lunedì 16 novembre 2015

Saremo intransigenti anche sul latte e l’olio d’oliva


Come già ebbe ad osservare Marx quasi 170 anni or sono, in ogni epoca di crisi sociale è sempre imminente anche la prospettiva della “rovina comune delle classi in lotta”. I segni di questa rovina ci sono tutti ed esemplificati, tra l’altro, nella giustissima osservazione di Dmitri Peskov, portavoce del Cremlino, a margine del G20: “non esiste un'idea di Occidente, ogni Paese ha la propria posizione e il proprio atteggiamento verso i diversi segmenti del problema della lotta al terrorismo”.

Non solo a riguardo del terrorismo, ma l’Occidente è diviso anche sul latte e l’olio d’oliva, per citare degli esempi (banali per chi non ha mucche da mungere e olive da raccogliere). Per tacere della crisi economica e climatica. Sui temi economici è prevista solo la distruzione, e cioè riduzione della base produttiva e anche distruzioni ben più estese e profonde di rapporti sociali in tutti gli àmbiti. Salvo la produzione automatica di cordoglio e frasi retoriche. Provate a difendervi da un fanatico demente – che vi punta un’arma e sta per sforacchiarvi come un emmenthal – pronunciando l’anatema di Mattarella: “Saremo intransigenti!”. Che pasta d’uomo il presidente.

E, del resto, siamo tutti esperti di “terrorismo”, come ama ripetere di sé LorettaNapoleoni.

*



A proposito di esperti, ma di economia, rilevo che il concetto di crisi, segnatamente di “crisi di sovrapproduzione”, ha sostanzialmente la platea divisa in tre campioni. Per alcuni significa sovrapproduzione di merci. Per altri, sovrapproduzione di denaro, ossia di capitale. Per altri ancora, i più intelligenti, sovrapproduzione di merci e di capitale. Fate l’appello e all’esame non ne mancherà uno.

Questi esperti dimenticano che “il capitale non è una cosa, bensì un determinato rapporto sociale di produzione, appartenente ad una determinata formazione storica della società. Rapporto che si presenta in una cosa e dà a questa cosa un carattere sociale specifico”.

Prigionieri del mondo feticistico delle merci, vedono solo movimento di “cose” invece di rapporti tra uomini, di “rapporti sociali”, perdendo così tutta la profonda ricchezza di significati contenuta nelle stesse categorie economiche (*). E del resto hanno gli occhi puntati sugli indici di qualcosa.

E che sfugga l’essenziale si può provare con degli esempi. A proposito del famigerato plusvalore, esso non indica soltanto un rapporto tra tempo di lavoro non pagato e quello pagato, ma un ben più complesso rapporto tra uomini: un rapporto di sfruttamento e quindi di antagonismo. E così l’aumentare del saggio di plusvalore, nel divenire del modo di produzione capitalistico, è insieme crescita dello sfruttamento e acutizzazione profonda dell’antagonismo tra “ricchi e poveri” (per dirla nei termini triviali correnti).

Poi trovi il Nobel che ti rivela a piena pagina come oggi si mangi meglio e di più di un tempo, anche se c’è, osserva, il pericolo di squilibri nei consumi tra classi sociali. Senza saperlo è un “marxista” rimasto alle categorie semplici del materialismo economico. Fa parte della fabbrica della coscienza con i suoi relativi funzionari, quelli come lui addetti al disturbo di fondo. Tutti insieme collaborano alla produzione di sistemi ideologici finalizzati alla realizzazione-riproduzione del plusvalore e del rapporto sociale dominante.

La produzione di queste forme di coscienza non è più qualcosa di secondario rispetto alla produzione di merci. L’una e l’altra sono due aspetti dello stesso processo. Il dominio reale del capitale – ormai è consapevolezza comune – sottomette le nostre vite modificandole qualitativamente nei bisogni, nei gusti, nella mentalità, nella morale, nella coscienza, funzionalizzandole all’estrazione del plusvalore, alla sua realizzazione, alla massima valorizzazione del capitale.

La conseguenza, infine, al contrario di ciò che pensava Lacan, non è semplicemente quella di sottrazione di “plus-godimento” (sai che pippa), ma quella di un antagonismo assoluto tra il modo di produzione capitalistico – che ha esaurito la sua fase progressiva ed è entrato nella fase in cui le sue contraddizioni stanno portando al disastro la società e il pianeta – e la prospettiva del suo superamento e dunque della possibilità di uno sviluppo sostenibile e razionale.

Pure la caduta del saggio del profitto (poi mi fermo) non è solo perdita di guadagno in rapporto al capitale investito da parte dei capitalisti, ma indice della perdita di capacità di sviluppo, di espansione dell’intera formazione sociale. È misura della sua morte.

Non parlo di cose astratte ma di questioni concrete che poi a breve o alla lunga producono effetti diretti e indiretti sulle nostre vite. Compresi i licenziamenti e le mitragliate.

(*) Come fa Scalfari a riguardo del suo “uomo”, che ha come base il modello qualitativo del verme, libero per istinto naturale e corroborato di amorevole “memoria” per il prossimo.



4 commenti:

  1. Le gazzette, le case editrici, le tv e le librerie generaliste ci spiegano tante cose ma il senso e la direzione giusta la indichi solo tu, Olimpe. E allora?
    (I love you)

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  2. mi hai strappato una raffica di sorrisi, mi ci voleva :-)

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