domenica 14 gennaio 2018

Comunque vada



Negli anni Ottanta del Settecento l’aristocrazia e l’alto clero francesi si ostinarono a non voler rinunciare, almeno in parte, ai loro privilegi e a non pagare le imposte, cose che avrebbero potuto salvare o quantomeno ridurre il rischio della bancarotta finanziaria del regno di Luigi XVI. Forse non fu questo ostinato rifiuto il motivo principale che portò ai fatti dell’Ottantanove, e tuttavia il dissesto finanziario del regno non fu certo un motivo secondario.  

Il Settecento sembra a noi un secolo ormai lontano, ben duecento anni e anche qualcosa di più. Chiedo: e che cosa saranno mai due secoli nella storia plurimillenaria dell’umanità? Eppure oggi quel secolo di svolta ci appare distante poiché i problemi e gli avvenimenti di quel periodo cruciale riteniamo siano ben diversi da quelli attuali. Sicuri?

Fu all’epoca di Rousseau che si diffuse il culto della natura (ricordiamo tutti l’hameau de la Reine in quel di Versailles) e il convincimento che il bene risiedesse in essa. E non è forse così anche nel sentimento generale dei nostri giorni, sebbene la natura continui ad essere saccheggiata e dissipate senza sosta le sue risorse?

Anche allora tutto ciò che rappresentava una novità sembrava buono, e tutto ciò che era vecchio doveva essere, come dicono oggi, rottamato. Lo sconvolgimento fu così radicale che del vecchio edificio non rimase in piedi apparentemente nulla. Finalmente, certo. E però, a ben considerare, in un decennio di furibondi conflitti e di stragi si passò dalla vecchia monarchia all'uomo nuovo del Diciotto Brumaio, dall’assolutismo alla dittatura.

Dapprima a migliaia di aristocratici (ma non solo a loro) fu tagliata la testa, per dimostrare che si faceva sul serio; poi, a centinaia di migliaia di giovani contadini e proletari fu dato, nel migliore dei casi, un metro di terra per sepoltura sui verdi campi del continente o nelle gelide pianure di Russia.

Fu l’esordio dell’epopea borghese. Sembrava che solo i primi decenni sarebbero stati difficili e che poi passava. Non è stato così ed è ancora aperta la disputa se il peggio sia il fardello inevitabile del meglio.

*

Il secolo dei lumi fu rappresentato dai non pochi che si facevano mantenere, per esempio, da mezzo milione di schiavi africani di Santo Domingo, i quali producevano il 40% dello zucchero e il 60% del caffè consumato in Europa, e ciò senza contare il lavoro degli schiavi bianchi nostrani curvi sulla zappa o sul telaio.

E anche quel grand’uomo dello zar Pietro fu assai illuminato, tanto da formalizzare per legge la schiavitù della gleba in Russia. Ed è nel XVIII secolo che fu ufficializzato il fenomeno degli harem di serve presso le abitazioni dei proprietari terrieri russi, percepito peraltro come un’usanza “europea” (*). Porci bolscevichi ante litteram!

Fu il secolo della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d'America, la quale proclamava che tutti gli uomini sono uguali, dotati di alcuni diritti inalienabili, fra questi la vita, la libertà e, per non farsi mancare nulla, i proprietari di schiavi aggiunsero a matita: “la ricerca della felicità”. Ci vollero due secoli prima che delle leggi abolissero formalmente alcuni degli aspetti più odiosi del segregazionismo americano.

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Eh, la Storia. Quale rapporto abbiamo con essa? Attraversiamo uno strano periodo che vede da un lato uno sviluppo senza precedenti del progresso tecno-scientifico e che tuttavia dall’altro si accompagna a un preoccupante e generale regresso culturale: ci siamo dimenticati che la cultura è legata all’esperienza passata, alla memoria. Memoria attiva.

Quando noi contemporanei ci riferiamo alla nostra cultura parliamo della nostra storia. In linea di massima parliamo, magari senza rendercene ben conto, di una cultura e di una storia sola, quella dell’umanità e della via lunghissima che ha percorso. Ecco perché è importante la lotta per la memoria. Ognuno di noi, pur nel suo piccolo, riveste un ruolo di responsabilità in questa lotta. Apparteniamo tutti, comunque vada, alla Storia.


(*) «Le ragazze venivano prelevate dai villaggi e rivestite in abiti europei all’ultima moda, apprendevano il francese e leggevano versi, se si macchiavano di colpa, rimettevano loro addosso gli abiti contadini, non europei, e le rispedivano al villaggio. Cosicché l’entrata nell’harem era concepita come una sorta d’iniziazione alla cultura europea» (Jurij M. Lotman, Conversazioni sulla cultura russa, 2017, p. 32).

2 commenti:

  1. Cara Olympe,

    circa 5 lustri fa ,aggirandomi per le bancarelle di un borgo di provincia , mi imbattei in un libro : I Fazzoletti Rossi della Vandea di Michel Ragon.
    Fino a quel tempo della Vandea sapevo poco ,ma si definiva come una zona particolarmente "reazionaria".
    Tempo dopo scoprii di essere forse un discendente di un "bannato", ovvero di un brigante contadino del tempo della "rivolta degli zoccoli "al tempo del dominio Napoleonico nel Piemonte occidentale.
    Interessatomi poi di studi di storia locale ,compresi che vi erano affinità tra la Vandea e il Piemonte per quanto atteneva alla condizione dei contadini.
    Per chiudere ,in estrema sintesi, pervenni alla convinzione che i Borghesi dalle mie parti altri non erano che gli artigiani, e gli "intellettuali locali", i quali, saranno pur stati dei bravi anticlericali e fautori del libero pensiero (sovente il "loro"), ma che rispetto alle "masse" ignoranti erano implacabili esattori delle tasse e ingegnosi affaristi del primo libero mercato locale.
    Al che pervenni alla conclusione che non avevo nessuna ragione di vergognarmi dal mio avo.
    Quindi in conclusione , viva il Progresso ,ma con Judicio come al solito .
    La stessa "società" si può riscontrare sociologicamente ancora oggi nelle provincie, ma sta per essere spazzata via tra una generazione o due, stante alle leggi demografiche ; in questo caso mi riferisco di conseguenza alla mentalità più che del resto..

    Complimenti per il Pezzo .

    saluti
    caino

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  2. sospettavo fossi un discendente di un brigante :D
    grazie

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