martedì 21 giugno 2016

Bignamino


Scopo precipuo di ogni capitalista è di estrarre dal processo produttivo il massimo plusvalore (che chiama, impropriamente, profitto). Ciò spinge il capitalista a introdurre sempre nuove tecniche e tecnologie per risparmiare lavoro, ossia per aumentarne lo sfruttamento e la quota di lavoro non pagato all’operaio. Dal punto di vista storico nessun altro modo di produzione ha contribuito tanto allo sviluppo delle forze produttive (*).

Sennonché il movimento del capitale nel suo processo di accumulazione presenta due contraddizioni fondamentali e assolute: 1) una parte sempre più consistente di plusvalore, ossia di lavoro non pagato, di ricchezza prodotta, non trova allocazione e ciò provoca le classiche crisi di ciclo, che si risolvono momentaneamente solo con la distruzione di una parte del capitale; 2) la sempre maggiore riduzione della quota di lavoro vivo impiegata in rapporto al capitale complessivo determina una tendenziale caduta del saggio del profitto. Questi due aspetti del movimento reale del capitale, crisi di ciclo sempre più ravvicinate e una sempre più marcata caduta del saggio del profitto, generano una situazione di crisi pressoché permanente, ossia una crisi generale-storica del modo di produzione capitalistico.



I risultati dello sviluppo delle forze produttive sono sotto gli occhi di tutti: la microelettronica e l’invenzione di algoritmi, così come la combinazione di nuove molecole, eccetera, hanno avuto impatti sociali inediti sullo sviluppo, da un lato con grandi benefici (**) e dall’altro cancellando decine di milioni di posti di lavoro, creando le condizioni di una disoccupazione di massa e, come sappiamo, molti altri problemi sociali. Viene in luce inevitabilmente il conflitto tra sviluppo delle forze di produzione e rapporti sociali, rimasti fermi ad un’epoca ormai remota.

Scriveva Marx: «Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dar corso, nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza».

Conseguentemente: «Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione».

La nostra epoca e la nostra società si trovano esattamente a questo punto, a dover decidere sul da farsi, e però, distratti come siamo, badiamo troppo poco ad un fatto pensando non ci riguardi più:

«Il mezzo con il quale l’imperialismo ha sempre storicamente risolto le sue periodiche crisi di sovrapproduzione è stato la guerra. Infatti, la guerra permette innanzitutto alle potenze imperialistiche vincitrici di allargare la loro base produttiva a scapito di quelle sconfitte, ma soprattutto guerra significa distruzione di capitali, merci, e forza lavoro, quindi possibilità di ripresa del ciclo economico per un periodo di tempo abbastanza lungo» (***).

(*) Nello stadio del dominio reale del capitale, la logica di sviluppo (condizione, forme, settore di applicazione) delle macchine, così come l’applicazione tecnologica della scienza, è tutta interna al processo di valorizzazione. Essa risponde alla duplice esigenza di ridurre incessantemente il tempo di lavoro necessario, e di assumere il controllo sui lavoratori. L’aumento della forza produttiva del lavoro e la riduzione del lavoro necessario ad un minimo è la tendenza necessaria del capitale. Tale tendenza necessaria implica sconvolgimenti epocali sotto ogni aspetto della materia sociale.

(**) Il privilegio edonistico, un tempo riservato solo a una classe sociale, si è democratizzato, con la più grande soddisfazione sia degli schiavi che dei padroni, i quali recuperano nell’incasso delle vendite infinitamente molto più di ciò che sborsano in salari. In ciò gli opportunisti del riformismo borghese vedono il trionfo delle loro tesi e il successo della loro politica.

È stato l’emergere del mercato di consumo a garantire al capitale un nuovo ciclo pluridecennale dell'accumulazione, ma le stesse leggi che hanno prodotto tale slancio ci confermano ogni giorno di più che nulla è per sempre, nella crisi generale del modo di produzione capitalistico esse mostrano il carattere dialettico dei processi ininterrotti del divenire e del transitorio, la caducità di tutte le cose.

(***) Risoluzione della Direzione Strategica delle Brigate Rosse, febbraio 1978.




6 commenti:

  1. Cara Olympe,
    assisto con immenso piacere e soddisfazione, il tuo rimettere le cose con i "piedi per terra", oltre gli psicodrammi che si stanno imbastendo in queste ore sugli esiti delle elezioni.
    Comprendo anche che questo tuo post, sarà indigesto a molti, pur bravi ragazzi e ragazzi, che nella velocità e voracità, di culture raffazzonate ,stentano e sovente si rifiutano di capire "queste semplici cose".
    Coraggio, insiste, alla fine trionferà la pancia sui sublimi cervelli.
    Tempo al tempo.

    caino

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  2. scusi, ma l'omelia non andrebbe preferibilmente pronunciata nel giorno festivo ?

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  3. E poi l'undicesimo canto delle salite "per il sistema" si può dire quando si vuole, per spiegare "chissà cos'era".

    caino

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  4. appunto, il capitalismo non casca da solo, la saggezza che deriva da questi lunghi secoli di dominio è tutta dalla sua parte, se l' Evento accadrà dovrà per forza essere inusitato

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    Risposte

    1. non c'è dubbio.

      " Ecco, replica il profeta, una vergine concepirà e partorirà un figlio cui sarà posto il nome di Emmanuele ( Is 7,14 ), che significa « Dio con noi » ( Mt 1,23 ).
      O evento mirabile: una vergine diventa madre, rimanendo vergine!"

      Gregorio di Nissa, Orazione sulla nascita di Cristo

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