lunedì 26 settembre 2016

Contro la stupidità del cosmo



Che cos’è la stupidità e come difendersi dalle scemenze della vita quotidiana? Piergiorgio Odifreddi per spiegarlo ha scritto addirittura un Dizionario della stupidità di ben 378 pagine. Secondo Odifreddi “Il novanta per cento delle persone è stupido”. Una percentuale molto alta come fonte di “stupidaggini quotidiane”, ma al momento non conosco i criteri statistici addottati dal noto matematico e divulgatore scientifico.

Lo stesso Odifreddi, pur non credendo alle scie chimiche e cose del genere, tuttavia nell’intervista all’Huffington Post afferma convinto: “Certo che si può vivere in un mondo senza banche. Per metà del secolo scorso, l'Unione Sovietica ne ha fatto a meno”. Poi la butta sul classico, anzi, sul medioevale: “Nel Medio Evo, era considerato usuraio chiunque prestasse denaro, a qualsiasi tasso. Oggi il fastidio per i banchieri è tornato a essere forte”.


Odifreddi mi ha fatto venire in mente un volumetto dal titolo Introduzione alla Storia della stupidità umana, scritto da Walter S. Pitkin, professore alla Columbia University, come recita il frontespizio. Il saggio venne pubblicato, in “riduzione autorizzata”, in Italia nel 1934, per i tipi della Bompiani. Non so ancora se Odifreddi citi Pitkin nel suo poderoso saggio. Interessante questo stralcio che traggo dal vecchio libro:

«Che cosa ha permesso all’umanità di tirare avanti alla meglio o alla peggio? Il lavoro, e nient’altro.  E chi ha fatto il lavoro? Gli spaccalegna e i minatori, gli sterratori e i braccianti; la stragrande maggioranza cioè degli esseri viventi, sfruttata da un’esigua minoranza. Quella, ignorante e ignorata, ha sudato, suda e suderà; questa ne sfrutta i sudori, abitando castelli e palazzi, spadroneggiando nei vari paesi, e prezzolando la stampa a fini pubblicitari. La maggioranza ha la pelle dura. E’ poco sensibile; non sogna; non elabora programmi di miglioramento delle sue condizioni; lavora, mangia, e si contenta. L’unico suo sollazzo è quello di procreare. Ma in seno ad essa quanti milioni non trascorrono la maggior parte della loro vita lavorando fino al limite estremo delle loro forze! È inconcepibile che questo eccesso di fatica non debba generare degradazione» (p. 68).

La televisione non era ancora entrata a far parte del “sollazzo” di massa, né i media “prezzolati” aveva raggiunto gli indici di rimbambimento attuali. E dunque considerando le cose dappresso si può ben osservare che è un sogno ozioso quello secondo cui basti ridurre la giornata lavorativa per uscire da una condizione di minorità (o abolire le banche!), anche se la riduzione della giornata lavorativa normale è un obiettivo indispensabile per migliorare la propria condizione, anche sotto il profilo culturale, tenendo comunque presente quanto già venne osservato: “Man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione”.

E a tale riguardo credo sia utile riflettere su questo fatto: che cosa c’è di più stupido di un sistema economico-sociale che si dibatte nella crisi a causa dell’eccessiva abbondanza? Ecco dunque che la concomitanza di cause, idee e metodi che hanno a che fare con la crisi non dipendono semplicemente dalla stupidità.

Vi sono stati periodi della storia in cui si poteva cogliere un odio incontenibile per le idee come per gli esseri umani, per tutto ciò che fosse socialmente o intellettualmente superiore alla massa. E tutto era espressione dell’odio accumulato in secoli di patimenti e dell’arretratezza nella quale le masse erano costrette a vivere, soprattutto nella certezza di non poter migliorare la propria sorte.


Oggi l’odio per i “banchieri” e i super ricchi ha grossomodo le stesse motivazioni, pronto ad esplodere non appena ne saranno date le condizioni opportune, e tuttavia, come ho cercato di mostrare in un recente post, in quel famoso 99 per cento, che non può vantare decine di milioni o miliardi, c’è tanta parte di quel mondo che ci opprime e rapina.

8 commenti:

  1. c’è tanta parte di quel mondo

    ed infatti Lenin, uno che ne capiva davvero di alleanze fra classi (non come i novelli carbonai che girano nei sotterranei della agitazione politica) non si sognò mai di affidare la guida del processo rivoluzionario ai segmenti di classe più arretrati fra gli oppressi.

    Una cosa mi è chiara di Marx: il movimento che abolisce lo stato di cose presenti lo può fare solo a condizione di partire dall' ultima e nuova combinazione sociale che il dominio classista ha generato. E' ai proletari che tocca essere i più moderni.

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    1. scriveva il vecchio a 28 anni:
      ... Da tutto ciò appare manifesto che la borghesia non è in grado di rimanere ancora più a lungo la classe dominante della società e di imporre alla società le condizioni di vita della propria classe come legge regolatrice. Non è capace di dominare, perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo.

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    2. "...dobbiamo sforzarci di costruire uno stato in cui gli operai mantengano la loro direziono sui contadini, la fiducia dei contadini (...), tenendo in debito conto che è tuttavia difficile reggersi su questa fiducia fino alla vittoria della rivoluzione socialista nei paesi più progrediti...
      (Lenin, Meglio meno, ma meglio,1923)

      Dell'orizzonte politico organizzativo di Lenin non si discute, poi è arrivato Stalin:
      un'altra linea di dominanti.

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  2. pronto ad esplodere non appena ne saranno date le condizioni opportune
    cioe' , come ci insegna la storia , non appena una fazione dei "dominanti" riterra' utile per il proprio tornanconto scatenare questa "energia potenziale" distruttiva
    ws

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  3. Mentre scrivo queste poche righe, vecchi ruderi di pietra continuano ad osservarmi dall’alto della collinetta che impedisce al mio sguardo di veder l’oriente.
    Sono i ruderi di due ponti levatoi dell’epoca del Tuchinaggio,quando plebi incazzate misero a ferro e fuoco un po’ di castelli dalle mie parti.
    La cosa non durò a lungo,nel senso che i signorotti locali che ancora governavano le loro plebi con “leggi da medievo arcaico”dovettero cedere i poteri e diventar vassalli del Conte Rosso, loro potente vicino e all’epoca già dotato di legislazione medioevale più consona ai tempi di fine 300.
    Ovvio che nel “baillame generale”saltarono qualche testa di signori e dei loro sgherri armati (polizia dell’epoca”) e alla fine saltarono pure le teste dei capi dei facinorosi (chi prima e chi dopo)
    I facinoirosi (la massa) tornò tranquilla a lavore e sgobbare nei campi,con qualche vantaggio in più,dal punto di vista del mantenimento degli accordi ,premessa per diventar “proprietari nel tempo”.
    Non si sgobbò di meno,anzi forse di più,e notai, cerusisci,azzeccagarbugli,farmacisti,mercanti ,prosperarono,pronti ad acchiappar terre tanto ai “vecchi signori” che alle plebi che magari le avevano appena conquistate .
    Ovviamente parrocchie e preti non stettero a guardare.
    MA NON ERA Più COME PRIMA !

    caino

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  4. ciao, Olympe! perdona la domanda ingenua: che rapporto c’è tra politica e orologio? che cos’ha determinato finora la scelta d’applicare o no l’ora legale, il passaggio dall’uno all’altro fuso orario, o la sua semplice ridefinizione e articolazione?

    ti sei già occupata di cronologia e di rappresentazione dello spazio, compresi i cascami ideologici, perciò mi piacerebbe affrontassi, prima o poi, anche tale questione.

    se hai qualche testo da suggerire, te ne sarei molto grata.

    grazie sempre per l’ottimo lavoro!

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  5. «Il tempo è tutto, l'uomo non è più nulla, esso diviene tutt'al più la carcassa del tempo» (Anti-Proudhon).
    g.

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