venerdì 24 marzo 2017

Questa volta non ci riuscirà


Il riformismo, impossibilitato a rimuovere le contraddizioni del modo di produzione capitalistico, ha avuto per un secolo il compito di mediare il conflitto tra le classi. Da alcuni decenni ha sposato in tutto e per tutto il punto di vista delle destre e della finanza. Quella che fu la sinistra “di lotta e di governo” è diventata solo una macchina elettorale per la conquista del potere, laddove però il potere reale non è più in mano alla politica.

Sennonché il “riformismo senza popolo” vorrebbe recuperare “a sinistra” consenso elettorale in  cambio di nuove illusioni. Questa volta non ci riuscirà.

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Quella che stiamo vivendo non è semplicemente (semplicisticamente) una crisi di ciclo, si tratta bensì di una crisi strutturale in ogni suo aspetto: economico, sociale, politico, di sostenibilità. La gravità e l’intricata complessità dei problemi va assumendo una dimensione tale che non è nemmeno ipotizzabile di poterli affrontare se non nel loro insieme e con un rovesciamento di prospettiva radicale.

Il capitale ha bisogno di mettere in campo tutte le sue armi per contrastare, da un lato, la caduta del saggio del profitto, e dall’altro per combattere la feroce competizione per il mantenimento e la conquista dei mercati. Per il capitale solo il plusvalore è misura della razionalità, perciò è interessato solo all’acquisto e allo sfruttamento della forza-lavoro, e fuori dal rapporto di scambio e di sfruttamento ogni costo diventa improduttivo e dunque assolutamente privo d’interesse. È pertanto sotto gli occhi di tutti come dal lato del capitale vi sia l’interesse a far tabula rasa di tutto ciò che non rientra nel suo scopo fondamentale.

Pongo all’attenzione un esempio concreto (così non si dirà che inclino troppo sull’astratto), relativo alla sovrapproduzione di merci. Sorvolando sul fatto che tale sovrapproduzione non è la causa delle crisi, bensì la sua manifestazione più palese (e ciò è bene ricordarlo), va da sé che solo in una società uscita dalla penuria e dall’anarchia del capitalismo si può controllare efficacemente la produzione regolandola in anticipo. In tal modo si crea il legame fra la misura del tempo di lavoro sociale dedicato alla produzione di un bene determinato e l’estensione del bisogno sociale che tale articolo deve soddisfare (*). In ciò è implicita la soluzione della questione di quanto lavoro impiegare e in quale tipo di attività. Tout se tient.


(*) Il rapporto fra domanda e offerta non può spiegare assolutamente nulla fino a che non si sia messa in luce la base su cui si fonda questo rapporto. Scrive Marx: «il “bisogno sociale”, ossia ciò che regola il principio della domanda, risulta essenzialmente dal rapporto che esiste fra le diverse classi e dalla rispettiva posizione economica, vale a dire dipende innanzitutto dal rapporto fra il plusvalore complessivo ed il salario e, in secondo luogo, dal rapporto fra le diverse parti nelle quali si scompone il plusvalore (profitto, interesse, rendita fondiaria, imposte, ecc.)».

8 commenti:

  1. Anch'io credo e spero che stavolta non ci riuscirà. Ma per secoli il sistema imperiale romano ha tenuto relativamente buono il proletariato urbano con le frumentationes e - come si ipotizza, a mio avviso giustamente - la distribuzione gratuita alla plebe di parte delle carni dei sacrifici di animali su scala enorme che la sanguinosa religione di Stato comportava. (Col cristianesimo, finite le bistecche dei sacrifici è subentrato il mix di carità e teologia della pazienza ancora in auge).

    Certo oggi non siamo più a quei tempi. Ma di gente pronta a vendersi a vita per un pasto gratis o un bonus da 80 euro ne abbiamo ancora tantissima, anzi ce n'è ogni giorno di più.

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    1. http://diciottobrumaio.blogspot.it/search?q=eucarestia

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2010/04/frumentaria-ed-eucaristia.html

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/09/de-te-fabula-narratur.html#more

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    2. epperò nel capitalismo nessun pasto è gratis, nei momenti di crisi è questa normalità che viene a galla. La Cosa in Crisi complica non poco la vita a filantropi(" la filantropia è la conservazione dell’esistente con altri mezzi" come disse perfino Seminerio), francescani e flessibilizzatori di bilancio

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    3. dice il 24 ore che in 114 banche (per lo più Bcc e casse rurali) le "sofferenze" e gli "incagli" superano il valore del patrimonio netto tangibile. e le altre non stanno meglio.

      Il debito pubblico a dicembre 2011 era di 1.897 miliardi, oggi viaggia a 2.275 mld.. dunque 378 mld che spalmati in poco più di cinque anni fanno circa 75 mld l'anno. pur abolendo l'art. 18, riformando le pensioni, conil prezzo degli idrocarburi in picchiata, con la Bce che ci aiuta a mantenere i tassi sul nostro debito a zero virgola (tassi non realistici), ecc. Questi numeri segnano inequivocabilmente il fallimento di un sistema economico, politico, sociale e dei suoi governi.

      il bello deve ancora venire. come ho scritto troppe volte, al massimo nel prossimo decennio avremo una situazione balcanica, non escluso il modello jugoslavo. altro che europa, il nostro declino è verticale e solo l'export, per il momento, ci salva dal dichiarare bancarotta

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  2. in primo luogo va tenuto conto che l'Italia, per quanto ricca, è politicamente residuale nel mondo, non dipende da se stessa e la sua economia, ancora basata sul baratto morale, non è misurabile coi parametri delle altre (ci vorranno secoli perché i tedeschi se ne facciano una ragione).
    Ma in questa fase di declino generale l'Italia si trova paradossalmente in grande vantaggio rispetto ai paesi più moderni. I reazionari non vedevano l'ora di tornare così indietro...
    Non ce la farà il riformismo, no, ma il controriformismo va alla grande. Va tenuto conto che la crisi verticale porta a una gerarchizzazione estrema, molto a piramide, dove una aristocrazia faraonica impera su una massa di poveracci. Ed è questa la vera Tradizione italiana. Quindi non il riformismo ma il feudalesimo può recuperare molto terreno. In Italia c'è sempre stato, basta solo adattare il racconto esteriore.
    Esattamente come per decenni lo stato ha convissuto con la mafia - o meglio, la mafia ha convissuto nello stato - così oggi il grumo mafia-stato convive con la crisi, scaricando continuamente i conti più in là e in carico agli esclusi dalla spesa pubblica corrente. Ormai è solo questione di prendere tempo.

    D'altronde la maggior parte - quella decisiva - dell'economia italiana è sempre stata sommersa. Questa 'maggior parte' è carsica nella storia d'Italia e ogni tanto, sospinta da qualche strettoia, erompe in superficie dando quei tipici connotati fascisti ad un'apparente indolenza gattopardesca. Quindi più che un conflitto di tipo balcanico vedo alle porte il solito autoritarismo di stampo famigliare appoggiato dal papa. Ciao.

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    1. esistono almeno due italie, una delle quali è sicuramente quella che tu disegni. in una situazione di crisi drammatica non è escluso lo scontro tra queste due realtà. non condivido nemmeno un'altra tua affermazione, pur apprezzandone l'analisi complessiva, e cioè che la maggior parte - quella decisiva - dell'economia italiana è sempre stata sommersa.

      in fatto di economia legale già il solo veneto sopravanza alcuni stati europei messi assieme
      ciao

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    2. il Veneto sopravanza alcuni stati europei messi assieme se lo guardi con gli occhi tedeschi, ma se gli togli la parte sommersa sappiamo cosa rimane: l'attualità.

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    3. Olympe, ti ringrazio dell'apprezzamento. Non sai quanto mi costa stare all'analisi, restare freddo, non scattare. Spero che per te sia lo stesso. Spesso paventiamo un crollo sistemico ma poi arrivasse saremmo vermaente pronti a scattare? Abbiamo vermaente studiato per qualcosa? Era studio, questo? Più avanza il capitale e più lo ignoro. Forse così alla fine, vincemmo. Ciao.

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