustato quella pasticceria in modo delizioso; bergères Watteau erano i nostri costumi [le famose pseudo-pastorelle di Antoine W., pittore], con mobili e servizi dell’epoca. Si vendevano pure dei fiori. Rammento di aver ricevuto somme enormi per bicchieri d’acqua che si offrivano appoggiandovi prima le labbra. Così con i fiori; si girava con le ceste tenendo una rosa in bocca, quella rosa era pagata a prezzi altissimi. Quella vendita ebbe un successo enorme, grande incasso. Fu divertentissima, finita la vendita si cenava e si ballava».

Nel 1959, un anno prima della sua morte, la contessa consegnò un suo manoscritto allo storico Enrico Serra, il quale nel 1992 ne pubblicò una parte in un volumetto per la Franco Angeli, In viaggio con una ambasciatrice, corredandolo di molte e lunghe note esplicative che chiariscono diversi punti che altrimenti al comune lettore potrebbero risultare inesplicabili e oscuri (***). Non c'è nel volume la parte relativa al viaggio per raggiungere la Cina, che a mio parere è molto interessante e tra le più belle descrizioni, però c’è riprodotta una foto di Maria, in posa come in un dipinto di Boldini, esile e slanciata, consapevolmente graziosa, devotamente ammirata, con una arguzia cresciuta nella saggezza, come scrive Serra.

I ricordi dell’ambasciatrice iniziano con la descrizione, non riportata nel volume curato da Serra, della non piacevole traversata della coppia da Brindisi a Costantinopoli sul “Principe Amedeo”, e la quarantena a Salamina per la morte di un marinaio colpito da “febbre infettiva”. Tuttavia Costantinopoli dev’essere stata una vera meraviglia per come la descrive Maria Pansa, e posso confermare che tale è in parte rimasta anche ai nostri giorni.

Per quanto riguarda la Cina, Maria Pansa vede la parte finale della dinastia imperiale Qing (1644-1911), segnata profondamente dall’intreccio tra crisi interna (miseria, arretratezza, rivolte contadine e popolari della seconda metà del XIX secolo) e colonizzazione (“trattati ineguali” delle varie potenze a partire dal 1842).

Incontra quasi esclusivamente occidentali, come il noto Sir Robert Hart (1835-1911), potente Ispettore generale delle dogane cinesi che sovrintende al sistema di raccolta dei dazi doganali cinesi che gravano sull’importazione delle merci straniere e opera soprattutto per tutelare gli interessi britannici; Raffaele De Luca, uno dei non moltissimi italiani in loco, anch’egli alle dogane; i missionari che l’aiutano a meglio comprendere quel misterioso paese; i diplomatici stranieri i quali tutti ricordano la bellezza di Maria ma anche le sue grandi doti e capacità umane ed intellettuali, già segnalatesi nel corso di passate esperienze.

Di grande interesse, tra le altre cose, la descrizione di come Maria trovò la capitale dell’impero cinese nel 1889. Riporto alcuni stralci:

«Pechino, ci attendono portantine cavalli ed entriamo in città, se tale si può chiamare. È un accampamento sudicio e puzzolente, un lago di fango. La casa e in assai cattive condizioni.

A metà luglio comincia la stagione delle piogge che dura quaranta giorni. Allora comincia il disastro. Piove in tutte le stanze; non c’è tetto che resista; i cortili sono inondati. Per ripararci alla meglio organizziamo dei tetti di tela incerata su ogni letto. L’acqua così cade dai lati senza venirci addosso. Per le bambine invece dei lettini uso cassette poste sotto tavoli coperti d’incerate. L’umidità è terribile. Al mattino si trova una vegetazione di funghi su tutti gli oggetti di cuoio, come scarpe, valigie e simili.

Nel mesi estivi delle piogge sarebbe impossibile rimanere a Pechino; piove che tutte le case si riducono in pessimo stato e diventano inabitabili. Inoltre gli odori della città diventano mefitici non esistendo drenaggio di sorta; chi rimane rischia il tifo. Mai si beve acqua se non bollita o l’acqua minerale che viene dall’Europa e che una volta giunta in proporzione costa più del vino. […]  Superato il periodo delle piogge non piove più tutto l’anno. Il clima è asciutto al punto che quando in inverno nevica la neve si confonde con la polvere. Freddo intenso e quando soffia il vento si solleva una polvere gialla e puzzolente. Conviene allora rimanere tappati in casa. Questi terribili odori speciali di Pechino e dintorni sono prodotti da carogne di bestie e purtroppo da cadaveri umani. La miseria è grande e i poveri muoiono per strada e allora [sic]come nessuno vuole pensare a seppellirli, poiché ogni funerale è una spesa enorme, il cadavere viene ricoperto da una stuoia tenuta a posto con quattro pietre agli angoli. Il vento poi la porta via e il cadavere finisce di andare da sé in putrefazione e molto spesso si fanno di questi poco graditi incontri».

Vi sono descritte anche cose più amene per quanto riguarda il soggiorno in Cina. Per esempio, a proposito della lingua locale, scrive:

«[…] le due sorelle parlavano tra loro cinese tanto bene che i nostri interpreti venivano a farle parlare per sentire l’intonazione giusta delle parole cinesi. Una stessa parola con intonazione sbagliata significa una cosa assolutamente diversa E si possono dire delle cose orribili. Un missionario mi raccontava che c’era la medesima parola per Dio e per porco, ma naturalmente con diversa intonazione. Nei primi tempi i missionari non ancora pratici della lingua sbagliavano l’intonazione, e in cinese dicevano che si adorava un porco; ed è perciò che in molte vecchie pitture cinesi rappresentano un missionario in ginocchio davanti a un porco!».

Quest’ultimo brano a pagina 52-53 del manoscritto e a pagina 25 del volume. Buona lettura.

(*) Si tratta del Café Gerbeaud (questa la grafia esatta), fondato nel 1858 da Henrik Kugler. È una delle più famose pasticcerie d’Europa, trasferitasi in anni lontani nell’attuale piazza Vörösmarty. Attualmente chiusa per sopraggiunte difficoltà.

(**) Le inondazioni erano provocate dalla congestione di cumuli di ghiaccio che, formando delle vere e proprie dighe, non lasciavano fluire l’acqua. Le più disastrose inondazioni si ebbero nel 1838 (153 vittime), nel 1876 e in seguito nel 1956. La più recente, nonostante la realizzazione di barriere e opere idrauliche, è del 2013. Non ho notizie a proposito di quale inondazione fu organizzata la raccolta fondi descritta dalla contessa. Pest, dopo l’inondazione del 1775, fu protetta da lunghe barriere in pietra, mentre ciò non accadde per Buda e Óbuda, dove gli abitanti ricchi e benestanti abitavano nella parte più alta e non avevano interesse per spese che salvaguardassero la parte più bassa ed esposta. Nel 1872 vi fu l’unione delle città storiche di Buda e Óbuda, ubicate ad ovest del Danubio, con l’abitato di Pest, situato sulla riva opposta del fiume.

(***) La copia in mio possesso reca un autografo di Serra per un destinatario a noi ignoto al quale faceva giungere il libro in omaggio: «A te e gentile consorte, molti ringraziamenti per le belle e piacevoli “emozioni” e tanti cari auguri di Buon Natale e di un felicissimo 1995! Enrico e Jolanda Serra». La vicentina Jolanda Fincato, nel dopoguerra, divenne sua moglie. Maurizio Serra, diplomatico e membro dell’Académie française, è loro figlio. Non appena si sarà attenuata questa situazione tragica e farsesca mi riprometto di leggere il diario di E. S.: “Tempi duri”.

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