venerdì 23 agosto 2019

Perché non possiamo non dirci materialisti


Come si fa a prendere sul serio un tizio che nel suo esilio volontario sul lago Bajkal porta con sé nell’ordine le icone di: san Serafino di Sarov, san Nicola, la famiglia imperiale degli ultimi Romanov, lo zar Nicola II, la vergine nera? Tuttavia qualcosa di buono si può recuperare anche nelle situazioni più disperate. A proposito dell’estetica corrente, Sylvain Tesson si  chiede:

Come ha fatto il kitsch a trionfare nel mondo? La corsa dei popoli verso il brutto rappresenta il principale fenomeno della mondializzazione. Per rendersene conto basta girare in una città cinese, osservare i nuovi codici di decorazione delle poste francesi o il modo in cui si vestono i turisti. Il cattivo gusto è il dominatore comune dell’umanità.

Sostanzialmente si può essere d’accordo con Tesson, anche se mi sembra eccessivo ridurre a principale fenomeno della mondializzazione il trionfo del kitsch. Forse in senso culturale e lato, ma non in quello generale. Dove Tesson sbarca completamente è quando sostiene, riferendosi alla Russia, che “Settant’anni di materialismo storico hanno completamente distrutto negli abitanti il senso estetico”. Non che ai tempi di Čičikov le anime morte avessero un senso estetico molto elevato.


Solo per fare un esempio, L.S. Vygotskij applicò magistralmente i principi del materialismo storico nei suoi studi sul rapporto tra pensiero linguaggio e sulla storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori, e inoltre la sua concezione del materialismo storico non gli impedì di scrivere cose notevoli anche sull’arte. Gli esempi in tale senso potrebbero continuare. Perché dunque attribuire al materialismo storico gli esiti del cosiddetto realismo sovietico quando questo fu senz’altro il prodotto di condizioni storiche oggettive molto particolari?

Del resto ormai di materialismo è intriso il nostro modo di concepire le cose. Si tratta il più delle volte di un materialismo molto alla buona, e tuttavia chi può negare che di prima botta è il modo nel quale gli uomini si procurano i mezzi della propria vita materiale a condizionare il processo sociale, politico e spirituale? E, conseguentemente, come negare che nella produzione sociale della loro esistenza gli uomini vengono a trovarsi in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, cioè in rapporti di produzione corrispondenti ad un determinato livello di sviluppo delle loro forze produttive materiali?

Certo, sul rapporto tra struttura e sovrastruttura si sono prosciugati fiumi, laghi e oceani d’inchiostro. Molto spesso inutilmente. La concezione materialistica della storia è assai più complessa da come viene resa dalla vulgata scolastica e mediatica, quindi dall’opinione comune, tuttavia l’essenziale è sapere che gli uomini non sono solo ciò che mangiano, fatto che li accomuna agli altri animali, ma sono divenuti ciò che sono perché producono  le condizioni generali della propria esistenza materiale e spirituale. L’individuo sociale è tale proprio in quanto comprende e domina la natura esterna e la sua propria natura, programma la sua riproduzione e progetta consapevolmente il suo futuro. E ben altrimenti dovrebbe e potrebbe farlo.

Sostiene Marx, “la libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza di farle agire secondo un piano e per un fine determinato. Ciò vale – prosegue Marx – in riferimento tanto alle leggi della natura esterna, quanto a quelle che regolano l’esistenza fisica e spirituale dell’uomo stesso: due classi di leggi che possiamo separare l’una dall’altra tutt’al più nell’idea, ma non nella realtà. […] la libertà consiste dunque nel dominio di noi stessi e della natura esterna, fondato sulla conoscenza delle necessità naturali: essa è perciò necessariamente un prodotto dello sviluppo storico” (*).

Vi sarebbe poi da affrontare, tra le altre, l’importante questione che riguarda gli strumenti della conoscenza e dunque le modellazioni concettuali del mondo naturale e sociale di cui ci serviamo per conoscere, vale a dire le nostre astrazioni, generalizzazioni, categorie, leggi, i nostri modelli teorici, linguaggi e le rappresentazioni scientifiche, stabilendo in che rapporto stanno con la realtà oggettiva.

Le risposte che Marx ed Engels danno a questa questione costituiscono il contenuto materialistico e dialettico della teoria del riflesso attivo. Per altro verso, tali risposte sono il presupposto della teoria delle formazioni ideologiche (i sistemi ideologici come strumenti attivi della riproduzione di rapporti sociali alienati), tuttavia non è questo un tema che si possa affrontare in un post, ammesso che esso possa ricevere una qualche reale attenzione.

In definitiva volenti o nolenti non possiamo non dirci materialisti, ma quanto al materialismo storico si sentono ripetere le solite cazzate.

(*) La borghesia nei suoi mille linguaggi cerca di rappresentare il suo interesse particolare come interesse comune di tutti i membri della società e ciò la spinge “naturalmente” ad elaborare le proprie idee filosofiche, giuridiche e politiche nella forma dell’universalità, rappresentandole come le sole razionali ed universalmente valide. Nella temporanea coincidenza d’interessi tra borghesia e proletariato, che tuttavia si stanno sempre più divaricando, gli ideologi ne hanno approfittato fino al punto di stravolgere la contraddizione interna dei rapporti di classe, in modo che le forme dell’ideologia borghese, in luogo di riflettere, rifrangono obliquamente e unilateralmente i rapporti sociali dominanti, dando loro un carattere universale, onnicomprensivo ed esclusivo. Si tratta in definitiva di quel fenomeno che la sociologia borghese chiama “pensiero unico” e che altro non è, in ogni epoca, che il prodotto dei rapporti sociali dominanti.

Un esempio di questo tipo l’ho ricavato di recente leggendo in un social che Marx sarebbe stato contro la libertà. E chi mai potrebbe negarlo data la vulgata? Oh, la libertà, chi più dei liberali è disposto a chiacchiere di sacrificare tutto in suo nome, ma nell’insieme delle pratiche quotidiane non una stilla della sua libbra di carne umana contrattualmente pattuita. È esattamente vero: Marx fu contro quei liberali che intendono la libertà come metodo per sfruttare il lavoro altrui facendone una prassi normale e anzi commendevole. Questi liberali al pistacchio non fanno altro che mostrare tabelle e grafici che riguardano proprio lo sfruttamento dei “liberi lavoratori”, e guai se l’intensità di tale sfruttamento non risponde alle aspettative d’incremento percentuale.

5 commenti:

  1. «la libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza di farle agire secondo un piano e per un fine determinato». Bene, il piano e il fine determinato del capitale sappiamo qual è: valorizzare se stesso. Saremo in grado un giorno noi umani di cambiare l'orizzonte dei nostri fini?
    P.S.
    "Liberali al pistacchio": purché sia di Bronte.

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    1. ci spingerà la necessità, temo però che saremo già sotto le macerie.
      siamo tutti liberali, materialisti, cristiani, pirati, qualunque cosa, purché non ci tocchino la "roba". tutto, ma la roba, quella no

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  2. a mio avviso il materialismo "molto alla buona", lo scheletro contadino non peculiare della nostra epoca, si è processato in quotidiano materialismo a base di valore di scambio -che è poi in fin dei conti metafisica anche se la chiamano economia

    non senza qualche ragione, visto che ha permesso l' estensione della rete produttiva e di quella del consumo a buona parte della specie

    certo che alla fine tutto si regge sul valore d' uso storicamente declinato, ma tale è la sussunzione operata da quello di scambio che, anzichè ritrovarci di fronte ai meravigliosi frutti del lavoro sociale, ci dobbiamo baloccare con l' oscuro astratto -ma pieno di conseguenze- feticcio della merce, rispetto al quale tentare una forma di controllo ex post, per i produttori-consumatori, è del tutto fallimentare

    da questo punto di vista vediamo che la grande diffusione del
    metodo di conoscenza scientifico non può che affiancarsi, senza smontarlo, a ciò che si ripropone incessantemente, per propria doppia natura, come fato che domina tutto intorno

    per me la questione del metodo di conoscenza, che detta così si poteva fermare all' illuminismo, è quella della autocatalisi reciproca fra i bisogni attuali e prospettici del genere umano e l' ambiente storico in cui esso si muove, cioè appunto il materialismo storico

    aggiungo in due parole che tutto il pappone inerente "la libertà" (anche nella accezione sinistrorsa di "liberazione") andrà veramente affrontato daccapo

    bel post ciao

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    1. il pappone inerente "la libertà", come dici, non solo dovrà essere affrontato daccapo, ma rivoltato da capo a piedi (o viceversa).

      Se hai notato, e sicuramente l’hai notato, uso il termine materialismo "molto alla buona" in luogo di materialismo volgare e distinto da quello “storico”. Che è tutt’altra cosa, come insegna Engels. E che per materialismo alla buona s’intendano le pratiche quotidiane, in primis le pratiche di scambio, è fin troppo chiaro e anzi esplicito. Hai molta regione per quanto riguarda la teologia degli economisti, i quali non provano nessuna vergogna di essere i preti del capitale.

      Il valore d'uso storicamente declinato altro non è che la sussunzione dell’utilità del prodotto del lavoro umano agli scopi della valorizzazione. Noi ci troviamo realmente di fronte ai meravigliosi frutti del lavoro sociale, sennonché declinati e fruiti come meravigliosi frutti del “mercato”.

      Le presunte forme di controllo ex post, per i produttori-consumatori, è del tutto fallimentare proprio perché ex post, ovvero, come scrisse Marx, “la libertà non consiste nel sognare l’indipendenza dalle leggi della natura, ma nella conoscenza di queste leggi e nella possibilità, legata a questa conoscenza di farle agire secondo un piano e per un fine determinato”.

      Commento egregio il tuo, ciao

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  3. A proposito di materialismo ed idealismo...

    Le attuali discussioni politiche nella nostra italietta, mi sembrano le elucubrazioni di Mach e Avenarius sugli elementi e le sensazioni.
    Il risultato finale è che , a mio modesto parere ,sulla base degli elementi a disposizione, la sensazione è...
    Lascio a voi la conclusione Estetica della "cosa" ,non so bene se in sé o "fuori di sé" che mi pare però più Logica stando ai postulati classici della Logica formale.
    Comunque "bel post"

    caino

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