sabato 7 aprile 2018

La guerra ai tempi di Donald Trump



Scriveva l’economista David Ricardo nel suoi Principi dell’economia politica e della tassazione:

«Vi sono merci, il cui valore è determinato esclusivamente dalla scarsità. Non esiste lavoro che possa accrescere la quantità di tali merci, e perciò il loro valore non può diminuire per un aumento dell’offerta. Rientrano in questa categoria statue e quadri rari, libri e monete scarsi, vini di particolare qualità che si possono ottenere solo da uve maturate in particolari terreni, in cui vi sia una quantità molto limitata. Il loro valore è del tutto indipendente dalla quantità di lavoro originariamente necessaria per produrli e varia con il variare della ricchezza e dei gusti di coloro che desiderano possederli. [*]»

È proprio come appare al senso comune? In tal modo l'assunto secondo cui il valore delle merci è determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario per produrle andrebbe a farsi benedire, sia pure per eccezioni come quelle elencate da Ricardo.

*


La forma di merce dei prodotti del lavoro acquista validità generale nell’epoca capitalistica, anche se la produzione di merci non presuppone necessariamente il modo di produzione capitalistico. Ed infatti, statue e vini rari potevano raggiungere prezzi altissimi anche in epoche diverse. Vediamo cosa dice Marx a proposito di tale questione, peraltro senza citare espressamente Ricardo:

«Una vigna che produce vino di qualità assolutamente straordinaria, vino che in generale può essere prodotto soltanto in quantità relativamente scarsa, frutta un prezzo di monopolio. Il coltivatore della vigna verrebbe a realizzare un plusprofitto considerevole da questo prezzo di monopolio, la cui eccedenza sopra il valore del prodotto sarebbe esclusivamente determinata dalla ricchezza e dalla preferenza dei bevitori altolocati. Questo plusprofitto, che qui sgorga da un prezzo di monopolio, si trasforma in rendita e in questa forma finisce in mano al proprietario fondiario, grazie al suo titolo che gli dà diritto a questa porzione della terra dotata di particolari qualità. In questo caso, quindi, il prezzo di monopolio crea la rendita.»

Questo spiega perché un dipinto di Raffaello non è venduto al suo valore intrinseco, ma al prezzo di milioni di euro, sfruttando il prezzo di monopolio; e spiega anche perché dei grappoli d’uva di una qualità rarissima, se non fossero vendemmiati e trasformati in vino con il lavoro umano, non solo non potrebbero essere trasformati in vino pregiato da vendersi a prezzi di monopolio, ma resterebbero a rinsecchire nella vigna.

E se il lavoro lo compiono le macchine? La progettazione, fabbricazione, manutenzione e impiego delle macchine chi la fa? Resta pur sempre la questione se il rendimento vale l’investimento, ma questo è un altro paio di maniche. Il monopolio serve anche a questo, a rastrellare una parte dei profitti di altre sfere di produzione, e con ciò ingrassando anche la rendita, cioè Wall Street, ecc.. Anche a questo però c’è un limite. E si ritorna alla questione di partenza. Le maglie entro le quali opera la legge del valore si fanno sempre più strette. Sulla finzione del “libero mercato”, in realtà dominato dal monopolio e dal dumping, fa la sua comparsa … Donald Trump.

[*] ISEDI, 1976 p. 8. Ricardo partiva da un presupposto esatto: «Il valore di una merce , ovvero la quantità di ogni altra merce con la quale si scambierà, dipende dalla relativa quantità di lavoro necessaria alla sua produzione, e non dal maggiore o minore compenso che per tale lavoro viene corrisposto» ibidem, p. 7.  Marx, nelle Teorie sul plusvalore, riconosce il valore teorico di questa impostazione da parte di Ricardo e di Smith, però ne coglie anche le ulteriori contraddizioni e gli errori.


In seguito, l'economia volgare, l'apologetica quale conosciamo anche ai nostri giorni, si spinse a considerare costituenti del plusvalore contenuto nelle merci tutti i fattori della produzione. In realtà il capitale costante, cioè il valore degli impianti, del macchinario, delle materie prime ed ausiliarie, entra nel valore del singolo prodotto solo pro quota. Il valore aggiunto, cioè il plusvalore, è dato dal lavoro non pagato dell'operaio.


6 commenti:

  1. Libero..."marcato"? Che è?

    Quelli del calcio direbbero: se è marcato, come fa ad essere libero?
    :)

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  2. Leggo questo blog con regolarità, per me rappresenta quell'isola che appare in lontananza, attraverso la bruma. La questione del valore è di cruciale importanza nell'economia politica, ma pare che oggi questa questione sia del tutto ignorata o semplicemente ridotta a grottesche sciocchezze: "il plusvalore non esiste, è un'invenzione luciferina di Marx, il valore è soggettivo" and so on. Quanti danni ha fatto e continua a fare il marginalismo!!
    Grazie per il suo impegno quotidiano e per la fresca brezza che con i suoi scritti porta nella mia giornata, e non solo nella mia .

    CT

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    1. se le cose stanno così, non posso mollare
      grazie, grazie e ancora tante grazie

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  3. C'è una cosa che non capisco (anzi almeno ventinovemiladuecento, e non è un numero scelto a caso). E' ovvio che il valore di una bottiglia di Brunello di Montalcino dipende dal lavoro umano ma dove sta il lavoro umano del dipinto di Raffaello?

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  4. il lavoro umano di un dipinto di RAffaello e' nella purezza del cuore o della mente, scelga lei, priva di egoismo, priva di un io o noi, che guarda alla visione come a uno specchio che tutto riflette ma che nulla contiene.

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