lunedì 14 maggio 2018

L'obiettivo di tirare a campare


In tema di “squilibrio” tra capitale e lavoro lo Stato aveva progressivamente assunto il ruolo di garante delle dinamiche interne a tale conflitto, nell’alveo giuridico dei rapporti di produzione borghesi, vale a dire nell’ottica del meccanismo dello scambio tra domanda e offerta.

Oggi invece lo Stato ha perso ruolo quale regolatore del meccanismo della riproduzione sociale, di garante e interprete dei principi costituzionali e della loro estrinsecazione nella sfera della legislazione, lasciando esposto il lavoro alla condizione darwiniana del mercato.

Una multinazionale può liberamente eludere le normative nazionali in materia di lavoro e spesso anche il diritto costituzionalmente protetto dei lavoratori di organizzarsi sindacalmente all’interno dei luoghi di lavoro (*), oltre al fatto assodato che quelle stesse multinazionali possono esportare i profitti e scegliere la propria sede fiscale dove più gli aggrada.

La merce lavoro è sempre più variabile dipendente dei processi di liberalizzazione dei mercati, laddove il capitale, alla costante ricerca di un più remunerativo saggio del profitto, sposta senza vincoli le sue produzioni e dotazioni infrastrutturali, nella tendenziale e inarrestabile discesa dei salari reali e caduta dei prezzi, così come nell’eccedente disponibilità di forza-lavoro.

Alla logica della redditività industriale le multinazionali privilegiano i valori azionari, spinte da un’inattaccabile posizione monopolistica. Come rilevava Marx un po' di tempo fa, l’aspirazione del capitale è quella di fondare processi di accumulazione su pratiche estranee alla produzione e al valore del lavoro, puntando a generare denaro dal denaro (D – D’).

Il processo di accumulazione del capitale segue le sue leggi e nuove e più cruente forme di competizione tra multinazionali e tra Stati ci attendono.

*

Se lo Stato è sempre più esautorato dal compito di regolare il conflitto tra capitale e lavoro, è viepiù affidato alla supposta consapevolezza dei consumatori quello di rimediare, attraverso le loro “scelte”, all’immoralità (?!) delle condotte delle multinazionali e al brigantaggio del mercato.

Da garante della funzione sociale dell’economia, lo Stato è divenuto il cane da guardia del capitale che attraverso la deregolamentazione trova campo libero per incrementare sfruttamento e massimizzazione dei profitti, in nome della competitività del sistema-paese e di un asserito interesse generale, e sempre sotto la minaccia dello strozzinaggio finanziario.

Uno degli effetti conseguenti è la disgregazione delle funzioni tradizionali della rappresentanza politica. Di fronte all’enorme complessità dei problemi e gli esiti imbarazzanti di questi processi, ci si propone di ridurre tale complessità attraverso una duplice operazione: l’individuazione di un esiguo numero di questioni potabili con la sua stabilità, e il rinnovo dell’anatema contro la sola ipotesi di un’alternativa a questo sistema (**).

Non vi è alcun interesse per un serio dibattito pubblico che perlomeno sfiori la radice delle contraddizioni della nostra epoca, dalla questione del lavoro a quella delle migrazioni. La cosiddetta “sinistra” nulla di concreto ha da dire sul tema del processo di destrutturazione (ideologica e normativa) del lavoro e del suo sistema di tutele, anzi l’ha entusiasticamente favorito in ogni modo, né nulla di nuovo ha da dire in tema di immigrazione se non a ricalco della destra.

Sul tema dell’occupazione, alla luce della rivoluzione tecnologica che in pochi anni travolgerà ancor più il mercato del lavoro, e non solo quello delle basse qualifiche ma anche quello delle professioni (e tutto l’assetto dell’attuale welfare), si è fatta solo propaganda su fantomatiche startup e industria 4.0 (gli operai continuano a bruciare in fabbrica!).

Viene facile allora considerare, a fronte della progressiva concentrazione dei poteri del denaro e della conoscenza, che la fidente aspettativa sulla “società dell’accesso” è andata ben presto a farsi benedire assieme alle “ragioni” del riformismo, lasciando sul lastrico un paio di generazioni. Ed è in buona sostanza questa sordità e afasia il motivo del fallimento delle “sinistre” europee.

È sufficiente leggere i programmi delle forze politiche, i “contratti” di governo, per rendersi conto che non c’è volontà e facoltà di affrontare tale complessità, e anzi traspare l’intento di sterilizzare tale complessità secondo le urgenze del momento, così come sono declinate nell’immaginario collettivo dai media. Il riformismo, di qualunque colore e incolore politico, è in campo con il prosaico obiettivo di tirare a campare, di guadagnare tempo e spartirsi cariche e posti con relativi appannaggi e privilegi.

(*) Vedi Amazon, multinazionale che punta a conquistare una posizione monopolistica nel mercato globale della distribuzione giocando al ribasso parossistico del prezzo delle merci.

(**) Sulla Rai, specie su Rai storia, vengono trasmesse ogni giorno lezioni di anticomunismo. 


7 commenti:

  1. Soprattutto dopo che gli Stati, appecoronati, si sono fatti scippare l'unica Organizzazione che avrebbe potuto contrastare tale deriva: l'ONU.
    Dividi et Impera.

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  2. Che poi Amazon spesso è tutt'altro che economica. Sempre così: una volta occupato il suo mercato da monopolista o aspirante tale, l'azienda ex low-cost massacra equamente i lavoratori e i "clienti" in totale impunità.

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  3. giustamente colleghi la crisi del riformismo di sinistra (ma, ad esempio, anche il riformismo dei radicali italiani, di radice libertaria e liberale, non sta molto meglio) alla mutata funzione dello stato rispetto alla struttura economica.

    però personalmente ritengo che la funzione di cane da guardia del rapporto sociale di base sia tutt'uno con quella redistributiva del prodotto sociale (tasse/diritti-servizi), quindi per me non c'è alcuna vera inversione del ruolo e del potere dello stato politico rispetto allo status economico.

    è la contingenza storica internazionale (a partire dai più vicini e diretti concorrenti) e soprattutto l' astuzia storica -di autoconservazione- del dominio che rende più o meno rigide o flessibili le modalità con cui il singolo stato (o addirittura parti di esso) partecipa alla competizione globale.

    dal punto di vista storico mi pare di poter affermare che i paesi leader del capitalismo mondiale hanno sempre proceduto con il doppio passo: carota e bastone, bastone e carota. a mio avviso non c'è alcuna svolta neoliberista come non c'è stata precedentemente una svolta keynesiana ma è il continuum del dominio che di volta in volta si processa, ma queste sono cose che ho già detto

    rimane a noi però capire come i bisogni immediati di un proletariato per lo più incosciente di sè possono strappare forme emancipative all' interno di un interesse generale borghese che ha assunto forme compatte a livello planetario e sempre più particolari e puntiformi a livello locale, aspetto che è esso stesso causa della crisi dello stato, della democrazia borghese e della irrilevanza delle sinistre

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    1. Credo invece nella progressiva perdita di ruolo dello Stato quale regolatore del meccanismo della riproduzione sociale laddove ha esposto il lavoro alla condizione darwiniana del mercato, e questa perdita di ruolo non può non sortire effetti sulle forme e la sostanza della rappresentanza politica.

      Mi pare che la mutata funzione dello Stato rispetto alla struttura economica sia un fatto storico dimostrato dal mutamento radicale, specie in Italia, della struttura economica (pubblico/privato) e anche dalle nuove e incondizionate agibilità del capitale stesso. Sono invece perfettamente d’accordo sulla contingenza storica internazionale e difatti sottolineo come il processo di accumulazione del capitale segua le sue leggi e come nuove e più cruente forme di competizione tra multinazionali e tra Stati ci attendano.

      Pertanto, che vi sia stata una svolta neoliberista come prima ci fu una svolta keynesiana mi pare assodato, e tuttavia hai ragione sul “continuum del dominio che di volta in volta si processa”, ma appunto secondo le diverse fasi del ciclo economico e il corrispondente diverso ruolo recitato dallo Stato.

      “strappare forme emancipative all' interno di un interesse generale borghese” è in ogni fase una tattica necessaria, ma di corto respiro dal punto di vista strategico, e cioè sul punto cruciale del rapporto tra capitale e lavoro: il padrone è sempre un passo avanti rispetto al suo schiavo. Le cose si sviluppano nel tempo lungo, che non è quello biologico della singola generazione, anche se tutti i processi stanno subendo un’accelerazione.

      Sempre stimolanti i tuoi interventi. Piove a dirotto.

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