giovedì 4 aprile 2019

Vafamocc



Scriveva una decina di giorni or sono il sempre sagace Malvino in un suo post:

«Immagini un borghese che tradisca l'interesse di classe profondendosi nel sensibilizzare un proletario sul crudele tritacarne del capitale; e il proletario sbuffa perché la teoria del plusvalore gli pare astrusa; di più, l'insistenza del borghese gli pare sospetta, e non ne fa mistero, anzi, di quel sospetto arriva a farne ragione d'insofferenza, perfino d'insolenza; ecco che allora il borghese, stanco, si lascia andare ad un liberatorio "mafammoccammàmmete!".»

Spero di non usurpare titolo e figura se mi ci vedo un po’ anch’io, e dunque di liberatori "vafamocc" dovrei pronunciarne a mia volta in numero considerevole. Non posso sempre frapporre tra me e il mondo la mia biblioteca, perciò voglio tediare ancora una volta su un tema che fa sbuffare il proletario insofferente non meno che il borghese insulso.

*

Stamane, durante la trasmissione di radio tre, Tutta la città ne parla, che aveva a oggetto la cosiddetta industria 4.0, un ascoltatore ha inviato il seguente messaggio: “Sono quattrocento anni che i catastrofisti preannunciano la significativa perdita di posti di lavoro nell’industria a causa dell’innovazione tecnologica, ma ciò finora non si è mai verificato, dunque perché si dovrebbe verificare proprio ora?”.

A questa domanda si può rispondere in vari modi, ma solo uno di questi è scientifico. Un altro modo, non scientifico ma validamente pratico, è quello di chiedere notizie di tale processo per esempio agli operai dell’Electrolux di Susegana (Tv). Ricordatevi di loro, poiché, a seguito della ristrutturazione alla quale verrà sottoposta la fabbrica, nei prossimi tempi ne sentiremo parlare.

*

Per appropriarsi di quote maggiori di plusvalore e far fronte alla concorrenza, i capitalisti devono costantemente aumentare la produttività del lavoro. Ciò impone l’aumento e il miglioramento incessante del livello tecnico degli impianti e del macchinario. Maggiore è il perfezionamento tecnologico, più il numero di operai e addetti richiesti per la stessa quantità di produzione è minore. In altri termini, si eleva la composizione tecnica del capitale.

L’aumento progressivo della composizione tecnica del capitale provoca, necessariamente, un mutamento parallelo della sua composizione di valore, e, quindi, nella composizione organica, vale a dire un aumento progressivo del capitale costante in rapporto a quello variabile (per un'altra "astrusa" disamina, clicca qui).

Occorre tener presente che la composizione organica non è una semplice composizione di valore (capitale costante/capitale variabile), ma presuppone ed è sostenuta da una data composizione tecnica, ossia da un determinato livello di sviluppo tecnologico. Più in particolare, la composizione organica del capitale è il rapporto che si stabilisce tra composizione di valore e composizione tecnica.

La composizione di valore riflette le proporzioni in valore delle parti costitutive del capitale (c/v). La composizione tecnica riflette il rapporto fisico tra materie prime, mezzi di produzione e lavoro (Mp/L) ed indica il livello tecnico raggiunto dalla produzione.

Non distinguere tra “composizione in valore” e “composizione tecnica”, riducendo la composizione organica a semplice “composizione in valore”, preclude qualsiasi possibilità sia di cogliere la contraddizione fra lo sviluppo storico-naturale delle forze produttive (Mp/L) e la forma che esse assumono nel modo di produzione capitalistico (c/v), e sia di conoscere la vera ragione per cui l’aumento della composizione organica, provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto, possa e debba risolversi nella crisi dell’accumulazione capitalistica.

Poiché l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga a un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica (*).

In altri termini, non ogni quantità di profitto (plusvalore) può trasformarsi in un aumento dell’apparato tecnico di produzione: per l’espansione – qualitativa e quantitativa – della scala della produzione è necessaria una quantità minima di capitale addizionale, quantità che nel processo di accumulazione diventa, a causa della crescita accelerata del capitale costante, sempre maggiore.

L’aumento della composizione organica del capitale è una tendenza necessaria allo sviluppo capitalistico e rappresenta la causa delle crisi che si manifesta palesemente nel fenomeno della sovrapproduzione che investe la società capitalistica. Ciò vuol dire che l’accumulazione capitalistica è un processo gravido di crisi, anche se questo non significa che il crollo del sistema capitalistico sopravvenga “automaticamente”.

Alla luce di quanto pur sommariamente esposto, non è azzardato stabilire che il modo di produzione capitalistico è entrato nella sua fase di crisi generale-storica. Una fase che condurrà in tempi storici brevi a trasformazioni e sconvolgimenti economici, sociali e politici profondi e inediti, i cui prodromi, in positivo e in negativo, sono già presenti e visibili.

Tra questi si segnala appunto la progressiva incapacità del sistema produttivo di riassorbire, nelle fasi di ciclo più favorevoli, quote di quell’esercito industriale di riserva che sono state espulse dalla produzione o che non vi sono mai entrate. E tutto ciò nonostante l’orario di lavoro giornaliero e/o settimanale del singolo lavoratore possa subire una diminuzione. Infatti, la riduzione dell’orario di lavoro non potrà mai essere in rapporto diretto, dunque in equilibrio, con l’aumentata capacità produttiva del lavoro indotta dalle nuove tecnologie e tecniche di produzione (ciò riguarda un aspetto della stessa legge sulla quale si fonda il rapporto di sfruttamento capitalistico).

Per quanto sopra esposto, vafamocc tu, quelli appresso a te, e pure i quattrocento anni!

(*) La categoria del saggio di profitto svolge un ruolo fondamentale nell’economia politica, in quanto il suo movimento è alla base della crisi del modo di produzione capitalistico. Infatti, la tendenza storica dell’accumulazione capitalistica consiste, come evidenziato nel post, in un aumento della composizione organica del capitale e, di conseguenza, in una caduta del saggio del profitto.
Le leggi del movimento del saggio di profitto non coincidono con quelle del saggio del plusvalore, da cui peraltro il saggio del profitto si distingue fin dall’inizio anche quantitativamente. Il saggio di profitto può scendere, anche se il plusvalore reale sale. Il saggio di profitto può salire, anche se il plusvalore reale scende.
Questa legge è “sotto ogni aspetto la legge più importante della moderna economia politica […] È la legge più importante dal punto di vista storico.


6 commenti:

  1. Gent.ma,
    mi scusi ma sarebbe così gentile da spiegare meglio il seguente passaggio:
    "Le leggi del movimento del saggio di profitto non coincidono con quelle del saggio del plusvalore, da cui peraltro il saggio del profitto si distingue fin dall’inizio anche quantitativamente. Il saggio di profitto può scendere, anche se il plusvalore reale sale. Il saggio di profitto può salire, anche se il plusvalore reale scende."
    Grazie infinite.
    AG

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    1. http://diciottobrumaio.blogspot.com/2016/02/potrebbe-sorgervi-la-domanda.html

      nel caso non le fosse ancora ben chiaro il concetto, e cioè cosa distingue il saggio di profitto dal saggio del plusvalore, e perché il primo può scendere nonostante il secondo possa salire, non si faccia problemi a chiedermi uno schiarimento ulteriore. sappia ad ogni modo che il saggio di profitto si calcola in rapporto al capitale complessivo (c+v) e il saggio del plusvalore in rapporto al solo capitale variabile (v), cioè al capitale investito in salari. ciao

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    2. Scusi se la disturbo ancora, ma non mi sono ben chiare un paio di cose:
      - il capitale costante (c) diventa dirimente nello sviluppo del saggio del profitto ma non in quello del plusvalore (e a questo punto anche del pluslavoro non pagato, mi vien da aggiungere)
      - avendo letto il suo post, l'accumulazione (e la conseguente valorizzazione del capitale) ha un limite?

      Grazie per la pazienza.
      AG

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    3. Il capitale costante, diminuendo in rapporto a quello variabile, muta la composizione tecnica e non solo la composizione di valore del capitale stesso. Ciò significa che progressivamente serve una quota sempre maggiore di capitale costante per mettere a sfruttamento una quota progressivamente minore di capitale variabile. Essendo quest’ultimo l’unica fonte di valore, di nuovo valore, si verifica una caduta tendenziale del saggio del profitto in rapporto al capitale complessivo, caduta compensata ma solo in parte da altri fattori di controtendenza. Ciò comporta un limite agli investimenti e dunque allo sviluppo del capitale nella sfera della produzione. Il limite del capitale è il capitale stesso, come ebbe a osservare Marx.

      In altri termini ancora, l’accumulazione non subisce un arresto, ma incontra sempre maggiori difficoltà. Poiché l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga ad un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica.

      Si apre a questo punto una lotta spasmodica tra i capitali concorrenti e tra le diverse sfere di produzione per accaparrarsi quote di plusvalore. L’attuale disputa sui dazi, per esempio, è solo un aspetto, un fenomeno, di tale lotta.

      Legga questo post propedeutico e la cosa le sarà chiara:

      http://diciottobrumaio.blogspot.com/2013/03/la-legge-piu-importante.html

      ciao

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  2. Gentile Olympe, con grande rammarico dobbiamo però constatare che nel mondo accademico la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto quando non è sconosciuta è considerata sbagliata. Ogni anno dalle università escono migliaia di giovani laureati, futuri rider (i più) o ministri (uno su un milione), che di questi concetti non sanno nulla o ne hanno ricevuto descrizioni parziali e spesso errate. La più recente infatuazione della sinistra è la MMT (Modern Monetary Theory) che una pur blanda teoria del valore non ce l'ha nemmeno, mentre il mainstream è ormai in mano al marginalismo e alla teoria soggettiva del valore: il valore di scambio non esiste, esiste solo l'utilità marginale di un bene. Oggi il concetto stesso di valore è scomparso dal dibattito perchè considerato troppo astratto, non misurabile, sterile, privo di informazione. Questa è la realtà! E se si fa notare che parlare di economìa sulla base dei soli prezzi relativi e dei tassi di interesse non ha alcun senso, ti guardano come fossi un alieno. Eppure è proprio dal mistero del valore che bisognerebbe cominciare un qualunque approccio all'economìa politica.
    Grazie dunque per il suo prezioso impegno.
    Buona giornata.

    Costantino

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    1. Egregio Costantino, ciò che oggi conta nella realtà pratica è la conoscenza dei meccanismi del mercato finanziario; quanto al resto si tratta di passatismo, almeno per ora.
      Tuttavia io non credo che siano tutti degli ignoranti, pur essendo questa categoria abbondantemente rappresentata e non solo per quanto riguarda gli studi economici. Come lei ben sa, la coscienza è prodotto dell’essere sociale, e non viceversa. Pertanto è necessario distinguere la massa degli ignoranti dai figli di puttana che tali dinamiche economiche le conosce bene pur travisandone le cause per motivi di reddito e di potere.

      Grazie per il raro (in ogni senso) commento. Buona serata.

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