sabato 30 gennaio 2016

Tranne il suo


Il crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime significa che il cosiddetto super-ciclo dei prezzi, che aveva avuto inizio nel 2003 con la rapida industrializzazione della Cina, è giunto al termine e non si vede un’analoga opportunità di crescita per l'economia globale. Il deflusso di capitali dai mercati emergenti è senza precedenti così come l’indebitamento di quei paesi. L’Europa non se la passa bene sia dal punto di vista economico (tranne la Germania) e da quello politico, laddove le divisioni sono già diventate lacerazioni insanabili. Dal canto loro gli Stati Uniti registrano l’ennesima contrazione e il Giappone non riesce ad uscire (e non uscirà) dalla sua pluridecennale stagnazione.

Per ultimo, la decisione della banca centrale giapponese di tagliare il suo tasso d’interesse di base a meno 0,1 per cento avrà l’effetto di promuovere ulteriormente la speculazione finanziaria anziché gli investimenti in economia reale. Perché stupirsi? È il risultato dell’approccio monetario all’economia e alla crisi. Non c’è una sola teoria economica, l’approccio di un solo economista, che ponga le questioni sugli effettivi fondamenti del sistema capitalistico, ossia dal lato dell'analisi della produzione e dei relativi rapporti. E dunque, malgrado l’evocazione di tutti i tecnicismi finanziari, monetari e fiscali, si tratta di un approccio che non ha alcuna possibilità di venire a capo delle contraddizioni reali.



Perché? A prescindere dalle motivazioni ideologiche, che nella vicenda svolgono tutt’altro che una parte secondaria, il motivo di tale atteggiamento l’ha spiegato Marx un secolo e mezzo or sono:

Perché il corpo già formato è più facile da studiare che la cellula del corpo. D’altra parte né il microscopio né i reagenti chimici possono essere utili per l’analisi delle forme economiche. La forza d’astrazione deve sostituirli entrambi. Ma per la società borghese la forma di merce del prodotto di lavoro, cioè la forma di valore della merce, è la forma economica che corrisponde alla forma di cellula. Agli illetterati può sembrare che l’analisi di tali forme si aggiri tra semplici sottigliezze, ma solo come se ne trovano nell’anatomia microscopica.

L’economista borghese, posto che possa essere in buonafede, ritiene che la critica dell’economia politica svolta da Marx consista in un corpus dottrinale smentito e superato dalla storia tanto più che smentite e superate dalla storia sono state le esperienze sedicenti comuniste del Novecento. È evidente che questa gente, posto che – ripeto – possa essere in buonafede, non si è mai degnata di prendere in considerazione di prima mano l’opera scientifica di Marx. Tuttavia oggi non siamo affatto in tale situazione per il semplice motivo che economisti in buona fede è escluso che possano esistere.

Quello che non si vuole indagare è il modo di produzione capitalistico e i suoi corrispondenti rapporti di produzione e di scambio, e tale atteggiamento serve a mistificare la reale natura di questo sistema economico, le forme in cui viene prodotta la ricchezza e i modi con i quali ci si appropria di essa. Verrebbe in luce, tanto per fare esempi di senso comune, che le condizioni di sottosviluppo e di povertà non sono un portato del destino cinico e baro, laddove odiernamente s’è raggiunta una capacità produttiva largamente sufficiente a garantire quantomeno i bisogni primari di ogni essere umano.

Verrebbe in chiaro che lavorare otto ore il giorno, laddove si possono contare globalmente almeno 200 milioni di disoccupati, è un assurdo e una distorsione sociale che ormai si palesa comunemente, e dunque che il reale motivo per il quale i padroni del mondo non vogliono ridurre la giornata lavorativa è lo stesso motivo per il quale il padrone delle piantagioni di cotone non voleva affrancare i suoi schiavi. Verrebbe in chiaro che la crisi ormai non è più solo economica ma indica l'emergere di una profonda crisi del dominio capitalista nel suo insieme.

Ciò che invece non ha bisogno di chiarimento, e che un economista non si sognerebbe di nominare mai, è il fatto che il diritto legato alla proprietà è diventato un anacronismo sotto ogni punto di vista. Tranne il suo, ovviamente.




3 commenti:

  1. I vari «i tecnicismi finanziari, monetari e fiscali» - tutti giochini svolti alla ricerca di valorizzazione e che, per il momento, spingono la resa dei conti ad un futuro sempre più prossimo -, illudono purtroppo anche la massa di coloro che non partecipano ai dividendi, oramai rassegnati (persuasi) a credere che nessun potere sia nelle loro mani e che la proprietà dei mezzi di produzione è sacra e inviolabile.

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    1. tempo al tempo. le banche dovranno disfarsi di un bel po' di titoli del debito pubblico e dunque ne vedremo delle belle. i giacobini sembreranno dei moderati.

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    2. roba da far scoppiare un' altra guerra dei trent'anni

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