giovedì 21 dicembre 2017

Il bivio


Nelle vicende del riformismo socialdemocratico e nelle esperienze di comunismo del XX secolo possiamo cogliere il fallimento degli scenari previsti dalla teoria?

Per quanto riguarda il riformismo, quale espressione politica, e il revisionismo, quale suo fondamento teorico, alla luce dei fatti, la risposta al quesito non può che essere affermativa. L’ipotesi di riformabilità del sistema capitalistico, la sua capacità di auto emendarsi, era già contraddetta prima del grande conflitto europeo, e, nel secondo dopoguerra, ha retto con successo solo per il ciclo dei “ruggenti trenta”, consentendo alle classi sfruttate dell’Occidente di ottenere diverse concessioni migliorative (*).

Del resto, il revisionismo di matrice socialdemocratica attaccava scientemente i postulati del marxismo per trasformare i partiti socialisti in un movimento democratico alleato della borghesia. Una forma di opportunismo mascherato da realismo politico che pur non negando le contraddizioni del capitalismo sosteneva di volerle smussare, e gradualmente instaurare il socialismo puntando sulle riforme. Oggi nemmeno di ciò si discute e il sistema borghese è ritenuto senza alternativa possibile.
 
Per quanto riguarda invece la teoria che fu alla base del leninismo, e dunque essenzialmente e fondamentalmente alla base della teoria rivoluzionaria d’ispirazione marxista, si segnala per un errore di prospettiva storica che si convertì in limite pratico. Consistette nel credere, almeno in prima battuta, che il tornante epocale della fine della formazione sociale capitalistica fosse stato raggiunto nel rapido precipitare degli eventi nel corso del primo conflitto mondiale, nonostante già allora gli Stati Uniti d’America si profilassero come il paese capitalistico più ricco e potente del mondo.

Un errore di prospettiva che fu comune anche a Marx ed Engels nel 1848. La critica marxiana del modo di produzione capitalistico era allora di là da venire, e ad ogni modo Marx ed Engels ammisero in seguito il giovanile abbaglio (**).

Ciò posto, resta in piedi la stessa questione di sempre, riassumibile nella insuperata contraddizione fra il carattere sociale della produzione moderna e il carattere asociale della proprietà borghese. È tale contraddizione la fonte principale dell’irrazionalismo che condanna la società moderna a crisi e guerre ricorrenti e impedisce all’umanità di padroneggiare il proprio destino.

Puntare sul mito dello sviluppo tecnologico legato alle esigenze di valorizzazione del capitale, sul mercato e dunque sul denaro come regolatore totalitario di ogni cosa, ci sta portando a una disperazione e una tensione estrema. Il disorientamento è palpabile in ogni ambito della società. Ci rifiutiamo di comprendere che lo sviluppo della forza produttiva del lavoro, determinando la caduta del saggio del profitto, genera una legge che ad un dato momento si oppone inconciliabilmente al suo ulteriore sviluppo e deve essere di continuo superata per mezzo di crisi.

Col progredire della dinamica divaricantesi tra valore d’uso e valore di scambio nella massa di merci prodotte, conseguente alla sostituzione di lavoro vivo con sistemi di macchine, le crisi assumono un carattere strutturale pressoché permanete, ossia il carattere generale di crisi storica del modo di produzione capitalistico e della formazione sociale borghese. Questa crisi generale-storica che investe il capitalismo nella sua totalità, si estende nel tempo quanto più aumentano le difficoltà di valorizzazione.

Tuttavia, pensare che le leggi dell’economia portino, per se stesse, al superamento della società borghese, non solo è un’illusione ma costituisce un grave errore di analisi e di prospettiva. Oggi ancor più che nel passato l’umanità si trova di fronte ad un bivio quanto mai decisivo per la sua civiltà, per la propria stessa sopravvivenza come specie. Proseguire sulla strada del capitalismo ci porterà a nuove e più drammatiche tragedie, tenuto conto che il mezzo con il quale l’imperialismo ha sempre storicamente risolto le sue periodiche crisi è stato, indubitabilmente, la guerra.

«Ad ogni passo ci viene ricordato che non dominiamo la natura come un conquistatore domina un popolo straniero soggiogato, che non la dominiamo come chi è estraneo da essa, ma che noi le apparteniamo […]; tutto il nostro dominio sulla natura consiste nella capacità, che ci eleva al di sopra delle altre creature, di conoscere le sue leggi e di adoprarle nel modo più opportuno […]. Questo richiede una completa rivoluzione […] del nostro intero ordine sociale contemporaneo


(*) L’emergere del mercato di consumo garantì al capitale un nuovo ciclo pluridecennale dell'accumulazione, ma le stesse leggi che hanno prodotto tale slancio confermarono che nulla è per sempre, e nella crisi generale del modo di produzione capitalistico esse mostrano il carattere dialettico dei processi ininterrotti del divenire e del transitorio, ossia la caducità di tutte le cose.


(**) Scrisse poi Marx: «Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione.»   

10 commenti:

  1. ma se la classe operaia riconosce il capitalismo come legge di natura cos'è il "modo più opportuno"? cos'è l'opportunismo di classe? è forse strumento di lotta contronatura?
    Mi sembra che la risposta sia nel tuo post precedente. Ancora complimenti, ciao

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    1. purtroppo la classe operaia non riconosce un bel niente, distratta ad arte dai suoi veri interessi
      Marx ha formulato la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. essa funziona come una legge di natura e può essere espressa matematicamente. un conto è l'indipendenza di questa legge, altro paio di maniche è la contraddizione in cui essa si esprime.
      La legge del saggio decrescente del profitto, che si esprime con lo stesso saggio del plusvalore o anche con un saggio crescente, dice in altri termini quale sia il vero limite del capitale sia da un punto di vista storico che logico. E il vero limite del capitale è il capitale stesso.
      prendiamo ad esempio il fenomeno della disoccupazione: nella medesima proporzione in cui si sviluppa la produzione capitalistica si sviluppa anche la possibilità di una sovrabbondanza relativa di popolazione operaia, e, questo, non in quanto la forza produttiva del lavoro sociale diminuisce, ma in quanto aumenta; non perché la forza produttiva del lavoro sociale diminuisce, ma perché aumenta; non a causa di una sproporzione assoluta tra il lavoro ed i mezzi di sostentamento o i mezzi di produzione di essi, bensì una sproporzione derivante dallo sfruttamento capitalistico del lavoro, cioè a causa della sproporzione tra il crescente aumento del capitale ed i suo bisogno, relativamente minore, di una crescente popolazione operaia.
      Tuttavia, tale legge, esprime una ben altra contraddizione e non riguarda solo il fenomeno della disoccupazione, per quanto questo sia, appunto come fenomeno, appariscente. ciao

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    2. sempre grande accordo e piacere nel sentirti puntuale.
      In una situazione data, l'opportunismo - di una classe come dell'altra, in conflitto - sta nel controllo dell'informazione e della cultura. Naturalmente iniziando, criticando e infine rivendicando la propria. L'altro giorno in un'aula okkupata di Napoli leggevo sul muro "fai il disoccupato comunista". In fondo è questo, contronatura. L'opportunità è fare ciò che siamo. Non è facile arrivare ad una consapevolezza 'anticulturale' su ciò che siamo, s'ha da studiare per okkupare se stessi... Non basta però scegliere (di studiare) bisogna poi assumersi le conseguenze. E non sperare che arrivi la rivoluzione. Buon Natale.

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    3. a Napoli avete 12 gradi di più, accontentatevi :) buon natale a te

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    4. Sarò molto sintetico. Caduta del saggio medio del profitto. Caduta sempre più precipitosa nella fase senescente del capitalismo. Quando qualcosa cade alla fine fa patatrac. Il patatrac del capitalismo si può manifestare in forma economica (crisi profonda), politica e militare. Ma questi sono "argomenti" troppo giganteschi per individui alle prese con la propria senescenza. Parlo per me stesso, beninteso. E le nuove generazioni hanno altro a cui pensare. La specie umana è proprio sistemata bene! Anche perché, la storia insegna, quando l'uomo ha creato delle armi le ha sempre usate.

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  2. fra il carattere sociale della produzione moderna e il
    carattere asociale della proprietà borghese...

    sì, a me però pare che quando Marx usa l' attributo
    "sociale" non gli dia una connotazione positiva a prescindere

    La potenza sociale capitalista si contrappone oggi non solo allo sviluppo delle forze produttive ma anche a quello dell' individuo nel seno della storia umana

    Proprio il capitalismo è lì a mostrarci quanto possa essere potente, e mostruosa, la potenza sociale

    Certo che al pari dell' offerta di socialità questo modo di produzione mette in vetrina una altrettanto vasta offerta di individualità, ma la seconda a me pare molto ben confezionata ma più sofferta della prima: la profilazione a cui siamo sottoposti di continuo questo sembra suggerirmi, la paura che siano gli individui a rivoltarsi

    Come sono lontani i tempi in cui Marx polemizzando con
    Stirner approcciava scientificamente il problema dell'
    individualità, tanto per dire

    Pare il contrario, infatti direi che la prassi teorica "controintuitiva", termine che forse equivale all' "anticulturale" di sopra, sull' esempio di M&E, ha un gran futuro

    Ciao, per gli auguri è presto

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  3. Un nuovo post di una lucidità e chiarezza estreme. Riguardo alla frase, «resta in piedi la stessa questione di sempre, riassumibile nella insuperata contraddizione fra il carattere sociale della produzione moderna e il carattere asociale della proprietà borghese» viene da piangere pensare che oggi queste evidenze palmari non abbiano alcune voce politica, siano oscurate e taciute, e il peggio è che se anche fossero dette nelle tribune mediatiche sarebbero vilipese non solo dai difensori prezzolati dell'esistente, ma altresì da coloro che subiscono sulla propria pelle le conseguenze di tale contraddizione.

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