mercoledì 8 novembre 2017

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Non c’è paese in Europa (nemmeno in Grecia) e nel mondo nel quale il tema previdenziale sia dibattuto in maniera asfissiante come nel teatro mediatico italiano. Non c’è giornale o talk show che quotidianamente non ne parli, e in rete vi sono siti specifici di “aggiornamento” che di ora in ora sfornano notizie e sussurri di politici, sindacalisti ed esperti vari sull’argomento. È un vero e proprio stillicidio, un reiterato terrorismo previdenziale fatto di promesse e smentite, di minacce e allarmi. L’insicurezza e la paura non portano solo voti, ma anche lettori e telespettatori, dunque inserzioni pubblicitarie, vale a dire stipendi e prebende per una vasta platea di iene e sciacalli.

Lo sappiamo bene che, non solo in Italia, la popolazione tende ad invecchiare, che progressivamente il rapporto tra popolazione attiva e quella in quiescenza è destinato a sbilanciarsi. Dunque il tema della spesa previdenziale diventerà sempre più urgente e scottante, annunciando l’imminenza del diluvio. L’arca di salvataggio sembra essere quella di allungare per quanto possibile l’età lavorativa. E però questo “rimedio a tutto” presenta delle controindicazioni non trascurabili. La prima è sotto gli occhi di tutti – per quanto alcuni abitanti di Marte lo neghino “dati alla mano” – e riguarda il “tappo” nel ricambio generazionale. Altra questione non trascurabile – salvo, appunto, per i soliti marziani – riguarda i problemi di chi dopo i 50 anni (ma anche prima) viene a trovarsi senza lavoro e senza alcuna prospettiva di essere riassunto.


Sono contraddizioni in seno alla società borghese, che preferisce gestire la povertà e la miseria di fasce di popolazione sempre più ampie piuttosto che porvi rimedio. Se a decidere su queste questioni sono le istanze politiche neoliberiste e monetarie internazionali si può star certi che la situazione potrà solo aggravarsi, tanto più che vi sono grandi interessi complementari che sfruttano l’insicurezza sociale e la povertà afflitta. E tutto ciò avviene mentre la crescita economica significa anzitutto la crescita del capitale inerte e delle rendite, mentre dall’altro lato l’innovazione tecnologica e la gestione razionale giustifica le riduzioni di posti di lavoro e nuove forme di sfruttamento.

La borghesia e i suoi corifei queste cose le sanno benissimo, ed è perciò che giocano a mettere giovani proletari e vecchi pensionati gli uni contro gli altri. In tal modo le contraddizioni del sistema nei loro effetti devastanti ricadono sulle spalle e degli uni e degli altri. Del resto questi problemi della previdenza e del lavoro, che passano per essere problemi “demografici” o legati allo sviluppo tecnologico ma che in realtà sono problemi inerenti al modo di produzione e distribuzione della ricchezza, non possono essere affrontati e avviati a soluzione nell’ambito di questo sistema ed entro i limiti delle singole nazioni. Tantomeno ­– e questo presto o tardi bisognerà metterselo in testa ­– tali questioni, così come altre, possono essere affrontate in modo pacifico poiché ad opporsi a un mutamento degli attuali rapporti di proprietà, essenziali poiché da essi dipende la forma di tutti gli altri rapporti sociali, sono i padroni del mondo, cioè quelli che si fanno fare le leggi a loro uso e consumo (*).


(*) Sia chiaro: la questione non riguarda semplicemente il modo nel quale viene distribuita la ricchezza. Se così fosse, con una “politica dei redditi” più equilibrata, e dunque con una politica fiscale più rigorosa, si potrebbe ridurre le più vistose disuguaglianze. I vecchi e nuovi credenti della lotta all’evasione fiscale trascurano il nesso essenziale che lega i rapporti di produzione e di scambio capitalistici ai problemi della distribuzione della ricchezza, e quindi evitano di affrontare il lato essenziale della questione, ossia l’impossibilità di risolvere la contraddizione fondamentale del capitalismo, che è e resta nell’ambito della produzione del valore.

3 commenti:

  1. il capitalismo porta anche la riproduzione del genere umano nell'ambito della produzione industriale. Contano i numeri, i consumi, i profitti, poco altro. Allora diventa difficile chiamare proletari i giovani italiani. Difficilmente i poveri, giovani, italiani d'oggi, hanno o avranno prole. Eccetto naturalmente chi un lavoro ce l'ha, o meglio, vista l'esiguità e la qualità dell'occupazione, chi una protezione ce l'ha, leggi famiglia, leggi capofamiglia, leggi spesa sociale indiretta (nel senso che tutta la spesa sociale italiana è in pensioni, molto più che in altri paesi, per questo se ne parla sempre).
    Questo per dire che il paventato conflitto giovani contro vecchi è insussistente (infatti fuori dalle tv non succede mai niente) dal momento che, opportunamente dal punto di vista proprietario, i vecchi prendono soldi dallo stato e con quelli danno da mangiare e tengono buoni i "loro" giovani.
    Un vero conflitto verso cui tutto il sistema cerca di non arrivare è l'interruzione di questa promiscuità economica nelle famiglie. Si fa quindi un gran parlare della "famiglia" quale ammortizzatore sociale, una vera e propria bestemmia. Ma in effetti è l'ultima cosa che regge l'Italia, al di là delle apparenze.
    Tagliare i ponti con la famiglia d'origine, uccidere il papi. Tabù nell'Italia medievale di oggi. Meglio emigrare.

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    1. Le classi sociali esistono solo a partire dagli individui, dai gruppi e dagli insiemi, e tali peculiarità sono essenziali nell’azione di trasformazione delle classi (e ciò si rende ancor più evidente nei comportamenti dei singoli gruppi durante le lotte di classe), ma dopo aver scomposto una totalità economico-sociale in gruppi e insiemi per rilevarne i fenomeni di dettaglio, per esempio i modelli di riferimento e di consumo, l’orientamento politico ecc., è tuttavia necessario poi cogliere la formazione economico sociale nella sua globalità di sistema organizzato attorno a una peculiarità fondamentale.

      Perciò un dato resta inalterato, quello del carattere fondamentale che distingue le due grandi classi della società moderna, oggi come ieri. L’appartenenza a una delle due classi non è data meramente da reddito, status, frequentazioni, rapporti parentela, ma dal posto che gli individui e i gruppi occupano nella produzione sociale e in conseguenza dal loro rapporto con i mezzi di produzione. Da un lato la borghesia, classe proprietaria dei mezzi produzione e detentrice del capitale, e dall’altro il proletariato, privo di mezzi e costretto a vendersi come forza-lavoro. Che questo proletariato non trovi più le condizioni per la sua riproduzione, costituisce appunto la “questione”.

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    2. sì siamo d'accordo.
      Il punto è perché nonostante questo non si giunge al conflitto. Ed è in primo luogo, secondo me, perché l'individuo è rimandato a rapporti sociali tradizionali. E questo viene fatto in primo luogo attraverso una divisione del lavoro molto accentuata. Accentuata dalla debolezza del tessuto produttivo italiano. Ormai non si può più vantare un'eccellenza, che pure persiste in alcuni settori, senza buttare via tutto il resto... capisci o devo articoalre meglio? Scusa la fretta.

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