domenica 6 marzo 2016

Come salvare il capitalismo con mille dollari il mese


Non facciamoci abbagliare dai suoi trionfi, il capitalismo è spacciato. È sufficiente leggere articoli come questo, apparso sul NYT, per rendersene conto. Più che una descrizione scientifica rappresenta uno stato d’animo. Produrre merci senza aver bisogno del lavoro umano. Peccato non averci pensato prima, si potevano magari addestrare degli scimpanzé. Perché andare a produrre in Cina o in Pakistan quando basterebbero dei robot per risolvere ogni problema?

Costruiamo fabbriche dove il lavoro umano in proporzione alle macchine sia ridotto davvero ad un minimo insignificante. Mettiamo in comune il “capitale fisso”, sembra di sentire san Marchionne. Non è più tanto il lavoro a presentarsi come incluso nel processo di produzione, quanto piuttosto l’uomo a porsi in rapporto al processo di produzione come sorvegliante e regolatore.

L’avessero saputo Smith, Ricardo, e soprattutto quel confuso di Marx, oh quanto inchiostro, quanto sudore e sangue avremmo potuto risparmiare all’umanità. Salvo il fatto che Marx proprio questo prefigurava da un punto di vista strettamente scientifico, quindi certo non s'illudeva di poterlo realizzare né nella penuria e nemmeno nell'ambito dei rapporti di produzione capitalistici. Ora invece pare, a dar retta agli ideologi borghesi, che questa nuova età possa instaurarsi nell’ambito degli stessi rapporti di produzione, e quindi come buoni amici risolvere la faccenda, spartire ragionevolmente il bottino tra capitalisti e … disoccupati.



È ormai evidente anche agli orbi quanto era già in premessa, e cioè che la ricchezza reale si manifesta – segno del grande sviluppo tecnologico e tecnico – nell’enorme sproporzione fra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, come pure nella sproporzione qualitativa fra il lavoro ridotto ad una pura astrazione e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia.

L’articolo non si esprime proprio in questi termini poiché è scritto da uno dei tanti prigionieri dell’ideologia borghese, nel linguaggio di un gretto empirismo, ma la sostanza del racconto è la stessa. Parlano del futuro che è già qui, ma per questa gente è impensabile impiegare la tecnologia se non nei modi capitalistici.

Per rispondere all’enorme aumento dei senza lavoro, suppongono basterebbe fornire loro “1.000 dollari il mese, cioè abbastanza per coprire l'alloggio, cibo, assistenza sanitaria e altre necessità”. Per superare, soggiungo, le contraddizioni che nascono e agiscono come leggi di natura nell’ambito del processo di valorizzazione del capitale, basterebbe stanziare una certa cifra e con ciò eliminare la disoccupazione e il conflitto sociale pagando in dollari. Tra l’altro questi ideologi a buon mercato non hanno idea di che cosa sia il denaro, quale sia la sua reale funzione come tale e come moneta nell’ambito dello scambio capitalistico.

A che servirebbe sapere che le contraddizioni non provengono dall’impiego delle tecnologie stesse, ma dal loro uso capitalistico, come del resto non serve sapere che lo sviluppo delle forze produttive a un certo punto sopprime il capitale stesso. Il loro sogno è quello di conciliare il capitalismo e le sue contraddizioni.


*

Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.

Perché il processo di produzione materiale immediato venga a perdere anche la forma della miseria e dell’antagonismo, è necessario che la produzione basata sul valore di scambio crolli. Perché ciò avvenga, il lavoro in forma immediata deve cessare di essere la grande fonte della ricchezza, e così il tempo di lavoro deve cessare di essere la sua misura, quindi il valore di scambio deve cessare di essere la misura del valore d’uso.

Non lo potevano ammettere i sovietici e gli stalinisti del Pci, Mao e i suoi ammiratori volevano realizzarlo in società medievali, e ora non lo possono accettare gli apologeti del capitale per ovvie ragioni. Proprio un bel mucchio. 

Vero è che lo sviluppo delle forze produttive sta spingendo su questa strada ma è altrettanto vero che tutto ciò non s’accorda con gli attuali rapporti sociali di produzione. L’articolista fa parte di quella moltitudine di gente ingenua (mettiamola così) che non tiene in considerazione di come il capitale è esso stesso la contraddizione in processo, per il fatto che tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre, d’altro lato, pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza.

Il capitale impiega il sistema delle macchine solo per aumentare il pluslavoro, ma facendo ciò, senza volerlo, riduce ad un minimo la quantità di lavoro necessario alla produzione di un determinato oggetto. Sicché, mentre la massa dei valori d’uso si accresce enormemente in seguito alla aumentata produttività del lavoro, si riduce il lavoro necessario alla loro produzione e, dunque, il valore di scambio in essa contenuto.

Non hanno proprio idea queste merde che scrivono sui giornali di che cosa comporti questa divaricazione, di come essa sia alla base della crisi generale storica del modo di produzione capitalistico.

Avvertono che il capitalismo ha raggiunto il punto limite in cui le sue contraddizioni sono giunte alla loro piena maturità, ma non sanno bene perché siamo a un punto di rottura. Oh, sanno un mucchio di cose sui dettagli, da snocciolare per provocare stupore come dei giocolieri nelle piazze, ma non si pongono il problema che il sistema delle macchine è espressione delle tendenze necessarie del movimento del capitale, e che però si tratta di tendenze esplosive che portano in sé il germe della dissoluzione del capitale in quanto forma che domina la produzione.

Non sospettano che si tratti di una rottura di tali proporzioni che gli stessi concetti d’uso comune ne resteranno fatalmente travolti. La stessa categoria di lavoro perde gradualmente di significato. I nuovi rapporti di produzione che sorgeranno dalle ceneri del capitalismo non si lasciano esprimere da questi concetti e tantomeno da boutade sui mille dollari ai disoccupati.


La rivoluzione del modo di produzione in una sfera dell’industria porta con sé la rivoluzione del modo di produzione nelle altre sfere. La rivoluzione dell’insieme del modo di produzione porta con sé la rivoluzione dell’insieme dei rapporti sociali. Simili sconvolgimenti non si realizzano mai dalla sera alla mattina e, per intuibili ragioni, non avvengono mai in modi pacifici.

5 commenti:

  1. e sulla lapide, in epigrafe, si inciderà il frammento delle macchine

    piuttosto: il general intellect è per ora l' intelligenza del Capitale. Le classi medie produttive - ma pure quelle non- sono in posizione d'equilibrio instabile nella struttura e lo sanno, sanno anche che hanno buone possibilità d'essere tritate. Conseguenza è che tutti i loro portavoce si affannano a trovare cure palliative -e non radicali- per il Gran Malato. Il velo tecnologico è bello erto.

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  2. Onda su onda.


    IL RAPPORTO TRIMESTRALE
    Allarme Bri: vacilla fiducia dei mercati nelle banche centrali, tempesta vicina -

    http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-03-06/allarme-bri-vacilla-fiducia-mercati-banche-centrali-segnali-tempesta-125617.shtml?uuid=ACGDypiC

    Sempre grato del tuo gran lavoro, ciao g

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  3. Magistrale.
    E a questa contraddizione vorrei ipotizzare un possibile "esito" ( per me quantomeno piu' "possibile" della famosa "rivoluzione proletaria" :-)).
    Dovendo infatti il capitalismo, condannato dalla sua intrinseca natura, sempre piu' accrescere la quota di capitale fisso ( "macchine") alla fine esso potrebbe produrre una intelligenza artificiale cosi' capillare connessa e potente da poter ( "Lei" si :-)) fare del tutto a meno del "capitale variabile" ( "uomini" ) ridotto ad un semplice strumento economico come una mandria di buoi.
    Perche' l"intelligenza artificiale" non avrebbe nessuna necessita' di " crescere" ,in quanto immortale essendo "meccanica", al contrario di dell' intelligenza umana che resterebbe intrinsecamente "biologica" per quante "protesi" la si possa dotare.
    Insomma una "matrix" è ipoteticamente possibile e non è da escludere che ci sia in corso un progetto di una elite ristretta che ne veda se stessa come controllore " transumano".
    Ma in tal caso anche questa specie di " superuomini" sarebbe intrinsecamente caduca in ragione della sua insopprimibile realtà biologica.


    ws

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    1. Sta già succedendo. Il sistema può già adesso fare quasi completamente a meno degli uomini.
      Le élite stesse non sono più umane, se non nella biologia. Poiché il capitale è intrinsecamente connesso con la pulsione di morte, alle élite non frega niente del futuro dell'umanità e sono invece accecati dall'illusione di potere, loro stessi durare per sempre al di là dei limiti biologici.
      Sono condannati alla distruzione, presto o tardi , ma trascineranno con sé anche tutti gli altri. In fondo, glielo abbiamo permesso.

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  4. Quello descritto sopra più che Matrix ,sia Asimov,ma temo per il momento,che sia ancora e per molto tempo il tempo di Marx.
    Poi ovviamente ognuno può far voli pindarici,per nutrire la fantasia

    caino

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