giovedì 16 giugno 2016

Sorvegliare e punire


L’interesse pagato sui titoli di Stato tedeschi a dieci anni è zero. Non molto diversamente vanno le cose per i pari titoli italiani, nonostante il rischio, non solo teorico, per l’acquirente sia notevolmente più elevato. Insomma, di denaro in circolazione ce n’è anche troppo, e sulla sua concentrazione non è il caso d’insistere. In buona sostanza banche e “risparmiatori” devono cercare altre fonti di lucro. E quale miglior occasione di farsi pagare interessi positivi cartolarizzando (si dice così) i prestiti erogati ai pensionati? Il tasso massimo d’interesse previsto, scrive all’unisono la stampa, sarà pari al 15%, ma se il reddito percepito è attorno ai 1.500-2.000 euro netti il mese, per un anticipo di tre anni il tasso d’interesse sarà attorno al 6 per cento. Dove c'è Renzi, c'è banca. 

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Intanto i lavoratori precoci che andranno in pensione dal 2018 con il massimo contributivo, 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini, subiranno penalizzazioni, sulle anzianità retributive maturate fino al 2011, pari a un taglio del 2% per ogni anno di anticipo rispetto ai 60 anni di età e dell'1% per ogni anno prima dei 62. In tal modo chi per esempio è entrato al lavoro all’età di 14-15 anni (caso non infrequente fino ad alcuni decenni or sono), dopo 42 o 43 anni di lavoro e di contributi versati, ha diritto di vedersi riconosciuta la pensione all’età di 57-58 anni. La penalizzazione media è del 5-6 per cento.

Tali penalizzazioni, introdotte nel 2011, erano in vigore anche fino al 31-12-2017, poi l’anno scorso sono state eliminate, ma, appunto, fino a tale data. La punizione continua per tutti gli altri.

Anche sotto tale aspetto della riforma Monti-Fornero, questo tipo di penalizzazioni, di disincentivo alla pensione, erano l’ultima cosa che un governo doveva fare in un momento di crisi e di grave disoccupazione. In ballo, come si ricorderà, c’era la questione dei conti pubblici, del famoso spread. E soprattutto al governo c’erano gli iper-tecnici che ci rammentavano le pressioni del Consiglio dei Soviet europeo e la minaccia proveniente dai famigerati “mercati”.

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“Meno Stato più mercato”, sono le radici del trattato firmato a Maastricht nel 1992. Quali siano le luci e le ombre di questa esperienza, durata un quarto di secolo, lascio giudicare ad ognuno secondo il suo punto di vista. Una cosa è certa, la situazione delle classi subalterne da allora non è migliorata. E ora, la Gran Bretagna, raccolto ciò che doveva raccogliere – senza aver adottato l’euro (mica sono scemi) –, insalutata ospite se ne va per conto suo.


Scriveva la Corte dei Conti nella relazione del 2010 su “Obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione di partecipazioni pubbliche” (p. 22), che “nel Regno Unito l’intero processo [di privatizzazioni] fu implementato su un periodo di tre legislature consecutive del Partito Conservatore (dal 1979 al 1991), con il fine ultimo di de-nazionalizzare l’economia inglese, limitare il potere del sindacato e incentivare il capitalismo popolare”, ossia la diffusione della proprietà azionaria. Si puntava in buona sostanza a creare una situazione che avrebbe portato con sé il non secondario effetto di spostare a destra l’elettorato. Infatti, come si legge ancora in nota nella stessa relazione: “Nelle future elezioni la nuova classe di azionisti creatasi con le privatizzazioni sarebbe stata più incline a supportare partiti che dichiarassero idee di libero mercato”.

6 commenti:

  1. Dove c'è Renzi c'è banca.....rotta.

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  2. I titoli di Stato italiani costituiranno in un prossimo (?) futuro il parziale corrispettivo (con scadenza trentennale) del denaro che le banche preleveranno in varia misura dai conti correnti dei rispettivi clienti, l'alloglotto 'belin'. E' il passaggio intermedio prima dell'abolizione del contante, dopo di che saremo completamente ostaggio delle banche, più di quanto lo siamo ora.
    Esenti: Cartello di Medellin,filantropia calabrese associata, case da gioco internazionali e femmes du plaisir - dame di compagnia - . La vera forza lavoro produttiva denazionalizzata non completamente robottizzabile.

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  3. il neo-liberismo come controtendenza politica alla crisi economica degli stati "keynesiani" usciti dal dopoguerra (in varia declinazione USA, URSS, Europa) ma non ne deduco una uscita di scena dello Stato che a mio avviso si sta semplicemente rimodellando

    Piuttosto è l'antagonismo intriseco che si è perso (tal padre tal figlio?) di fronte al salto di qualità del Capitale che si è fatto direttamente "società ad una -sola- dimensione" e in questa pozzanghera annega il conflitto fra classi e quindi la mediazione statale

    Tornando un attimo al nazismo, Marcuse interpretava il fenomeno non come il primitivo assaggio della società totalitaria industriale ma come tappa di perfezionamento di "un ordine che è riuscito a coordinare anche le zone pericolose più nascoste della società".

    forse anche il neo-liberismo, con la sua regressiva e falsa retorica individualista, lo è.

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    1. al centro ci sono sempre le contraddizioni, dunque la crisi

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  4. la questione dello Stato rimane dirimente e su essa c'è molto lavoro da fare. nella mia lettura di Marx non c'è spazio per alcun statalismo, se non che lo stato nazionale è una realtà come lo è l' incancrenita appartenenza proletaria ad esso. è oggi quasi impossibile pensare ad una lotta politica praticabile (il reddito minimo ad esempio) che colga l'obbiettivo senza che essa coinvolga almeno la dimensione continentale, a fronte di un problema di dimensioni mondiali. In caso contrario si alimenterà lo stato nazionale in quanto nodo della conflittuale rete capitalistica planetaria, la cosiddetta isola felice che significa nei fatti rapporti sociali nel segno della borghesia, ovviamente, ma di retroguardia e di conservazione. è una prospettiva, a mio avviso, in cui si è perdenti a prescindere.

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    1. come in tutti i momenti di crisi stanno risorgendo i nazionalismi, cosa pericolosa assai. ciao

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