mercoledì 23 gennaio 2019

Il grande saccheggio



Il 23 gennaio 1933 nasceva l’IRI-Istituto per la Ricostruzione Industriale. Senza l’IRI il “miracolo” del dopoguerra non sarebbe stato possibile (quale capitale privato possedeva mezzi finanziari adeguati per sostenere i giganteschi investimenti infrastrutturali?). Poi, già dagli anni Sessanta, il perverso intreccio tra economia, affari e partitocrazia ha trasformato le partecipazioni statali in carrozzoni: investimenti sbagliati, clientelismo, crisi finanziaria del sistema, discipline dei prezzi imposti che vincolavano la redditività delle imprese, ecc..

L’IRI si poteva riformare con una politica industriale che avesse realmente al centro l’interesse nazionale, invece, senza alcun tipo di dibattito politico e sindacale, si è deciso di puntare su un modello liberista puro, con privatizzazioni prevalentemente integrali, che si è tradotto nella svendita del patrimonio industriale e bancario al capitale privato, con un forte intervento del capitale industriale e soprattutto finanziario internazionale (in particolare i fondi pensione e immobiliari, specializzati nel trattare titoli di imprese in via di privatizzazione). Nella realtà non si sono voluti assolutamente privilegiare gli acquirenti italiani rispetto quelli esteri, e del resto eventuali misure orientate a favorire gli investitori nazionali sarebbero state considerate inammissibili dai padroni della UE.

Le privatizzazioni sono processi assai complessi e operazioni di carattere essenzialmente politico, per cui è richiesta una definizione degli obiettivi ultimi e la verifica delle compatibilità strategiche nazionali e un’attenta selezione di ciò che è oggetto di privatizzazione. E invece le privatizzazioni di IRI, EFIM ed ENI solo nelle dichiarazioni di principio (la fola dell’azionariato diffuso, per es..) hanno risposto a obiettivi di miglioramento di competitività e di efficienza del sistema economico, ma in realtà esse hanno puntato anzitutto a ingrassare profitti e rendite (“plusvalenze private da capogiro“ le definì uno che se ne intende), e favorire un nuovo regime di monopolio (pensiamo solo all’acqua e ai servizi pubblici in genere, alle autostrade, ecc.).

A titolo d’esempio: il 6 Dicembre 1993, l’IRI metteva in vendita il 64% del capitale azionario del Credito Italiano, ma solo 12 azionisti in sostanza riescono a controllare la Banca con il solo 16% del capitale sociale. Il caso della Banca commerciale italiana è esemplificativo: nel 1992 era collocata ai vertici nelle classifiche mondiali, un patrimonio netto di circa 6.000 miliardi di lire e con attività pari a circa 130 miliardi di lire. Se la sono pappata le Generali, Ras, Benetton, Gestione Fondi Fininvest, eccetera.

Per quanto riguarda l’ENI, negli anni dal 1993 al 1996 ha ridotto il proprio personale di circa il 33.5%. Segnatamente dal 1993 al 1996 si è avuta una diminuzione del 23,7% dei dirigenti, del 17,7% degli impiegati, del 13,8% dei quadri e del 33,7% degli operai. La prima fase di privatizzazioni dell’ENI si è avuta nel dicembre 1995 ed è stata avviata anche grazie al record del bilancio consolidato del 1994, che aveva toccato un’utile netto di 3.215 miliardi, il più alto di tutta la storia e uno dei più alti in Italia.

Alcuni responsabili di quelle svendite – i cui nomi sono noti – sono ancora vivi e andrebbero processati e condannati, confiscati i loro beni e quelli dei loro eredi. Se la sovranità appartenesse effettivamente al popolo e la legge fosse realmente uguale per tutti.

9 commenti:

  1. Vivi e vegeti i responsabili e disgraziatamente ancora al comando.Certo il cielo si è squarciato ma forse pioveranno pietre.

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  2. forse può interessare, sempre che funzioni il link

    https://drive.google.com/file/d/1nAVFPs2QKd-tbQkiqPVQ3sHpUalBBJ--/view?usp=sharing

    per altro l' IRI nacque proprio per arginare una crisi finanziaria, morì per un' altra

    occorre ricordare che hanno privatizzato per fare cassa, ridurre il debito sotto il 100% del pil e essere presenti nell' euro, visto che già nel 92 arrancavamo tanto da uscire dallo sme e trovarci con la lira svalutata del 8% in una notte e del 30% in sei mesi

    poi se l' intento era di affrancare la spina dorsale del sistema economico, vendendo ai privati, dalla inefficienza delle pastette politiche, bè hanno fatto in modo che non potesse mai succedere

    evitando di diventare adulti, venendo meno l' azione statale diretta è anche venuto meno uno straccio di piano industriale pluriennale. come se le due cose fossero inseparabili

    direi invece che c'è da cogliere il solito paradosso: il grande e moderno capitalismo vuole grandi centralizzazioni, che in italia erano appunto tutta roba IRI, management all' altezza compreso.

    eravamo alle porte della globalizzazione e si decise di fare un bel regalo ad una borghesia abituata da una vita a non rischiare mai di fallire, almeno personalmente. proprio quel che ci voleva

    invece con gli spezzatini d' industria si è finito non solo per deindustrializzare (e in parte probabilmente non ci si poteva fare nulla) ma anche per cancellare know-how riguardo le parti ricche del fare industria: innovazione di processo e di prodotto, ricerca e sviluppo, tutte cose per lo più fuori dalla portata della piccola media impresa

    l' unica impresa di vero livello internazionale che ci è rimasta è ENI e la sua galassia -che da sola pesa il 20% della capitalizzazione complessiva di piazza affari, poi ci sono non a caso 2 banche (di cui in una i soldi non li metterei) e più nulla

    è rimasto un pugno di mosche: cuochi, stilisti e mobilieri neanche padroni dei propri marchi

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    1. grazie.
      anche in "certi" altri "documenti" è ben spiegata la cosa, roba "delirante" scritta molto tempo fa, che però preannunciava quanto stava accadendo e quanto sarebbe accaduto. nemo profeta in patria.
      avevo anche già scritto qui qualcosa più in dettaglio
      l'ultima tua frase è perfettamente riassuntiva. intanto ci accapigliamo su ... Pasquale Zagaria da Bitonto
      pagheremo tutto, pagheremo caro (sempre i soliti, chiaro)

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    2. se ho capito bene il documento a cui ti riferisci, quell' analisi dell' imperialismo era errata, per come la vedo io. parlare ex post è ovviamente facile

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    3. rileggendo quanto ho scritto, potrebbe sembrare che mi rammarichi della incapacità della borghesia italiana ad essere classe dominante.

      assolutamente no, al contrario ho voluto scrivere di come la borghesia italiana ha sempre fatto la sua parte nell' ambito del dominio mondiale di classe e addirittura di avanguardia nel rapporto tra sè e il Suo stato.

      solo lo stile è a volte sconcertante: invece che essere improntato sulla progettazione e organizzazione del corpo sociale si lavora con l' opportunismo, il trasformismo, la confusione che poi si riversano ai piani bassi

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    4. non mi riferivo all'analisi dell' imperialismo, ma a quella concernete il rapporto assai conflittuale tra capitale privato e pubblico in italia

      oh, certo, una classe dominante può essere sgangherata quanto si vuole, e anzi più è sgangherata e maggiore risultano essere gli stilemi reazionari

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  3. Vorrei colmare una lacuna cui quanto ho letto sin qui pur accenna. Trattasi cioè di un aspetto importante che i termini e i concetti sopra menzionati implicano e sottintendono chiaramente, ma la cui espressa menzione non può essere trascurata.
    Lei scrive: "... il perverso intreccio tra economia, affari e partitocrazia ha trasformato le partecipazioni statali in carrozzoni: investimenti sbagliati, clientelismo, crisi finanziaria del sistema, discipline dei prezzi imposti che vincolavano la redditività delle imprese, ecc..".
    Beh, celato in quell'ecc. c'è anche il non secondario malvezzo da parte dei giganti im-prenditoriali italiani - divenuti tali nel secondo dopoguerra anche e soprattutto grazie all'ultraventennale concorso dello Stato e dell'IRI - di scaricare su questi e quindi sui contribuenti tutto il fallimentame (oggi diremmo le loro "bad companies") che a partire dalla fine degli anni '60 essi cominciarono a produrre e produssero poi per tutto il ventennio successivo. A cominciare dalle aziende messe su grazie a generosi contributi pubblici e finalizzate - questo lo sapevano tutti - al mero ottenimento degli stessi mai recuperati contributi. Ciò si realizzava attraverso l'iniziativa del governo e soprattutto del sotto-governo, ambito che il parassitame privato da sempre ben conosce e dove da sempre ben sa muoversi. Che fosse l'IRI, l'EFIM, la GEPI o qualche altro carrozzone ad hoc a realizzare le fregature per gli ignari cittadini ha importanza relativa. Sta di fatto che, paradossalmente, proprio l'antieconomicità delle aziende decotte acquisite dall'IRI e dagli altri carrozzoni tornò poi utile agli stessi "prenditori" per sostenere la necessità e l'urgenza che lo Stato si liberasse di TUTTO l'intero parastato. Naturalmente, nel frattempo, l'economia aveva un po' ripreso a tirare, anche per lo Stato, e la liquidità di molte aziende pubbliche faceva gola a più di un "prenditore". Si era alla fine degli anni '80 e sotto questa pressione, da allora sino al 2000 e oltre, lo Stato cedette al mercato, spesso svendendo, gli interi pacchetti azionari (o loro parti sostanziosissime) di una lunga serie di aziende di varia dimensione, che però di decotto spesso non avevano proprio nulla e che i cittadini avrebbero tanto preferito fossero mantenute pubbliche.
    La candelina sulla torta di tanta malversazione, però, è che lo Stato, anche dopo essersi liberato di tutte o quasi le sue preziosissime e ambitissime aziende, non ha mai smesso di accollarsi puntualmente ogni fallimento privato da una certa dimensione in su, fino all'altro ieri nel caso di Carige. L'elenco degli innumerevoli interventi di questo tipo negli ultimi quindici anni, però, evito di farlo, per non oltremodo deprimermi e deprimervi. Naturalmente, i miliardi di euro privatamente e truffaldinamente sottratti alle banche e alle aziende fallite - spesso proprio a causa di tali sottrazioni - sono volati all'estero chissà dove e ben presto validamente "scudati".

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    1. vero, è la solita storia della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite e dei fallimenti

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    2. Beh, confesso che avevo avuto la tentazione di scriverlo anch'io nel mio commento. Ma ho pensato che scrivendolo qualcuno - magari non esattamente qui - avrebbe potuto darmi dell'ossessionato vittimista. Comunque è incredibile come simili pessime abitudini, per non dire sopraffazioni o depredazioni, per quanto evidentissime agli occhi di tutti e dannosissime per i più, si ripetano puntualmente ad ogni occasione e riescano a perpetuarsi tanto facilmente, senza bisogno alcuno di rinnovarsi o raffinarsi nelle forme, senza nemmeno doversi fare il minimo scrupol, fosse anche la sola accortezza di usare la vasellina. Davanti a donen e bambini.

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