domenica 10 gennaio 2016

Una diffusa grande voglia di fascismo


Con centinaia di milioni di contadini poveri che resteranno poveri, la burocrazia totalitaria cinese ha fatto la sua scelta per uscire dal sottosviluppo: si è lanciata a testa bassa nel turbo capitalismo, in una corsa agli investimenti forsennata. Un paese che già non era comunista e ha smesso di esserlo dando prova che quello che era stato solo un miraggio rivoluzionario si è dissolto per mancanza di un’altra realtà che non fosse quella a mezzo tra statalismo straccione e il più vieto capitalismo.

Rasi al suolo antichi quartieri, i grattacieli e altre brutture cementizie sono sorti a mazzi, dalla sera alla mattina. La torre Jinmao è di 88 piani, appena sufficienti per farci stare l’orgoglio nazionalista cinese che rindossa il mantello imperiale dei Manciù. Scintillanti centri commerciali che restano vuoti, grandi raccordi stradali sopraelevati, linee ad alta velocità su rotaia e treno a levitazione magnetica, il tutto realizzato in gran parte facendo debiti. Però a Shanghai hanno dovuto chiedere agli operai di lavorare dalla mezzanotte alle otto del mattino perché non c’è abbastanza energia elettrica. 



Ad ogni modo due giorni fa si potevano leggere, per esempio sul Sole 24ore e sul Corriere, articoli di rassicurazione a riguardo della Cina. E ciò è sempre sospetto. Le ricadute globali provenienti dalla Cina si faranno sentire, eccome. Le pesanti contraddizioni nel paese che è diventato la “fabbrica-mondo”, a capo di una serie di catene di approvvigionamento integrate che coinvolgono anzitutto i paesi del Sud-Est asiatico, Giappone e Corea, non possono far bene all’economia mondiale che soffre anche per il crollo del prezzo delle materie prime. Con il petrolio che punta stabilmente sui 30 dollari, c’è poco da nascondere, significa che ci si sta avviando all’ennesimo e ravvicinato tonfo.

Quando nel 2014 tutti vedevano nel crollo del petrolio un complotto per mettere in crisi lo shale gas americano, scrivevo: “La stessa caduta del prezzo del petrolio, dietro il crollo del quale s’immaginano scenari complottistici, ha innanzitutto una motivazione molto più semplice: il calo della domanda e l’aumento dell’offerta”. Nonostante la dominanza del monopolio, continuano ad operare le stesse leggi di mercato inesorabilmente prive di sentimenti.

Un eccesso di produzione nel cuore manifatturiero del sud-est e est della Cina, e una crisi che inchioda i motori industriali pesanti cinesi di acciaio, cemento e vetro (e che però potrebbe coinvolgere in modo devastante paesi come l’Italia se alla Cina verrà riconosciuto lo status di economia di mercato). Ma se il futuro non arride alla Cina, gli Usa non stanno meglio: sono stati utilizzati migliaia di miliardi di dollari pompati nel sistema finanziario da parte della Federal Reserve per finanziare una bolla speculativa in azioni e con ciò creando le condizioni per un'altra grave crisi finanziaria.

I rapporti capitalistici di produzione non possono più sostenere il livello raggiunto dalle forze produttive sociali. Questo “limite”, che nella prima fase del capitalismo si manifesta, nei punti più avanzati, periodicamente come crisi cicliche, quando il capitalismo ha raggiunto un alto grado di sviluppo si presenta come crisi generale-storica, che accompagna il sistema e lo investe nella sua totalità con crisi cicliche sempre più ravvicinate e scardinanti, contraddizioni sempre più laceranti.


A tutto ciò s’aggiunge l’instabilità (per usare un eufemismo) del quadro internazionale, dalla sempre più critica situazione in Medio Oriente e in Nord Africa, in Asia, dove c’è un dittatorello a cui i media non hanno imputato per ora solo l’accusa di cannibalismo, allo scontro degli Usa con la Russia, ai nervi sfilacciati di un’Europa costruita solo sulla carta e la moneta, la stagflazione nei paesi Latinoamericani, eccetera. E una diffusa grande voglia di fascismo.

7 commenti:

  1. a me pare si diffonda una gran voglia di irrealtà.
    Posto che il 'socialismo reale' non fu reale, mentre il fascismo sì (eccome), direi che la voglia è proprio di socialismo irreale. Il passaggio ad un sistema del tipo "socialismo reale" è una opzione da valutare con attenzione in Italia, oggi. (comunismo senza comunisti naturalmente).
    Ma in realtà l'Italia è veramente fallita e non c'è più nulla da fare, per questo c'è il governo che c'è.
    Infine: cos'è stato lo stato italiano se non l'autobiografia del fascismo?

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  2. Dopo mesi di frequentazioni, devo constatare che questo blog, è assai utile nella lettura della realtà sociale, ma sui metodi di come attuare una lotta politica e sociale, non vi è traccia (tranne la dichiarata inutilità dell'andare a votare, su cui concordo pienamente). Ora, mi chiedo: se non delinea uno come lei, la strada che si dovrebbe intraprendere per mettere fine a questo sistema sociale, come potranno mai organizzarsi gli sfruttati e i subalterni di questa società?

    Le auguro buona giornata.

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    1. lei che cosa si sentirebbe di intraprendere, con chi, secondo quale progetto e in quale prospettiva? perché vuol farsi dire da altri che cosa fare?

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    2. So che è difficile convivere con le proprie angosce. Ma qua di treni per Pietrogrado non ce ne sono, né, temo, possono essercene. Un'analisi del presente senza lenti ideologiche e senza secondi fini, oltretutto gratis - a noi non costa nulla leggere Olympe, ma scrivere costa tempo e lavoro intellettuale - è molto, moltissimo, per i tempi in cui viviamo.

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    3. ed ad ogni modo per pietroburgo non c'è ancora l'alta velocità

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  3. in sintesi :diagnosi sempre più esatta, cura sempre più aleatoria ed esito "autoritario" sempre più probabile.
    Pero' non chiamiamolo "fascismo" , il fascismo FU un' altra cosa .

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  4. echeggiano le indicazioni leniniane: centralizzazione e concentrazione,fusione tra monopoli e Stato(anche "per unione personale tra Capitale e governo") e tendenza organica verso regimi dittatoriali.

    eppure secondo me il fatto che siano oligopoli e non monopoli a egemonizzare la scena mondiale cambia le carte in tavola riguardo al rapporto con lo stato e al bonapartismo politico

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