giovedì 22 marzo 2018

Una questione pratica


Veniamo al tema che appassiona in questo momento la platea, ossia il reddito di cittadinanza o anche reddito d’esistenza, cioè un reddito quale l’ha proposto, da ultimo, il leader dei 5 stelle. La questione, vera, dirimente, non riguarda semplicemente la disponibilità di risorse adeguate senza fare nuovo debito, senza cioè gravare con nuova spesa sul bilancio dello Stato. C’è una questione che sta a monte e che viene completamente trascurata.

L’idea di dare un reddito di sussistenza a tutti è in sé una proposta che ha un senso, posto che le file dell’esercito dei disoccupati, dei precari a vita, degli inattivi, dei lavoratori improduttivi, è destinato ad assumere nel tempo proporzioni di difficile gestione, creando in un prossimo domani situazioni esplosive.

A prima vista il problema riguarda la ricchezza e la sua distribuzione, o, per dirla in termini prosaici, le possibilità e potenzialità produttive per dare da vivere a tutti. In realtà il problema, entro certi limiti, oggi non si porrebbe (non ci sono troppe bocche per poco cibo, ma troppo cibo per alcune bocche) se non fosse per il modo capitalistico di concepire e misurare la ricchezza, modo capitalistico che impedisce l’estendersi all’intera società della ricchezza come ricchezza reale.


Spiego: vero che possiamo potenzialmente produrre ricchezza per sfamare l’intera umanità, e anche con una certa larghezza, ma vi sono ragioni, per così dire, anche d’ordine tecnico che impediscono che ciò possa avvenire.

Primo: il capitale non viene investito per produrre cibo, vestiario o abitazioni, ma per generare profitto. Al capitalista poco importa se produrre navi da crociera o portaerei. Secondo: tali merci contengono una quota di lavoro non pagato, ossia pluslavoro, che nello scambio si realizza come plusvalore, ossia quella parte di valore del prodotto del lavoro che non viene pagata all’operaio.

Per appropriarsi di quote maggiori di plusvalore e far fronte alla concorrenza, i capitalisti devono costantemente aumentare la produttività del lavoro. Ciò impone l’aumento e il miglioramento incessante del livello tecnico degli impianti e del macchinario. Maggiore è il perfezionamento tecnologico, più il numero di operai e addetti richiesti per la stessa quantità di produzione è minore. Questo fatto sta diventando evidente agli occhi di tutti.

Poiché l’unica fonte di valore, e quindi di plusvalore, è la forza-lavoro, la diminuzione relativa del capitale variabile implica che si giunga ad un punto del processo di accumulazione in cui il plusvalore prodotto è divenuto così piccolo, relativamente al capitale complessivo accumulato, che non è più sufficiente a valorizzare l’intero capitale, facendogli compiere il necessario salto di composizione organica.

Si apre a questo punto una lotta spasmodica tra i capitali concorrenti e tra le diverse sfere di produzione per accaparrarsi quote di plusvalore. L’attuale disputa sui dazi, per esempio, è solo un aspetto, un fenomeno, di tale lotta.

Pertanto, per venire in sintesi al punto, non si tratta di decidere se produrre di più e di distribuire meglio la ricchezza prodotta, ma di affrontare un nodo gordiano, cioè la questione reale che si presenta in modo sempre più pressante ed urgente: le quote decrescenti del saggio del profitto risultano con crescente difficoltà sufficienti a valorizzare l’intero capitale investito (faccenda che non c'entra nulla con la crescente ricchezza dei singoli capitalisti).

Sembra questa, mi rendo conto, un’argomentazione teorica, in realtà è una questione maledettamente pratica. Tassare ulteriormente i profitti, sempre più esigui rispetto agli investimenti, per creare nuova spesa pubblica è strada impervia e senza reale ritorno. Tassare maggiormente le multinazionali è un gioco che può dare qualche risultato solo momentaneo, nel senso che le multinazionali, appunto perché tali, possono decidere di lasciare un dato paese o area economica, oppure di rivalersi, usando la leva dei prezzi, ossia la forza del monopolio, su altre sfere di produzione. E via di seguito.

Si propone il reddito di cittadinanza e simili, ma tale misura non potrà essere realizzata a spese del capitale, e dunque a pagare maggiormente il conto saranno i ceti medi, soprattutto quelli produttivi (l'evasione fiscale è già un sostegno al reddito!), di modo da spalmare non la ricchezza ma le briciole.

Aveva ragione chi sosteneva che a governare è il capitale, ad amministrare i tecnici, e i politici stanno in televisione. Alla fine i nodi verranno al pettine.

Il capitalismo e la società borghese, nel momento del loro massimo trionfo, sono entrati in una dinamica di crisi storica generale che  porterà inevitabilmente ad un’esplosione delle contraddizioni. Sperando che non ci arrostiscano tutti.

Per gli ardimentosi che volessero leggere qualcosa di meno schematico: quiqui.

13 commenti:

  1. Risposte
    1. Cara Olympe, bisogna sognare in avanti (era Lenin che lo diceva?), non all'indietro.
      queste sono frazioni borghesi reazionarie.- Hanno i giorni contati, più ci mettono a fare un governo, meno ne avranno. Ma sanno pure che più ci mettono a far sognare le genti addormentate, meno ne sveglieranno.
      La fine della fine della storia, il sonno.
      ciao, e buonanotte.

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    2. Comprendo la sua voglia di portare questo tipo di conoscenza a più persone possibili. E mi compiaccio per le semplificazioni apportate per far comprendere secondo il punto di vista delle scoperte marxiane sul modo di produzione capitalistico.
      Ma temo che, la maggior parte dei lettori che gironzolano per il web ,non capiranno. Hanno sotterrato Marx molto sotto, sotto terra.
      Continui così. La saluto.

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  2. la diagnosi è esatta ( oltre che scritta bene) , la prognosi è infausta ma la medicina ancora non si vede; quella " visionata" dal prof Marx non ha funzionato , e non funzionerebbe nemmeno a riproporla altre 1000 volte.
    Finirà male.
    ws

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    1. E quale sarebbe quella "visionata" dal prof. Marx?
      (A proposito, non sapevo che fosse un...professore!)
      È proprio vero che: non si finisce mai di imparare.

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    2. Sottolineavo che la "diagnosi" ( storica) qui ben riportata è nella scuola di quel grande "professore" ( di storia)
      Forse lei preferiva "profeta"ma la di lui (pre)visione del superamento delle classi non si è realizzata in nessun "socialismo reale",ne ( io penso) mai si realizzerà.

      Ed è li che bisognerebbe lavorare per capirne il perché ; e sono sicuro che "il professore" ,se fosse ancora tra noi, riuscirebbe a spiegarci questo DATO DI FATTO.
      ws

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    3. «Ciò che conta non è che cosa questo o quel proletario, o anche tutto il proletariato si rappresenta temporaneamente come fine. Ciò che conta è che cosa esso è e che cosa sarà costretto storicamente a fare in conformità a questo suo essere. Il suo fine e la sua azione storica sono indicati in modo chiaro, in modo irrevocabile, nella situazione della sua vita e in tutta l’organizzazione della società civile moderna».

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    4. allora il problema del modo di produzione della ricchezza fu affrontato col compagno Stakanov in qualità di testimonial, forse per questo i risultati ti sembrano così deludenti

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  3. Il POTERE è bravo nella manipolazione delle parole: la trasformazione della scuola in un’azienda diventa “la Buona scuola”, il Jobs Act ,che elimina la giusta causa per i licenziamenti, diventa “il Contratto a tutele crescenti”, i tagli alle spese delle Amministrazioni centrali e alle dotazioni di alcuni fondi, nonché minori trasferimenti dallo Stato agli enti territoriali, diventa la “Spending Review”, una mancetta diventa il reddito di cittadinanza e, dulcis in fundo, le nobili "Guerre Umanitarie per esportare la Democrazia".

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    1. in una parola , anche nel campo del potere c'è "sviluppo" e "la tecnologia" si evolve; vediamo ad esempio che un sempre nuovo "fottere nel cervello" funziona sempre meglio del vecchio "bastonare il corpo"
      ws

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  4. nel post si dà un esempio di scienza della logica, non di un ideale a cui la realtà dovrà conformarsi o di una superstizione storicista

    naturalmente la storia non va così, ma la logica non viene meno

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