venerdì 31 marzo 2017

Con i numeri della previdenza si gioca sporco



La categoria dei giornalisti, in tema di previdenza, è tra le più privilegiate. Dopo i politici e i magistrati, naturalmente. Rispetto alle vittime della Monti-Fornero i giornalisti possono vantare, a tutt’oggi, un tasso di sostituzione che consente di percepire, a parità di contributi, il 33 per cento in più di assegno pensionistico rispetto ai comuni mortali. Non è poca cosa, anzi è la sostanza stessa della riforma Monti-Fornero, poiché con tale riforma al lavoratore normale il coefficiente di trasformazione, che moltiplica il montante finale per determinare la pensione, viene rivisto al ribasso ogni tre anni, per riflettere l’aumento della vita media attesa. Non così per i giornalisti.

Inoltre, a un lavoratore normale si applica un tetto massimo di base imponibile: il reddito oltre i 100 mila euro non contribuisce ad accumulare la pensione. Non così per i giornalisti, i quali peraltro possono accedere alla pensione con 57 anni di età e 35 anni di contributi, oppure con 40 anni di contribuzione indipendentemente dall’età anagrafica. Mario Giordano, tanto per citare, di queste cose non scrive e quando Marco Travaglio parla delle “nostre pensioni” non si riferisce al trattamento riservato ai comuni mortali.

Nulla vieta che poi il giornalista possa dedicarsi alla libera professione, scrivere libri e farsi i casi suoi. A tale riguardo, a suo tempo, la Corte dei Conti, proprio a riferimento dei bilanci dell’INPGI ha rilevato la “propensione al pensionamento volontario anticipato”. Qualcosa dovrebbe cambiare anche per questa categoria, ma solo a far data dal 2019. Avranno dunque tutto il tempo di decidere che cosa fare da grandi. Ai comuni mortali, invece, con la Monti-Fornero le cose, come si ricorderà, sono cambiate dalla sera alla mattina.

Tutto ciò è bene premettere poiché personalmente non credo alla buona fede di chi intossica l’informazione in materia previdenziale.

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Scrive Davide Colombo sul Sole 24ore:

«Tra il 2015 e il 2016, in particolare, la frenata delle nuove pensioni di vecchiaia e anticipate liquidate è stata significativa: si è passati da 1 milioni e 120mila circa a 1 milione e 48mila (-6%).»

Data così, con questi numeri relativi alle “nuove pensioni di vecchiaia e anticipate liquidate”, questa notizia è falsa. L’Inps non ha erogato 1 milione e 48mila nuove pensioni di vecchiaia e anticipate; né, l’anno prima, esse sono state 1 milioni e 120mila circa.

Del resto lo stesso Sole 24ore, lo scorso 17 gennaio, scriveva: “Le nuove pensioni liquidate dall'Inps nel 2016 sono state 443.477 con un calo del 22,19% rispetto al 2015 (570.002). Lo si legge nell'Osservatorio Inps sul monitoraggio sui flussi di pensionamento”.

Pertanto le nuove pensioni di vecchiaia e anticipate liquidate nel 2016 sono state solo 443.477 e non, come asserito nell’articolo, 1 milione e 48mila. Il calo è stato del 22,19% rispetto al 2015 e non, sempre come asserito nell’articolo, del 6%.

Da che cosa deriva tale differenza di cifre? Lo spiega l’INPS, laddove nel suo report specifica che:

“Nel 2016 sono state liquidate 1.048.096 pensioni delle quali oltre la metà (53,2%) di natura assistenziale”.

Pertanto solo il 46,7 per cento di quel milione e oltre di pensioni erogate ha a che fare con le nuove pensioni di vecchiaia e anticipate, cioè con prestazioni che hanno avuto origine dal versamento di contributi previdenziali. Tutte le altre, più della metà, sono assistenziali, cioè prestazioni erogate per sostenere una situazione di invalidità congiunta o meno a situazioni di reddito basso, sul tipo, per esempio, della cosiddetta “accompagnatoria”. Da notare quanto riporta l’INPS, e cioè che la prestazione di maggior rilievo è l’indennità di accompagnamento per invalidi totali che rappresenta il 45,4% della totalità delle prestazioni e costituisce più della metà (53,3%) dell’importo complessivo annuo in pagamento. In numeri assoluti il numero delle pensioni di invalidità liquidate aumenta, passando da 56.526 nel 2015 a 57.773 nel 2016, cioè 1.247 pensioni in più.

Scrive l’INPS:

“Osservando la stessa distribuzione per categoria si osserva che il Nord ha un numero di pensioni per residente maggiore per le categorie vecchiaia e superstiti, seguito dal Centro e dal Mezzogiorno, mentre l’ordine s’inverte per le pensioni di categoria invalidità previdenziale e per le prestazioni assistenziali”.

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Veniamo ad altri dati. Scrive sempre Davide Colombo sul Sole 24ore:


“… l'insieme delle pensioni vigenti è calato del 2,7%, passando da 18,364 milioni circa del 2012 a 17 milioni e 863mila registrate a gennaio di quest'anno, quando la spesa per queste prestazioni ha raggiunto i 194,3 miliardi (186 nel 2012)”.


“Al 31 dicembre 2011 il numero di prestazioni pensionistiche previdenziali e assistenziali erogate è stato pari a 23,7 milioni, per un importo complessivo annuo di 265,976 miliardi di euro, pari al 16,85 per cento del prodotto interno lordo (+0,2 punti percentuali rispetto al 2010). La quasi totalità delle pensioni è erogata da istituzioni pubbliche, con 23,5 milioni di prestazioni ed un importo complessivo annuo pari a 263.251 milioni di euro”.

Possibile che dal 2011 al 2012 vi sia stato un calo di cinque milioni di pensioni? No, di certo. Vale comunque la pena sottolineare che dal 2011 (pre Monti-Fornero) al 2016, la spesa previdenziale pubblica è passata da 263 miliardi di euro a 194,3 miliardi (di cui 176,8 miliardi sostenuti dalle gestioni previdenziali), con una riduzione della spesa di circa 70 miliardi. Dunque non è cresciuta, come dice Davide Colombo da 186 miliardi nel 2012 a 194,3 miliardi nel 2016.

Ad ogni modo, non è il mio mestiere quello dei numeri previdenziali e non voglio prendermi la briga di ricerche certosine (anche perché i dati spesso sono disomogenei, tra INPS, INPDAP e altri). Ciò che voglio qui significare è che con le cifre previdenziali spesso si gioca sporco. E non disinteressatamente.

2 commenti:

  1. E il campo , " quello delle pensioni, più tossico che esista.
    Bisogna essere grandi Illusionisti meritocratici (eh,eh ),
    per far sparire la realtà del domani .

    caino

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  2. Beh sono pagati per questo e la loro pensione è un ulteriore bonus per il "servizio" che ci fanno.
    La domanda quindi è per quale motivo noi questo "servizio" continuiamo a farcelo fare non dico acqistando il loro "prodotto" ma anche solo a considerlo ? Ricordiamoci che i loro previlegi finirebbero subito se i loro padroni vedessero che il loro " prodotto" non tira più ( vedi " il Sola" )
    ws

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