martedì 10 ottobre 2017

Sacri misteri / 1


Cinque anni fa, esattamente il 22 ottobre, scrivevo il post che ora qui sotto ripropongo con lievi tagli. Corsi e ricorsi della “behavioural economics” et simila, in un mondo che è sempre più corroso dalla schizofrenia e dall’opportunismo. Del resto sono quasi due secoli che l’economia politica non indaga più la realtà ma si limita a descrivere le ombre proiettate sul fondo della caverna. Perché ciò avvenga è presto detto: almeno a livello ufficiale dev’essere mantenuto il silenzio sul segreto della società borghese, ossia sul fatto che essa, sotto qualunque bandiera, è una società che poggia sulla schiavitù.

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Dopo che l’utopia neoclassica dell’equilibrio perfetto si dimostrò per quel che era, iniziarono a farsi strada, presso gli apologeti del capitalismo J.A. Schumpeter e W.C. Mitchell, i primi abbozzi di una “teoria dei cicli” che altro non era che una presa d’atto della natura ciclica del capitalismo. La crisi generale del 1929, infine, con la sua sconvolgente drammaticità, rendeva necessaria una nuova teoria tale da spiegare ciò che stava avvenendo e proponendo a sua volta dei rimedi.

Ad assumersi il compito teorico di tranquillizzare la borghesia offrendole in pasto nuove idiozie, provvide Y.M. Keynes, uno del pensatoio di Cambridge, con la sua Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, pubblicata nel 1935. Tale teoria rappresenterà, per parecchi decenni, una specie di catechismo negli atenei occidentali e una nuova religione per i saltafossi del riformismo che con essa potranno beatificare il capitalismo.
 
La Teoria generale inizia con la critica alla “teoria neo-classica”:

“Dimostrerò che i postulati della teoria neo-classica si possono applicare soltanto ad un caso particolare e non in senso generale, la situazione da essa supposta essendo un caso limite delle posizioni di equilibrio possibili. Avviene inoltre che le caratteristiche del caso particolare, supposto dalla teoria neo-classica, non sono quelle della società economica nella quale effettivamente viviamo; e che quindi i suoi insegnamenti sono ingannevoli e disastrosi, se si cerca di applicarli ai fatti dell’esperienza”.

In altri termini, Keynes sostiene che la teoria neo-classica, della quale egli in passato era stato uno degli più eminenti esponenti, è un’invenzione, una fola che non ha nulla a che vedere con il mondo reale. Keynes nel suo “modello” della Teoria generale prende atto che il sistema capitalistico, lasciato alla sua spontaneità, non tende all’equilibrio, ma allo squilibrio dei vari fattori a causa della divaricazione tra domanda e offerta. Invece di indagare a fondo le cause di tale “disarmonia”, peraltro scoperte da Marx, s’inventa a sua volta una bizzarra “legge psicologica” che chiama della “diminuzione della propensione al consumo”.

Che Keynes sia un ciarlatano al pari degli altri suoi colleghi, compresi quelli venuti dopo, è evidente. Egli sostiene che per ricondurre il sistema all’equilibrio di piena occupazione, è necessario produrre una domanda aggiuntiva, “aggregata”, tramite l’intervento dello Stato, che si esplica essenzialmente mediante la definizione del saggio d’interesse, la politica fiscale, forme di controllo sulla massa complessiva degli investimenti per determinarne il volume complessivo (aggiungo, a chiarimento, che le politiche di sostegno della domanda da parte dello Stato sono vecchie come il cucco. Del resto il New Deal cominciò ben prima della pubblicazione della Teoria generale, opera di cui non si tenne conto in Germania, ecc.).

Appare chiaro come Keynes, nonostante la sua critica ai neo-classici, rimane sostanzialmente tutto interno al loro quadro di pensiero. Anche per lui, infatti, alla base dei movimenti economici stanno non ben definiti “elementi psicologici”, che, mentre dai neo-classici vengono utilizzati per risolvere il “misterioso” problema della determinazione dei prezzi, per lui giustificano la tendenza, ugualmente “misteriosa”, del sistema allo squilibrio.

Keynes prende atto di una contraddizione reale, ma impossibilitato (data la sua posizione di classe) ad individuarne le cause effettive, non può far altro che rifugiarsi, come i suoi predecessori, nella “psicologia”. Così facendo, infatti, la contraddizione perde il carattere oggettivo, capitalistico, per assumere quello soggettivo, ossia “umano”: non è il modo di produzione capitalistico che contiene in sé le cause dello squilibrio, viceversa è tale squilibrio espressione del comportamento umano, di scelte di ordine psicologico.


Pertanto, anche quando si assume e riassume il punto di vista di Keynes per criticarlo, sostenendo che lo “stimolo artificiale della domanda” produce guasti al sistema provocando infine un enorme debito, cosa alla quale avrebbero contribuito “in ugual modo la propaganda pubblicitaria e la filosofia dei maîtres à penser della sinistra sessantottina”, si rimane esterni e lontani dalle cause reali della crisi capitalistica, e nel concreto si prendono lucciole per lanterne. Ancora una volta la contraddizione perde il carattere capitalistico per assumerne uno “umano”, in questo caso quello dell’avidità, “l’incontinenza di Bassanio e di Antonio, la loro incapacità di adattare le loro aspirazioni alle loro risorse”. E così via, farneticando senza sosta.

7 commenti:

  1. non è l'uomo corrotto , ma sono i vestiti del'imperatore che non troveranno mai più quel bambino " l'imperatore è nudo !!!!!!

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    1. pure l'imperatore è nudo?! non c'è più la monarchia di una volta

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  2. Mi interessa molto.
    Quando pubblicherà la seconda parte?
    Grazie.

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  3. mistificazione.
    La propaganda borghese, sempre basata sullo scambio, fa scambiare, per esempio:
    lavoro con schiavitù.
    Autonomia con meno tasse.
    Pensioni con vitalizio.
    Ingegneria con laurea.
    e psicologia con coazione.
    Infine l'umano con il disumano.
    L'interesse borghese è sempre in avere e fare numeri.
    Bisogna ripartire da una resistenza umana. Iscrivetevi tutti a lettere se ne avete il coraggio. D'altra parte, visto la vulgata, i ponti e le autostrade si faranno da soli...
    Mai cedere al meccanicismo, neanche nel senso opposto. Gli uomini - e gli italiani in particolare - devono ripartire dalla consapevolezza del proprio non sapere, dalla consapevolezza delle proprie debolezze. Dal fare cose irriproducibili. Dal fare cioè lavorare, non chiacchierare, non scrivere commentini sui blog. Dall'amare: "noi vogliamo amare e lavorare" è Slataper, ricordi? ciao.

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    1. io credo di aver lavorato abbastanza, ciao

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    2. allora non era lavoro.
      queste note che scrivi qui, questo sì è lavoro. buona continuazione e grazie.

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