lunedì 9 novembre 2015

La solita roba

Nel suo consueto editoriale domenicale, Eugenio Scalfari scrive tra l’altro:

La negazione della fiducia ai partiti può infatti avere come effetto le seguenti decisioni da parte dei cittadini che messi insieme costituiscono il cosiddetto popolo sovrano: 1: astensione dal voto. 2: voto in favore di movimenti o partiti che si oppongono senza eccezione alla situazione politica esistente ma non propongono alternative concrete. 3: odio verso la democrazia e consenso ad un leader che ha o mira di avere pieni poteri. 4: odio verso ogni fase di immigrazione e misure per impedire l'accesso. 5: desiderio d'una rivoluzione che mandi a gambe all'aria tutte le istituzioni.

Dunque la rivoluzione viene solo al quinto e ultimo posto. Non è evidentemente all’ordine del giorno delle preoccupazioni della borghesia trionfante. Al primo posto c’è l’astensione dal voto. La dittatura economica del grande capitale preferisce l’assetto politico che chiamano democrazia. “Sia pure in forma alquanto attenuata” precisa Scalfari, quella democrazia del “cosiddetto popolo sovrano”, aggiunge serafico.

La democrazia che si sostanzia fondamentalmente nel rito elettorale e il cui esito è condizione di sopravvivenza, di sussidi di disoccupazione, di lavoro precario, in nero, di ennesime riforme delle pensioni, dell’insicurezza elevata a sistema di vita. La democrazia di chi vorrebbe fosse distribuito un po’ meglio ciò che viene estorto alla grande. La democrazia dei trattati economici segreti chiusi in cassaforte. Siffatta democrazia che nonostante tutto di meglio non c’è.



Non è forse in atto da decenni un grande processo rivoluzionario che ci coinvolge tutti, volenti o nolenti? Si può cogliere ovunque quale effetto della grande centralizzazione capitalistica, dello sviluppo tecnologico con relativa disoccupazione di massa, nella finanziarizzazione abnorme dell’economia, tanto per dire le trite cose. Cui si accompagna quel grande processo di mutamento antropologico perseguito da decenni e che fatalmente ci consegna anima e corpo agli interessi del capitale monopolistico.

Un grande processo che evolve nella stessa crisi della politica di cui parla ogni domenica Scalfari, esorcizzando il bisogno di un nuovo assetto politico. Per dirla esattamente con Marx, è la stessa caricatura che accompagna una nuova edizione del diciotto brumaio di cui oggi, 9 novembre, ricorre il 216° anniversario. Ma Scalfari non è tipo di curarsi di erudizione antiquaria.

Processo di lunga durata che ha già mutato pelle alle nostre società, una nuova poesia fatta di réclame. La crisi è giudicata senza riserve – negli stessi covi della grande borghesia –, strutturale e secolare, però tacendo che essa ha la stessa causa fondamentale di ogni “squilibrio”, ossia il furto continuo del lavoro altrui, lo scambio ineguale ma reso legale tra padrone e schiavo che nessun pontefice massimo ha mai denunciato e che non scandalizza ormai più nessuno.

Meglio guardare il dito, la deflazione, un mix di aumento della produttività e calo dei prezzi e l’enorme massa di liquidità che non trova impiego remunerativo. Quello stesso movimento di denaro che ha come effetto visibile l’aumento della povertà da un lato e dall’altro l’accumulazione forsennata.

Approssima un’ipotesi, formula il tuo vaticinio, la tua idea di riforma, prestati al giochino, vesti i panni del sociologo, dell’economista, del politico che declina nel suo latino.

Il cambiamento è già qui, nelle cose, lo vediamo bene nella violenza di cui subiamo le conseguenze ogni giorno, attribuita alle cause più disparate o nell’atto di questo o di quello. Gli trovano subito un’etichetta, un nome, fosse quello dell’immigrazione, dell’euro, di Merckel o di Renzi.

Certamente i più avveduti si accorgono che è il movimento del capitale e con esso la lotta di classe – altrimenti tanto esorcizzata – a creare le circostanze e una situazione di dominio assoluto della borghesia nella forma più classica, e che a tale disegno fa agio l’utilizzo di personaggi mediocri e perfino grotteschi nella parte di protagonisti.

E però la grande contraddizione da cui originano tutte le altre, la produzione sociale e l’appropriazione privata, il grande ed inedito sviluppo delle forze produttive e la miserabile condizione a cui sono ancorati i rapporti sociali capitalistici, è stata osservata e descritta solo da un certo punto di vista, e cioè da quello di chi in definitiva accetta questo stato di cose auspicando qualche lenitivo sulle ferite sociali più purulente. Confidando in Syriza, Podemos, nella “sinistra”, nei paludamenti sintattici dei leader in cui dissimulano se stessi nel perseguire illusioni ben retribuite svolgendo il ruolo dei pifferai magici. Scrive Norma Rangeri nel suo editoriale: “La sinistra italiana c’è. E ha iniziato il suo viaggio in un luogo aperto al popolo di sinistra”. La solita roba.



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