giovedì 25 luglio 2019

Ballons d'essai


Le applicazioni tecnologiche sono sempre state il fattore decisivo dello sviluppo delle forze produttive, ma negli ultimi decenni le innovazioni indotte dalla scienza e dalla tecnologia stanno creando le condizioni per una rivoluzione sociale e culturale di proporzioni inedite, tanto da rendere realistica e cogente la prospettiva di un’automazione totale delle produzioni fondamentali e dei processi correlati, salvo un piccolo numero di operazioni nell’agricoltura, nella pesca, nei servizi e in particolari attività industriali. E ciò spiega, tra l’altro, lo spostamento accelerato della forza-lavoro dai settori produttivi a quelli non produttivi e ai servizi.

Tale rivoluzione scientifica e tecnologica fa concreta la possibilità di sostituire l’antica divisione del lavoro con un’organizzazione cosciente di cooperazione umana, i cui termini ovviamente non possono essere decisi a priori e a tavolino, ma è evidente che si tratterebbe anzitutto di superare, per quanto possibile, il solco tra forze intellettuali di produzione e manodopera, tra attività fisiche e mentali, ove ciascuno e tutti possano affermarsi attraverso una capacità creativa. Eccetera.

Va da sé che ciò richiederebbe di acquisire un largo corredo di nozioni tecniche e metodologiche, e però la notevole riduzione dell’orario e delle giornate di lavoro renderebbero agevole l’istruzione e la formazione a vita, superando il sistema educativo tradizionale, che vede ciascuno impegnato per un tratto breve della propria esistenza, laddove le impetuose dinamiche del mutamento, indotte dai prodotti della tecnologia attuale, revocano efficacia all’insegnamento “una volta per tutte” e rendono invece necessarie sempre nuove conoscenze e pratiche tecniche (*).

Invece dobbiamo fare i conti con l’attuale modo di produzione e il relativo modello sociale. Senza addentrarci nelle solite disquisizioni sociologiche sull’alienazione dei consumi e nelle attività del tempo libero (vedi alla voce: compensazioni illusorie), mantenendoci dunque su un piano squisitamente economico, va notato che la tendenza a modificare nelle proporzioni il rapporto tra forza-lavoro impiegata e mezzi di produzione, cioè tra lavoro umano immediato e capitale, è fonte di problemi e contraddizioni imponenti, come dimostra ad esempio il fondato timore che gli enormi investimenti destinati alla produzione delle auto elettriche risultino infine non adeguatamente profittevoli (ne parlava anche il Sole 24ore di qualche giorno addietro).

Inoltre, la certezza sbandierata che la rivoluzione scientifica e tecnologica intrapresa sia prodromica di nuovi ruoli e figure professionali più qualificati e ricchi di competenze, nulla toglie al fatto che vengono eliminati mestieri, ruoli, saperi e specializzazioni di milioni di persone. Le nuove tecnologie non sono solo un nuovo tipo di meccanizzazione, come si ostinano a credere alcuni, ma costituiscono una forza rivoluzionaria che sta già mettendo a soqquadro l’ordine sociale. Norbert Wiener era cosciente già ai suoi tempi del rischio incombente, e avvertiva che “messe a confronto con i sommovimenti e i conflitti innescati dall’automazione, tutte le crisi precedenti appaiono giochi da ragazzi”.

Ciò pone in evidenza che l’epoca della scienza e dei computer è necessariamente un’epoca inedita e sempre più incompatibile con il capitalismo, i cui limiti intrinseci e i motivi della sua crisi storica sono ormai alla portata del senso comune, anche se di tale aspetto i politici e i loro vari tirapiedi non possono parlarne seriamente, per semplici ragioni d’interesse e di classe, preferendo escogitare soluzioni sul tipo della tassazione dei robot e altri consimili ballons d'essai.

(*) Tutto ciò, di là della propaganda politica, non è mai stato all’ordine del giorno nelle società cosiddette comuniste del secolo scorso. Sebbene quelle società avessero nei primi decenni fatto un balzo gigantesco nello sviluppo delle forze produttive, in seguito interi settori dell’industria producevano prodotti obsoleti, scarsi quantitativamente e di assai modesta attrattiva. La produttività del lavoro ristagnava e anzi declinava, modesti rimasero i progressi nell’automazione e nella ricerca di nuove fonti di energia e materiali, farraginosa la pianificazione centralizzata e inefficiente l’organizzazione produttiva e commerciale complessiva. L’Urss è implosa e la Cina dal rigido e primitivo capitalismo di Stato s’è aperta di necessità a un’economia mista, con grande tributo dei soliti noti. S’è vero che il mercato e la democrazia limitano il potere della burocrazia, è vero anche che le concentrazioni capitalistiche strangolano il mercato e limitano la democrazia fino a renderla funzionale in tutto e per tutto al loro gioco.

13 commenti:

  1. e se il comunismo consistesse semplicemente nel regalare ad ognuno un'abitazione comoda e un'alimentazione sana ? Oltre ai tradizionali servizi sanitari, educativi etc, magari potenziati. Perché no ?

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    1. no, il comunismo non regala nulla, sono i preti che promettono il paradiso a chi s'inginocchia. nel caso la nuova società crea le condizioni per un'esistenza migliore, ma non sarà un fatto così pacifico. bisognerà anche vedere, tramontato il capitalismo, in quali nuove condizioni generali saremo messi.

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  2. “Sempre più incompatibile con il capitalismo”, dici. Suppongo che questo giudizio sia collegato alla convinzione che l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, sia la forza-lavoro. Però io continuo a non capire. C’è qualcuno che fa i soldi mettendo in campo, praticamente, solo capitale costante. Il saggio di profitto sarà pure in declino, vista la formulazione dell’algoritmo, ma il conto in banca non declina, anzi. Perché non posso chiamarlo capitalista? E se non lo chiamò così, come lo devo chiamare?

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    1. quando maturo le mie cedole, si tratta d'interessi (rendita) maturati sul mio denaro, non su capitale produttivo. c'è una bella differenza tra il rentier e il capitalista.

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    2. No, non è così. È il concetto di “produttivo” che cambia. C’è sostituzione fra macchina e uomo. Stessa funzione, diverso attore. Non è possibile chiamarla rendita. Il vero problema è chi consuma i prodotti, e con quali soldi. Problema che va a impattare, come un meteorite, sul concetto di valore come sta nella formula Pv=L-V, e precisamente là dove si determina il salario di sussistenza.

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    3. hai buttato Smith, Ricardo e Marx (per citarne alcuni) nel cestino della carta straccia. di questi tempi, ci sta

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    4. Se è per questo, anche S. Tommaso {D'Aquino). Un mio amico cattolico tradizionalista esclude che l'intelligenza artificiale si sostituisca all'uomo. Per mio conto, sono un seguace dell'altro S. Tommaso.

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  3. A margine, segnalo un articolo che mette in evidenza come, in una società di classe, le pianificazioni siano dominio di una sola classe: quella dominante.
    https://www.ilsole24ore.com/art/germania-dall-auto-chimica-85mila-lavoratori-esubero-AC3uOwa

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    1. le tue deduzioni sono un tantino sovversive per il disordine costituito

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  4. Lanciando "il ballon " per vedere dove va il vento..

    Cara Olympe,ammiro i tuoi sforzi per tentare di intravvedere un "quadro generale" su dove tira il vento della nuova crisi capitalistica ,dovuta alle nuove tecnologie.
    In un quadro di disordine come quello che si configura,ma che "l'intellighenzia" ufficiale si ostina a non vedere e a non prendere in considerazione nonostante alcune evidenze chiare ed inequivocabili..(si sa, ognuno difende il proprio orticello fino alla fine),mi sembra la tua ipotesi alquanto plausibile.

    Tenendo conto che l'entropia è però connaturata allo scorrere del tempo,ci attendono tempi grami.

    caino

    ps Una nota di colore:le dirette "facebucche" dei tre guru ,S, DM,R possono venire smentite dal riconoscimento facciale che sta per invaderci. (siamo sicuri che non siano robot ?).
    Personalmente nel caso di cui sopra , propenderei per un riconoscimento di altra parte del corpo,, dato il ben noto detto.....mi sembrerebbe più appropriato

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  5. scusate se m'intrometto, ma già adesso gli impiegati nel settore primario e secondario non sono molto meno numerosi degli impiegati nei servizi ? Non vedo dunque il problema, il settore dei servizi è infinitamente espandibile. In un certo senso è vero che ciò potrebbe comportare la fine di un'idea di capitalismo incentrato sulla produzione ma non vedo perchè questo dovrebbe necessariamente comportare conseguenze particolari, drammatiche o benefiche che siano. Per quanto riguarda la paventata disoccupazione di massa, essa non potrà che essere assorbita dall'intervento statale. Ma in fondo è sempre stato così, il settore manifatturiero privato non è mai stato autonomo, nel senso che non è mai stato in grado di assorbire le merci prodotte. Non vorrei sembrare irrispettoso, ma a me sembra che tesi e discussioni come questa siano un po' "artificiali" e nascano solo dal non volere per principio prendere in considerazione il ruolo dello stato come produttore di beni e servizi. E non si tratta affatto di riformismo, il riformismo non c'entra nulla.

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    1. beh, sì, in effetti questo è necessario se si vuole dare un ruolo di protagonista economico allo stato. E ovviamente questo comporterebbe, nel brevissimo periodo, una perdita di ricchezza per tutti i detentori di titoli pubblici. Ma sembra proprio l'unica opzione praticabile per assorbire la disoccupazione e fermare la sottoproletizzazione generale. Poi naturalmente ci si può dividere su quale tipo di intervento statale, ma che ce ne debba essere uno mi sembra davvero fuori dubbio. Scusi e grazie per l'attenzione.

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