mercoledì 14 giugno 2017

La vittoria di Trapattoni



Quel 14 di giugno era una domenica mattina, il cielo azzurro, in contrasto con il tempo insolitamente piovoso dei giorni precedenti. Le truppe del generale austriaco Michael von Melas erano in movimento già dalle sei lungo i ponti della Bormida, verso la stretta testa di ponte tenuta tutta la notte dal generale Andreas O'Reilly von Ballinlough, al comando di 3.000 uomini, dopo che il giorno prima, il 13, aveva dovuto abbandonare Marengo alle truppe francesi del generale Claude Perrin, detto Victor, futuro maresciallo di Francia e duca di Belluno. Ad ogni modo quella mattina del 14 i francesi si svegliarono al rombo del cannone. Melas stava impiegando il grosso delle forze nell'attacco.

Prendendo in considerazione lo schieramento delle forze, il loro rispettivo numero e gli ordini di battaglia, si può affermare che i francesi, quantunque si segnalassero movimenti continui degli austriaci, presero soltanto elementari misure di precauzione. 


Alle nove del mattino Bonaparte aveva confermato l’ordine secondo il quale la divisione di Jean François de La Poype doveva marciare a nord verso Valenza, indebolendo così ancora la Riserva, sottraendole 3.500 uomini. Aveva inviato un aiutante anche a Louis Desaix, con istruzioni secondo le quali la divisione di Jean Boudet, suo sottoposto, doveva spingersi da Rivalta in direzione di Pozzo Formigaro.

Un’ora dopo Bonaparte si rendeva conto della gravità della situazione, nonostante Jean Lannes e Murat con le loro truppe si fossero portati in appoggio a Victor, aumentando le forze francesi impiegate nella battaglia a 15mila uomini, che restavano però inferiori agli imperiali in rapporto di due a uno.

Bonaparte, lasciata villa Torre Garofoli, si presentò sul campo di battaglia alle undici, tentò di richiamare il corpo d’armata comandato da Desaix. Il caso volle che un fiume in piena ne avesse fermato la marcia, rendendo possibile agli aiutanti di campo di Bonaparte di raggiungerlo con il messaggio del primo console: “Credevo di attaccare Melas. Egli mi ha attaccato per primo. Per l’amor di Dio vieni a raggiungermi se ancora puoi”.

Nel frattempo agli uomini del generale Victor cominciavano a mancare le munizioni, e sembrava improbabile che le stanche truppe sarebbero state in grado di tenere molto più a lungo la linea del Fontanone. Per contro il generale austriaco Peter Karl Ott von Bátorkéz aveva quasi annientato la divisione di François Watrin, generale a soli 24 anni e il cui nome è inciso sull'arc de triomphe de l'Étoile.

A quel punto ai 900 uomini della Guardia consolare fu ordinato di muoversi in aiuto di Watrin, e l’ultima riserva, la divisione di Jean-Charles Monnier, ricevette istruzioni di procedere contro Castelceriolo per disputarne il possesso agli austriaci.

La saggezza della decisione di Bonaparte di rinforzare il lato destro venne dimostrata dal fatto che l’intero attacco austriaco venne ritardato. In buona sostanza Bonaparte (il miglior tattico dell'epoca, ma non altrettanto valido stratega) offrì agli austriaci dello spazio di manovra in cambio di tempo, smentendo, senza saperlo, il sopravvalutato Sun Tzu (cfr. le "Disposizioni tattiche", 16).

Tuttavia le truppe francesi, verso le tre, dovettero ripiegare su San Giuliano; non vi era alcuna possibilità che le truppe di Desaix, richiamate da Bonaparte, intervenissero prima delle cinque.

Bonaparte in quelle prime ore del pomeriggio era già sconfitto.

La sconfitta francese parve chiara anche al generale austriaco Melas che, affaticato e leggermente ferito, decise di affidare il comando dell’inseguimento delle forze francesi al generale Anton von Zach. Questi dispose le truppe austriache in colonna di marcia, offrendo ancora un po’ di tempo ai francesi. Fu proprio in quel frangente che, al galoppo e infangato, arrivò il generale Desaix annunciando che la divisione di Boudet con i suoi otto pezzi d’artiglieria e la cavalleria lo seguiva da vicino. Iniziò allora una nuova battaglia, nel corso della quale Desaix morì, colpito al cuore in località Vigna Santa sulla strada tra Spinetta Marengo e San Giuliano Vecchio. Sappiamo come andò a termine la battaglia quella sera.

Fin qui dunque fu solo sua maestà il caso a decidere, avendo la necessità offerto alla storia il meglio di sé in precedenza. C’è solo da aggiungere ­– e qui il caso non c’entra ­– che il generale Melas non aveva tenuto conto di un principio tattico fondamentale (oltre che scacchistico), principio che in seguito venne teorizzato da tale Giovanni Trapattoni da Cusano Milanino: “Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”.

È lecito chiedersi: senza il provvidenziale intervento di Desaix la storia d’Europa avrebbe seguito un percorso diverso oppure ciò che era avvenuto fino a quel momento, ossia fino al 14 giugno 1800, aveva già impresso una svolta epocale alla vicenda dell’Europa moderna? Secondo la mia opinione non credo che la sconfitta di Bonaparte a Marengo, in realtà scongiurata da Desaix, avrebbe mutato granché gli sviluppi dell’Europa, che si sarebbe comunque avviata verso l'equilibrio delle forze garantito dall'accordo tra i "saggi fondatori di Stati felici", ossia in forza di un sistema di relazioni internazionali che avrebbe tra alterne vicende resistito fino al 1914.

Salvo il fatto che l'eventuale sconfitta napoleonica in quel 14 giugno 1800 ci avrebbe privato di splendide statuine in porcellana e Cesare Brandi non avrebbe arredato la sua casa in stile Impero, dovendosi accontentare del Biedermeier (*).


(*) Il codice napoleonico era ad ogni modo già nelle cose, con o senza Bonaparte. Per esempio, una norma assai importante in materia di successione nella proprietà, sia essa mortis causa che inter vivos, fu il risultato di un processo durato secoli. Con essa fu sancito un principio giuridico che ha di fatto mandato al macero intere biblioteche e mutato radicalmente il corso degli avvenimenti più di quanto non abbia fatto il diuturno lavoro della ghigliottina. Posto che la ghigliottina rese possibile lo sfoltimento delle teste contrarie a tale norma.

3 commenti:

  1. Penso che la storia NON sarebbe cambiata né con la sconfitta di Napoleone a Marengo(sarebbe continuato il predominio inglese e la difesa dell’equilibrio continentale), né con la sua vittoria a Waterloo(sarebbe iniziata l’egemonia francese); perché l’assunto comune ad entrambi, liberalismo e rivoluzione borghese, era: LIBERTÈ, EGALITÈ, PROPRIETÈ.

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  2. fatte salve le considerazioni sull'evento propriamente storico e sulle ipotesi ucroniche, l'articolo si può anche leggere come un raffinato esperimento gnoseologico sul modo in cui agì l'oscillazione tra caso e necessità nella battaglia di Marengo. A questo proposito, vi è un interessante aneddoto che illustra questo tema.
    Si tratta di un episodio che è narrato da Isaiah Berlin in un libro di memorie autobiografiche intitolato «Impressioni personali», ove sono ritratte alcune importanti figure del mondo politico e culturale novecentesco, e descrive una conversazione svòltasi durante una passeggiata fra l’autore e il filosofo inglese John Austin. Berlin avanzò questa ipotesi: «Supponiamo che un bambino esprima il desiderio di incontrare Napoleone così com’era alla battaglia di Austerlitz, e che io gli dica: “Non è possibile”, e che lui mi chieda: “Perché no?”, e che io gli spieghi: “Perché la cosa è avvenuta nel passato, e tu non puoi essere vivo adesso e anche in un tempo così lontano conservando la stessa età”, e che il bambino insista: “Perché no?”; e che io dica: “Perché non ha senso, nel nostro linguaggio, dire che si può essere in due luoghi nello stesso momento o che si può ‘tornare indietro’ nel tempo”; e che questo bambino, molto precoce, obietti: “Se è soltanto una questione di parole, non possiamo semplicemente cambiare il nostro uso del linguaggio? Non basterebbe questo per farmi vedere Napoleone alla battaglia di Austerlitz e anche, naturalmente, per farmi restare come sono, qui e adesso?”».
    Incidentalmente osservo che ho sempre pensato che tra i bambini e la filosofia esista un legame profondo costituito dalla capacità di leggere la realtà con uno sguardo autentico, privo di preconcetti e di filtri, e senza disgiungerla dalla possibilità.
    «“Ebbene -, domandò infine Berlin a Austin -, che cosa si deve rispondere a questo bambino? Si può chiudere la questione dicendogli che ha confuso il modo materiale e il modo formale, per così dire?”. Austin rispose: “Non parli così. Dica al bambino di tornare indietro nel passato. Gli dica che non c’è nessuna legge in contrario. Che provi. Provi, e veda che cosa succede”».
    La risposta di Austin rivela una comprensione perfetta della natura della filosofia intesa come esercizio di una razionalità critica che non si ferma alla semplice e banale registrazione dello ‘stato di fatto’, ma, servendosi di ipotesi controfattuali, confronta la realtà empirica con i modelli della realtà e giunge per questa via (la via dell’analisi del linguaggio e dell’esperimento mentale) a scoprire nuove dimensioni, prima insospettate, della realtà e della razionalità.

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