lunedì 25 giugno 2018

Vite clamorose



Dopo 25 anni dalla famosa “discesa in campo”, sono in molti a scoprire che la televisione è un formidabile mezzo di propaganda elettorale. Che non bastano 10 editoriali di prima pagina per smontare una balla raccontata in tv con 10 parole; che i giornalisti televisivi, al pari di tutti gli altri, sono dei dipendenti e dunque degli stipendiati; che gli ospiti e commentatori sono portatori d’interessi particolari, anche solo per la promozione di un loro libro o per accaparrarsi un seggio in parlamento; che i dati dell’audience sono la borsa valori della pubblicità, senza la quale questo circo non sta in piedi.

Certi programmi televisivi, la maggior parte, vengono incontro a tutta una serie di bisogni degli spettatori, tanto che si potrebbe stabilire fino a che punto certe categorie di persone siano idonee come oggetto di odio, e fino a che punto gli spettatori possano essere mobilitati e, al tempo stesso, controllati. Senza andare sul difficile, ossia sui migranti come capro espiatorio, è sufficiente vedere l’odio ingenerato contro i percettori di pensioni sopra i 4.000. Per il momento si salvano quelli sotto tale soglia, ma non saprei per quanto tempo ancora.


I padroni della televisione, dal canto loro, si aspettano essenzialmente da una vedette televisiva che conquisti un proprio pubblico, possibilmente un pubblico che non guarderebbe quella trasmissione se tale conduttore non ci fosse. Questo è il fattore profitto, poiché la televisione è anzitutto un’impresa che produce spazio per le inserzioni pubblicitarie. Il secondo fattore riguarda il prestigio: e qui entra in scena l’originalità, il non conformismo e talvolta il capriccio del conduttore e dei suoi ospiti. L’audience vive di clamore, come la politica.

3 commenti:

  1. Trovo che percepire una pensione superiore a 2.500 euro sia un ingiustizia sociale, soprattutto se si possiedono appartamenti o beni del valore superiore ai 600.000 euro, trovo che ereditare una cifra o beni del valore superiore ai 500.000 euro sia un ingiustizia sociale, oggi, una vergognosa ingiustizia. Poi so che mai e poi mai, tra benpensanti e specialmente dalla sinistra di oggi, troverò un minimo consenso.
    Purtroppo però le conseguenze, come si può immaginare, sono e saranno tragiche, tuttavia, come sempre, quei beni passeranno in altre poche indegne mani da quelle dei precedenti e indecenti padroni o possessori che dir si voglia.

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    1. trovo anch'io che le ingiustizie sociali in una società di classe siano molte e che non poche gridino vendetta. e su queste questioni potremmo scrivere intere biblioteche. ciò che ho voluto dire è però altro.

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    2. Pensando allora al bianco e nero, poi al colore, nel marzo del '95 Marisa Caramella scriveva su Linea d'ombra:
      Il colore delle parole
      Nelle università americane, durante gli anni Cinquanta, non ci si limitava a mettere in posa gli studenti di entrambi i sessi in costume adamitico, per fotografarli, misurarli in lungo e in largo e classificarli in base ai criteri della fisiognomica o di altre pseudoscienze, come si è scoperto di recente. Si conducevano anche altri esperimenti di dubbio gusto, magari meno carichi di significati razzisti ma non certo meno umilianti per le cavie umane prescelte. Al corso propedeutico di psicologia, per esempio, gli studenti del primo anno, freschi di provincia, odorosi di buona volontà e di fiducia in un sistema democratico che nel frattempo esperimentava il nucleare su cavie umane, venivano invitati a fare un giochetto in apparenza innocuo. L’insegnante sceglieva una dozzina di ragazzi, ai quali mostrava alternativamente una matita rossa e una blu, invitandoli a pronunciarsi ripetutamente sul colore dell’oggetto in questione. Per qualche giro, tutti dichiaravano senza esitazione il vero colore della matita. Poi, all’improvviso, undici ragazzi, precedentemente imbeccati dall’insegnante, cominciavano a dichiarare blu la matita rossa e rossa la matita blu con grande disinvoltura e sicurezza. E a guardare sorpresi, sgomenti, irridenti, il dodicesimo, che insisteva nel dichiarare il vero colore dell’oggetto. L’esperimento durava abbastanza perché la “cavia” cominciasse a dubitare dei propri occhi, fino a 1. scoppiare in lacrime 2. uniformarsi alla menzogna collettiva 3. ribellarsi al trattamento e dare dei pazzi a tutti gli altri. La reazione 3 era molto rara, la 1 e la 2 frequentissime. Conclusione dell’insegnante: l’uomo è “per natura” restio a esprimere la propria corretta opinione, quando l’ambiente sociale che lo circonda è di opinione contraria. Messaggio latente: è facile manipolare l’opinione pubblica.
      Naturalmente la futura classe dirigente faceva tesoro dell’insegnamento ricevuto, ...ecc ...ecc - se lo desiderate trascrivo le successive cento righe, ma credo possa bastare accendere la TV.

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