martedì 23 ottobre 2018

La riforma Seminerio



Sul suo blog Mario Seminerio avanza una proposta di riforma previdenziale entro la cornice di una riscrittura della manovra finanziaria del governo:

“Se obiettivo è quello di svecchiare gli organici, decisamente meglio prevedere dei fondi aziendali o settoriali per gestire gli “scivoli” alla pensione, sulla falsariga di quello esistente nel credito, e alimentarli con contributi datoriali e dei lavoratori, con eventuale residuale integrazione pubblica”.

Non so a quali commenti abbia dato adito tale ipotesi di riforma e ad ogni buon conto, conoscendo l’epoca e i suoi attori, non reputo possano essere più rilevanti del mio.

Tale proposta manca di troppi dettagli per essere motivatamente giudicata, tuttavia come prima traccia mi sembra debole. Le banche sono una cosa (e così i gruppi economici), le officine e i laboratori artigianali, le piccole e piccolissime imprese, che fanno rete alla struttura produttiva nazionale sono tutt’altra faccenda. Nel senso che non credo che i piccoli e anche i medi imprenditori accarezzino l’idea di assumersi nuovi oneri da conferire ad appositi fondi pensione per favorire lo “scivolo” pensionistico dei propri dipendenti più maturi. Né credo i loro dipendenti, con i loro asfittici salari e stipendi, vedano di buon occhio l’idea di foraggiare fondi ad hoc per raggiungere l’agognato traguardo della pensione un qualche annetto prima. Sembra, a prima vista, una riedizione aggiornata dell’Ape volontaria.


A meno che – e questo non è dettaglio di poco conto – lo Stato non conguagli con la riduzione degli altri oneri a carico di entrambe le categorie, cioè quella datoriale e quella dei dipendenti. Si tratterebbe insomma di una partita di giro, e allora tanto vale. Ed infatti Seminerio precisa: “con eventuale residuale integrazione pubblica”. Il Diavolo s’annida nei dettagli.

Seminerio aggiunge: “Misure come l’Ape sociale dovrebbero restare, essendo una sorta di ‘salvaguardia’ implicita all’impianto della legge Fornero”. E su questo, invece, non ci piove.

Quello che bisogna tener presente – ma sia chiaro che non è dogma – è che 41 anni di lavoro effettivo e i corrispondenti contributi debbono risultare sufficienti per maturare i requisiti per anticipare la pensione rispetto a quella di vecchiaia, altrimenti sarà sempre inutile mostrare stupore sull’incetta di voti da parte della Lega e dei suoi alleati di governo.

Quella di Mario Seminerio è una proposta che non va oltre l’ipotesi, e ciò non fa del male. Del male invece viene da ciò che ha messo in cantiere il governo a tale riguardo. Più leggo e più colgo lo stato di confusione di questi ineffabili pasticcioni. I quali non hanno mai lavorato oppure se hanno praticato una qualche attività l’hanno svolta stando seduti, con una mano al mouse e l’altra sui coglioni. Lascio agli sciocchi decidere se quest’ultima sia destra o sinistra.

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