giovedì 22 settembre 2016

Elemento identitario comune (con aggiornamento)


È bizzarro come, all’improvviso, inaspettatamente, qualcosa che sembrava impossibile e nessuno vedeva evidente si è rivelato come per magia. La Camera, in attesa della ratifica del Senato, ha proclamato “ufficialmente il vino come patrimonio ambientale, culturale e paesaggistico del Paese”. Il presidente di Federvini, inebriato più del solito, ha dichiarato che “si è capita finalmente e all'unanimità l'importanza del vino come elemento identitario del Paese”. Dal canto suo, il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, inzuppando un cantuccio in un flûte di prosecco, ha intonato: “Con questo provvedimento rendiamo il vino italiano sempre più forte”.

Tra le novità inserite nel provvedimento è prevista una disposizione sulla salvaguardia e il recupero dei vigneti specialmente nelle aree soggette a rischio di dissesto idrogeologico o di particolare pregio paesaggistico. Dunque, innanzitutto salviamo i vigneti, al resto provvederemo in caso di bisogno con un sms di due euro a cranio. Inoltre è istituito dal Mipaaf, cioè dal ministero, uno schedario viticolo contenente informazioni aggiornate sul potenziale produttivo nel quale dovrà essere iscritta “ogni unità vitata idonea alla produzione di uva da vino”. Pertanto, se avete un filarino d’uva dietro casa non pensiate di farvi una damigianetta di Malbec o Syrah clandestino.

Pertanto non è vero che questo governo non ha fatto nulla. Oltre ai famigerati 80 euro, sui quali è campato Renzi finora, finalmente questo paese ha un elemento identitario comune: l’alcol.

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Dire che un determinato prodotto alimentare rappresenti l’elemento identitario di un Paese, mi sembra una forzatura. Il fondamentale elemento identitario di un paese, quello cioè che maggiormente sottolinea il senso di appartenenza, è la lingua (compresi i cosiddetti dialetti) e dunque la cultura. In questa trovano posto moltissimi elementi, com’è ovvio, e indubbiamente anche l’alimentazione e le tradizioni gastronomiche, che possono assumere anche una connotazione forte, ma per nulla tale da costituire di per sé un elemento identitario del paese. Potremmo mai sostenere che, tanto per esemplificare, la birra rappresenta l’elemento identitario dei paesi germanici, il riso quello degli asiatici, il whisky quello della Scozia, e dunque il vino quello dell’Italia? In quest’ultimo caso i tedeschi hanno sempre avuto un altro stereotipo a riguardo degli italiani. Da notare poi, che le maggiori estensioni di vigneti sono in Spagna (1,021 milioni di ettari), in Cina (0,82 milioni di ettari, con una crescita di 34.000 ettari nel 2015), e in Francia (0,78 milioni di ettari). L’Italia, nel 2010, registrava 0,67 milioni di ettari, e in prospettiva storica, cioè dal 1982, perdeva il 45% del suo vigneto. Il calo non si è arrestato, come conferma la tabella qui sotto. Come l’Italia riesca a risultare il primo produttore di vino al mondo è un altro paio di maniche.

9 commenti:

  1. Oltre a problemi più di dettaglio per addetti, alcune aree di pregio paesaggistico o dedicate ad altre colture sono trasformate in vigneti, nel contempo vi è una sostanziale difficoltà nel trovare addetti per la manutenzione e le operazioni di vendemmia.

    Non conosco la preparazione del ministro Martina per quanto concerne i temi dell'agricoltura in generale, ma inzuppare i cantucci nel prosecco piuttosto che nel vinsanto toscano (Trebbiano e Malvasia in genere)la dice lunga.

    L'alcol, da tempo, rimane l'elemento identitario principe dei veneti, il resto del Bel Paese a seguire, per habitat di dedizione.

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  2. sono tutto inorgoglito per queste belle parole dei nostri vip, parole che mi attizzano un amor patrio che era molto scemato da quando si faceva il brunello con il cabernet

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  3. Meglio inzuppare nell'Erba-Luce,meglio nel passito di Erbaluce .

    Lo-dice-caino

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  4. A margine, e fuori tema, aggiungo che in zona Frescobaldi la raccolta d'uva l'ho vista molto automatizzata, di conseguenza diminuendo molto la manodopera di mani d'Africa (utilizzata più in inverno per la potatura).

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  5. colgo l'occasione per togliermi un sassetto dalla scarpa, a partire dalla mia condizione "esistenziale", e mi spiace farlo confusamente e di fretta.

    il discorso da mettere a fuoco è il rapporto fra "la terra", una terra specifica su cui appoggiamo i piedi, che mettiamo in coltura, da cui traiamo -nel modo vigente- parte della ricchezza sociale e la sua proiezione in rapporto di identità, di proprietà e di sovranità -concetti che si ampliano reciprocamente.

    Sono stato per un decennio un giardiniere metropolitano e nell' ultimo quindicennio un operaio agricolo -vite e ulivo, se non altro ho avuto una certa quantità di tempo per pensare al rapporto terra-identità.

    a mio avviso la fregatura ricorrente è di porre il solito villano Robinson a contatto con la "sua" terra e di non collocare socialmente la questione.

    nel primo caso avremo il contadino come un pre-borghese (quindi, secondo la vulgata, un rivoluzionario in nuce, alla Pasolini, portatore di rapporti ante-borghesi, "radicati nella tradizione e non nel capitale" ecc ecc), nel secondo caso avremo la classe contadina come proto-borghese (quindi portatrice di rapporti sociali di produzione con nucleo già capitalistico). propendo per la seconda ipotesi.

    la apparente "materialità" del lavoro agricolo non evade neanche per un attimo dalla metafisica della forma valore, anzi la affinata prima di consegnarla alla borghesia urbana. a nulla vale il "legame con il luogo", la millenaria pedo-genesi piuttosto che il clima, la secolare tradizione storica piuttosto che il terroir, di fronte alla reificazione già attiva alle sue spalle.

    io stesso nel passato ho fondato il rapporto terra (quella terra)-identità nel tramite della mediazione linguistica, quindi culturalmente, in maniera alternativa al rapporto economico di proprietà, oggi non ne sono più convinto.

    questo nulla toglie alla leggerezza che proverò tra poco a girare per macchie a funghi, semmai aumentata dal non chiedere permesso a nessun padrone

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    1. non è percorribile la strada alternativa al rapporto economico di proprietà. oggi poi le cose si sono talmente mischiate ...

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  6. anzi la affinata= anzi la ha affinata

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