giovedì 30 gennaio 2020

Un comune destino


Il 30 gennaio 1933, com’è noto, il presidente della Repubblica di Weimar, conferì al signor Adolf Hitler, un bohémien apolide divenuto cittadino tedesco da meno di un anno (1), l’incarico di formare un nuovo governo, con esplicito divieto di presentarsi dinanzi a lui se non accompagnato da von Papen. Hindenburg sapeva bene che Hitler non era una meteora, ma un reale e costante pericolo; ne fa fede la sua lettera a Hitler stesso del 24 novembre 1932: nessun incarico per la formazione di un gabinetto Hitler con pieni poteri, poiché un "gabinetto del genere", guidato da Hitler, si trasformerebbe "inevitabilmente nella dittatura di un partito".

È pur vero che il grande capitale, almeno fino alla metà del 1932, quando la crisi economica divenne virulenta, restava piuttosto freddo e anzi perplesso di fronte a Hitler e alla sua retorica anticapitalista (vedi il discorso del 27 gennaio 1932 ai membri del Club degli industriali di Düsseldorf), ma è altrettanto vero che con la ripresa dell'inflazione, i milioni di disoccupati, artigiani e piccoli proprietari sul lastrico, aristocratici declassati e con le pezze al culo, avevano perso ogni fiducia, semmai molti di essi l’avessero avuta, nella Repubblica e nei partiti politici tradizionali (2).

Hitler da cancelliere ebbe un asso nella manica, si chiamava Hjalmar Schacht, suo estimatore da tempo. La geniale trovata dei buoni IOU, emessi per conto della misteriosa e anzi fittizia MefoGmbH, avrebbe meritato il Nobel per l’economia (3).

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Di Hitler s’è detto di tutto e ancora molto si dirà sul suo conto (anche per questo motivo non ho nessuna fretta di leggere il recente lavoro di Volker Ullrich), non di rado a sproposito. Ad ogni modo è stato indubbiamente il personaggio che ha segnato più di ogni altro la sua epoca. Un fanatico sicuramente, uno psicotico pervaso da un’acuta ipocondria, un arrogante che aveva come sottostante un complesso d’inferiorità, tuttavia molto lucido nei suoi propositi e obiettivi. Ne fa testo, tra i molti fatti che si possono citare a riguardo, il messaggio che all’inizio del conflitto mondiale inviò al suo alleato di Roma (4).

In tale messaggio, Hitler espone a Mussolini, tra l’altro, il convincimento che la lotta cui va incontro è per la vita o per la morte. Anche se presentemente seguono strade diverse, la Germania e l’Italia sono unite da un destino comune. Quale? Hitler apertis verbis sostiene che se la Germania nazionalsocialista fosse distrutta dalle democrazie occidentali, anche l’Italia fascista andrebbe incontro ad un grave avvenire, sottolineando di essere consapevole che anche Mussolini la pensa allo stesso modo! Immagino che Mussolini leggendo quelle parole si sia toccato nelle parti meridionali. E tuttavia stette al gioco e portò avanti il suo bluff fino all’ultimo. Hitler, invece, non bluffava.

IL CANCELLIERE DEL REICH, HITLER, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Messaggio trasmesso telegraficamente dal Ministro degli Affari Esteri del Reich all’Ambasciatore di Germania a Roma per l’immediata consegna a Mussolini (Berlino, 3 settembre 1939, ore 20,21, giunto all’Ambasciata tedesca alle ore 23, consegnato a Palazzo Chigi alle ore 24).

Vi ringrazio innanzi tutto per il Vostro ultimo tentativo di una mediazione. Sarei stato pronto ad accettare, tuttavia soltanto a condizione che si fosse potuta trovare la possibilità di darmi certe garanzie per uno svolgimento fruttuoso della conferenza. Infatti da due giorni le truppe tedesche operano in Polonia una avanzata che in alcuni punti è straordinariamente rapida. Sarebbe stato impossibile lasciare nuovamente svalorizzare con raggiri diplomatici i sacrifici di sangue fatti in tal modo. Tuttavia io credo che avrebbe potuto essere trovata una strada, se l’Inghilterra non fosse stata fin da principio decisa a condurre in ogni caso alla guerra. Io non ho indietreggiato dinanzi alla minaccia inglese, perché, Duce, non credo più che la pace avrebbe potuto essere conservata per più di sei mesi o, diciamo, un anno. In queste condizioni tuttavia ritenni che il momento attuale fosse malgrado tutto adatto per resistere. Attualmente la supremazia delle forze armate tedesche in Polonia è talmente enorme in tutti i campi tecnici che l’esercito polacco crollerà in brevissimo tempo. Io credo di dover dubitare che questo rapido successo avrebbe potuto essere ancora raggiunto in uno o due anni. L’Inghilterra e la Francia avrebbero comunque riarmato il loro alleato così che la decisiva superiorità tecnica delle forze armate tedesche non avrebbe più potuto essere così evidente. Sono conscio, Duce, che la lotta a cui vado incontro è una lotta per la vita o per la morte. In questo il mio proprio destino non conta nulla. Ma sono inoltre conscio che non si può a lungo evitare una simile lotta e che bisogna scegliere con fredda riflessione il momento della resistenza in modo che sia assicurata la probabilità del successo, e a questo successo, Duce, io credo con fermezza granitica. Voi, recentemente, mi avete amichevolmente assicurato che credete di potermi aiutare in qualche campo. Accolgo già in anticipo ciò con sentita riconoscenza. Ma credo inoltre che – anche se adesso marciamo per vie diverse – il nostro destino ci legherà tuttavia l’uno all’altro. Se la Germania nazionalsocialista fosse distrutta dalle democrazie occidentali, anche l'Italia fascista andrebbe incontro ad un grave avvenire. Io ero già consapevole personalmente di questa comunanza di destini e di avvenire dei nostri due regimi e so che Voi, Duce, pensate allo stesso modo. Circa la situazione in Polonia, desidero brevemente osservare che noi lasciamo naturalmente da parte tutto ciò che non ha importanza, non sacrifichiamo un solo uomo per i compiti secondari, ma ci lasciamo guidare in tutta la nostra azione soltanto da grandi compiti operativi. L’armata settentrionale polacca che si trova nel Corridoio è già, mediante questa nostra linea di azione, completamente accerchiata. Essa sarà annientata o si arrenderà. Quanto al resto, tutte le operazioni si svolgono conformemente ai piani. Il rendimento giornaliero delle truppe è superiore ad ogni aspettativa. La padronanza della nostra arma aerea, benché in Polonia se ne trovi appena un terzo, è esclusiva. Ad occidente manterrò  un atteggiamento difensivo. La Francia può qui per il momento sacrificare il suo sangue. Verrà il momento in cui anche colà faremo fronte all’avversario con tutte le forze della Nazione. Accogliete ancora una volta il mio ringraziamento, Duce, per tutti gli appoggi che mi avete dato in passato e che Vi prego di non volermi negare anche in avvenire (5).

(1) I. Kershaw, trad. it., p. 362.

(2) Singolare che Hitler definisse la borghesia nazionalista il "vero nemico della Germania", cit. da J. Fest, trad. it, p.414.

(3) A. Tooze, trad. it., pp. 82-83.

(4) Hitler non scrisse nulla di propria mano, salvo qualche cartolina. Dettava. Il suo dettato, così come i suoi estenuanti monologhi, era scevro d’ogni ricercatezza linguistica e stilistica, il suo periodare tediosamente piatto, ripetitivi i temi trattati, striati di divorante, maniacale ossessione antiebraica.

(5) Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplomatici italiani, Ottava Serie: 1935 - 1939, vol. XIII, Libreria dello Stato, Roma, 1953, pp. 386-87.

2 commenti:

  1. della lettera di Hitler mi colpisce la contraddizione tra il definire probabile il successo della "resistenza" contro lo schieramento avversario e, subito dopo, dichiararsi graniticamente sicuro di tale successo. Un esempio di pensiero magico in una personalità paranoica,senza dubbio. Ma non solo. Sono propenso a credere che Hitler abbia sempre pensato e agito come un politico, estremizzando ma non sostituendo le tendenze connaturate alla politica quale si presenta nelle democrazie rappresentative. Tranne rarissime eccezioni, infatti, che cosa fa un politico, di qualunque livello e colore, in una democrazia se non offrire certezze che lui stesso non ha e che non potrebbe avere ?

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  2. ''Un fanatico sicuramente, uno psicotico pervaso da un’acuta ipocondria, un arrogante che aveva come sottostante un complesso d’inferiorità, tuttavia molto lucido nei suoi propositi e obiettivi''
    la descrizione dei manager moderni che hanno affossato l'occidente

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