giovedì 30 maggio 2019

O è un imbecille oppure ci marcia



Il Partito democratico non è mai stato un partito socialdemocratico (tantomeno da quando è stato scalato da Renzi & C.). Continua ad occupare una posizione parlamentare di sinistra pur non avendo da molto tempo più nulla a che fare con la sinistra. Ciò crea l’illusione che a sinistra vi sia ancora una forza parlamentare di peso significativo. Le parole di Zingaretti sono state a tal proposito chiare: «E' giusto allargare il perimetro del centrosinistra ma per farlo bisogna innanzitutto concentrarsi sul Pd evitando di parlare solo di “centro moderato” perché sarebbe sbagliato guardare solo in una direzione». Ha aggiunto: «abbiamo il compito di coltivare al massimo la pianticella, non abbandono l'idea di una vocazione maggioritaria». In altri termini, Zingaretti dice: dobbiamo portarci dietro anche coloro che s’illudono che il partito democratico sia ancora un partito di sinistra, abbiamo bisogno dei loro voti per essere maggioranza.

Del resto, come scrivevo alcuni giorni or sono, la assai variegata “sinistra”, ripudiato il prontuario del riformismo classico, non ha da offrire un programma d’alternativa reale, salvo prorogare le solite modeste misure fiscali e di “crescita” rivolte a tamponare una situazione economica e sociale che si fa sempre più grave. Non si tratta, come taluni pensano, solo di una crisi d’ordine culturale, bensì di una chiara volontà di lasciarsi alle spalle le categorie storiche del pensiero di sinistra, basti pensare che la categoria stessa di rapporti sociali di produzione e quella di classi sociali sono scomparse da decenni dal vocabolario del partito sortito dallo scioglimento del Pci, fino al punto che la destra reazionaria può oggi contestare perfino l’uso della più neutrale e eufemistica espressione di “classi subalterne”. Per non dire poi di quell’ossimoro che si sente ripetere, cioè quello di “socialismo liberale”. Sparatevi.

Ha ragione dunque chi sostiene che il capitalismo delle nuove tecnologie ha messo a valore la vita e non più solo il lavoro, e che la catena del valore divenuta internazionale ha reso meno individuabile e raggiungibile, anche nelle lotte, la proprietà contro cui aprire il conflitto. Per quanto riguarda il Partito democratico si tratta anche di altro. Parla una lingua che le nuove generazioni e le fasce sociali più marginali non riescono a comprendere; arruola nelle proprie file la feccia liberista ed europeista e dunque ne adotta con gioia l’ideologia e il linguaggio.

Il caso, da ultimo, di Carletto Calenda è a tal proposito esemplare. Mettersi in casa soggetti simili, per pescare voti al centro, significa rinunciare a qualsiasi politica di sinistra che punti a modificare gli attuali rapporti di forza tra le classi sociali; vuol dire rinunciare di porre al primo posto del proprio programma una reale ed effettiva lotta contro lo strapotere del capitale, contro la diseguaglianza crescente e l’erosione dei diritti sociali e lo svilimento del lavoro; in definitiva è deflettere dal minimo programmatico di un partito che possa dirsi ancora di sinistra, seppure di sinistra riformista.

In tal senso, chi straparla di riforma della UE, o è un povero imbecille oppure ci marcia, come nel caso di Salvini e del movimento reazionario diretto dalla Casaleggio associati.  È ben evidente che la UE non è riformabile. Sarebbe in tal senso sufficiente prendere atto di chi comanda realmente a Bruxelles, così come ho cercato di spiegare nel post del 24 maggio scorso, e di considerare che anche sotto l’aspetto procedurale ciò risulta velleitario in quanto solo un voto all’unanimità tra i 28 Paesi – 19 per l’eurozona – potrebbe cambiare il contenuto dei Trattati (in qual senso poi sarebbe tutto da vedere). Fantapolitica.

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