giovedì 26 aprile 2018

Lo sfizio d’indovinare



Il lavoro è sempre più residuale, schiavitù “a perdere”, escluso dai benefici dell’aumentata produttività, eppure si troverà sempre il rotto in culo a dire che i salari sono ancora troppo alti (non certo il suo sudatissimo ma pingue stipendio).

Nei talk show e in ogni luogo dove si fabbrica la propaganda ci ricordano che la popolazione invecchia, le nascite crollano, il welfare è in affanno, mentre cresce il divario tra “riforme” promesse e realizzazioni.

La ricetta è sempre la stessa: fare bancomat sulle pensioni e le prestazioni sociali. Se ci fate caso chi parla di queste cose non ha mai lavorato un solo giorno nella sua vita, se non a chiacchiere, e tantomeno sotto padrone.

Tutto ciò, tra l’altro, ha effetti dissolventi sui legami sociali e la solidarietà di classe, cosicché alle vecchie alienazioni e insoddisfazioni se ne aggiungono sempre di nuove e universali per la felicità di giornalisti e sociologi che avranno ben modo di pontificare e guadagnare sulle tensioni sociali e politiche derivanti da questi rapidi mutamenti.

Che la realtà capitalistica presenti problemi di sovracapacità produttiva e di sovraccumulazione che non possono trovare soluzione effettiva e stabile, nonostante tutte le tattiche per stimolare nuovi bisogni, spesso fittizi, e programmate obsolescenze, è faccenda che passa in cavalleria. Per il resto si predica una più equa redistribuzione pur continuando a razzolare sui soliti noti.

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Il computer con il quale scrivo di queste cose è prodotto in Cina, ma il suo prezzo è realizzato da una multinazionale americana: la Foxconn guadagna un saggio del profitto modesto, mentre la Apple realizza la maggior parte del plusvalore e del sovraprofitto risucchiato nella vendita.

Questo semplice fatto la dice lunga sui reali rapporti di forza e sulla lotta in atto, su un confronto tra potenze sempre più aspro e aperto, che può assumere casualmente un’escalation incontrollabile e dagli esiti apocalittici. Risposta: «ci abbiamo il “ponte” lungo, perciò non rompere l’anima con 'sti teoremi».

E allora, se non altro, prendetevi lo sfizio d’indovinare chi scrisse queste parole:

«Quando l’accumulazione di ricchezze non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale. Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudomorali che ci hanno superstiziosamente angosciati per due secoli, e per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso, è distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista delle malattie mentali. Saremo, infine, liberi di lasciare cadere tutte quelle abitudini sociali e quelle pratiche economiche relative alla distribuzione della ricchezza, e alle ricompense e penalità economiche, che adesso conserviamo a tutti i costi, per quanto di per sé sgradevoli e ingiuste, per la loro incredibile utilità a sollecitare l’accumulazione del capitale

La soluzione in nota (***).

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In un mondo inondato di liquidità, come ci ricorda il FMI, i flussi di capitale eccedente trovano limiti spaziali e di redditività, né potrebbe essere altrimenti, poiché l’assorbimento di capitale oltre un certo limite è impossibile. Come diceva il più cospicuo perditempo del XIX secolo, il limite al capitale è il capitale stesso.

Si tratta di tendenze in forte accelerazione che dimostrano come l’attuale sistema di proprietà, di appropriazione e distribuzione della ricchezza non è compatibile con la realtà sociale e le urgenze che essa esprime, e come il connubio tra gli Stati e la finanza non sia in alcun modo soggetto a un controllo democratico.

Scriveva a tale riguardo il perditempo di cui sopra: «In certe sfere [il capitale] stabilisce il monopolio e richiede quindi l’intervento dello Stato. Ricostituisce una nuova aristocrazia finanziaria, una nuova categoria di parassiti nella forma di escogitatori di progetti, di fondatori e di direttori che sono tali semplicemente di nome; tutto un sistema di frodi e d’imbrogli che ha per oggetto la fondazione di società, l’emissione e il commercio di azioni. È produzione privata senza il controllo della proprietà privata» (III, 27).

Queste gigantesche imprese dedite essenzialmente alla speculazione e all’accumulazione di denaro, muovono somme di miliardi a velocità elettronica, in cui il capitale costante è in proporzioni così enormi rispetto al capitale variabile che tale rapporto non incide necessariamente sul livellamento del saggio generale del profitto. E questa, come osservava Marx, è una delle cause che si oppongono alla caduta del saggio generale del profitto, ma si presenta anche, prima facie, come semplice momento di transizione verso una nuova forma di produzione (*).

Insomma, il modo di produzione attuale non si pone solo contro il lavoro, bensì contro tutti, contro l’umanità intera. I rapporti capitalistici, da forme di sviluppo delle forze produttive, si sono convertiti con rapidità in oggettivi limiti all’ulteriore sviluppo umano (**). Raggiunta la massa critica delle contraddizioni, sarà inevitabile l’esplosione della protesta sociale su una scala inedita per estensione e radicalità.

(*) «Facendo astrazione dalle società per azioni — che sono l’annullamento dell’industria privata capitalistica sulla base del sistema capitalistico stesso, e distruggono l’industria privata a misura che esse si ingrandiscono e invadono nuove sfere di produzione —, il credito permette al singolo capitalista o a colui che è tenuto in conto di capitalista, di disporre completamente, entro certi limiti, del capitale e della proprietà altrui, e per conseguenza del lavoro altrui. La possibilità di disporre del capitale sociale che non gli appartiene gli permette di disporre del lavoro sociale. Il capitale stesso che si possiede in realtà oppure nell’opinione del pubblico, diventa soltanto la base per la sovrastruttura creditizia. […] Tutte le misure, tutte le spiegazioni ancora più o meno accettate all’interno del modo di produzione capitalistico, qui scompaiono».

(**) Un terzo dei bambini del paese più ricco del mondo, gli Usa, vive in povertà e spesso in ambienti malsani, non di rado soffrendo la fame e l’avvelenamento da piombo, e si vede negato l’accesso a servizi sociali elementari e a opportunità d’istruzione. La signora Botteri, a piè di canone Rai in quel di New York, di queste cose non ci dirà mai una sillaba.

(***) J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, il Saggiatore, 2011, p. 281.

2 commenti:

  1. Mi permetto di correggerle la fine del terzo periodo: forse non hanno lavorato sotto padrone (e ho qualche dubbio), sicuramente per i padroni.
    Alessandro

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