mercoledì 21 ottobre 2015

Deflazione, disoccupazione, profitti, credenze volgari


Una delle cause della tendenza alla deflazione, non l’unica causa ma la più importante, è l’aumento della produttività del lavoro. Del resto dovrebbe essere abbastanza intuitivo il motivo e dunque alla portata del senso comune, cioè anche dei funzionari al servizio capitale, se non fosse che tale riflessione viene cassata a priori per motivi ideologici.

Poiché lo sviluppo della forza produttiva e la corrispondente composizione superiore del capitale permettono l’attivazione di una quantità sempre più grande di mezzi di produzione con l’utilizzazione di una quantità sempre minore di lavoro, ne deriva che ogni parte aliquota della produzione complessiva, ogni singola merce, ogni quantità determinata della massa complessiva del prodotto, assorbe una percentuale minore di lavoro vivo e contiene inoltre una percentuale minore di lavoro oggettivato (sia nel logoramento del capitale fisso utilizzato quanto nelle materie prime ed ausiliarie impiegate). Ogni singolo prodotto contiene dunque una somma minore di lavoro oggettivato nei mezzi di produzione e di nuovo lavoro aggiunto nel corso della produzione: il suo prezzo di conseguenza diminuisce.

Va del resto scartata ogni ipotesi e credenza volgare che i prezzi siano determinati dall’aggiunta di una più o meno arbitraria aliquota di profitto al valore effettivo delle merci. Per quanto in taluni casi particolari possa succedere e per quanto queste idee sul piano generale siano primitive, pure esse derivano necessariamente dal modo assolutamente falso in cui sono rappresentate nella concorrenza le leggi immanenti della produzione capitalista.



Ad eccezione di alcuni casi particolari (qui non in esame) la diminuzione di prezzo delle singole merci, la cui somma rappresenta il prodotto complessivo del capitale, significa semplicemente che una determinata quantità di lavoro si realizza in una maggiore massa di merci e cioè che ogni singola merce racchiude meno lavoro di prima. Pertanto la massa del profitto per ogni singola merce diminuirà fortemente con lo sviluppo della produttività del lavoro nonostante l’accrescersi del saggio del plusvalore.

Tradotto in soldoni? Tempo fa un lettore (una lettrice se non ricordo male) mi faceva notare che, nonostante la crisi, i capitalisti stanno aumentando i profitti. Certo, questo è un dato di fatto incontrovertibile, e cioè la massa del profitto aumenta complessivamente, e cresce pure il saggio del plusvalore (cioè il lavoro non pagato in rapporto al capitale variabile, ossia ai salari). E tuttavia se aumenta la massa del profitto, dall’altro lato – come sa bene Marchionne che se ne duole pubblicamente – diminuisce il saggio del profitto, ossia il profitto in rapporto al capitale complessivo investito.

Così come l’aumento della grandezza del capitale si presenta come conseguenza dell’aumento assoluto della massa del plusvalore/profitto, in definitiva dell’aumentata produttività del lavoro, tale massa sarà tanto più elevata quanto più basso sarà il saggio del profitto (vedi questo post). Sembra un paradosso, ma non lo è. Scrive Marx al riguardo:

La scienza economica, che sino ad ora non è stata capace di spiegare la legge della diminuzione del saggio del profitto, presenta la crescente massa del profitto e l’aumento della grandezza assoluta di essa (tanto per i singoli capitalisti quanto per il capitale sociale) come una sorta di motivo di consolazione che risulta però costituito da luoghi comuni e da possibilità.

L’ex scienza economica dei tempi di Marx poi trasformatasi nelle epoche successive in mera apologia del capitale, oltre ad escogitare motivi di consolazione, mostra di avere maggiore interesse per il calo dell’inflazione che non per la diminuzione progressiva del saggio del profitto, cosa che invece dovrebbe preoccuparla molto di più essendo la deflazione essenzialmente un succedaneo della legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Non solo. Il continuo richiamo alla necessità di aumentare sempre più la produttività del lavoro, ha come effetto di aggravare le stesse cause che portano alla diminuzione progressiva del saggio del profitto. Del resto, si deve prendere atto, piaccia a destra e non sia gradito a sinistra, che tale richiamo costituisce una necessità insopprimibile del capitale.

Questo, oltretutto, ha effetti anche sul piano dell’occupazione, poiché, detto in modo assai sintetico, quanto maggiore è lo sviluppo del modo di produzione capitalistico tanto maggiore è la quantità di capitale necessaria per impegnare la medesima forza lavorativa, o, a maggior ragione, una forza lavoro crescente. L’aumento della produttività del lavoro comporta quindi necessariamente, nella produzione capitalistica, una permanente sovrappopolazione operaia che è tale solo nelle apparenze (*).

In conclusione: l’aumento della disoccupazione è effetto dello sviluppo tecnologico nella misura in cui tale sviluppo si esprime in un aumento della produttività del lavoro in rapporto al capitale investito. Tale produttività del lavoro si esprime in una diminuzione assoluta della somma di lavoro vivo aggiunta ex novo ad ogni singolo prodotto, e ciò si manifesta con una diminuzione del valore delle singole merci e dunque nel calo del loro prezzo, in definitiva nel fenomeno della deflazione. Non solo. Dall’aumento della produttività del lavoro consegue un aumento costante della massa assoluta dei profitti, cioè in un accelerarsi dell’accumulazione, ma per contro in una diminuzione progressiva del saggio del profitto, e ciò ha conseguenze (qui non prese in considerazione) nel fenomeno delle crisi di ciclo. L’accelerarsi dell’accumulazione diviene – con effetto circolare – il punto di partenza di un ulteriore sviluppo della forza produttiva e di un’ulteriore diminuzione relativa del capitale variabile (lavoro salariato). La minor richiesta di forza-lavoro comprime i salari anche quando questi non subiscono la concorrenza internazionale. Eccetera.

(*) In termini aritmetici: se il capitale variabile (lavoro salariato) non costituisca che 1/6 del capitale complessivo, invece di 1/2 come prima, quest’ultimo, per occupare la stessa forza–lavoro, deve triplicarsi  e deve sestuplicarsi per impiegare una forza lavoro doppia. Anche se la massa della popolazione operaia sfruttata rimanesse costante e aumentasse unicamente la durata o l’intensità della giornata lavorativa, la massa del capitale utilizzato dovrebbe aumentare, poiché questo è necessario anche per poter impiegare, con una diversa composizione del capitale, la stessa massa di lavoro alle precedenti condizioni di sfruttamento.


17 commenti:

  1. Digressione: che ne pensa di questo articolo: http://www.marx21.it/index.php/internazionale/cina/26159-pensare-la-cina-ripensare-il-post-capitalismo
    Grazie anticipatamente.
    AG

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    1. su alcune cose sono d'accordo, ma Losurdo va maneggiato con cautela

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    2. Poi Le allego un altro art sulla Cina, che devo finir di leggere. Spero possa darmi un parere anche su quello. Saluti.
      AG

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    3. Come promesso il link dell'intervista:
      http://www.lacinarossa.net/intervista-al-compagno-filippo-violi/
      AG

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    4. Non vorrei pressarLa, ma ha avuto modo di leggere???
      Grazie in anticipo.
      AG

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    5. ho letto. è un punto di vista molto distante dal mio. saluti

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    6. Scusi se la tedio, ma alla prima risposta, quando l'intervistato dice che uno stato socialista deve aprirsi al mercato, richiamando per la quaestio anche le sacre scritture (Marx), è una cosa veritiera o no?
      AG

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    7. socialismo di mercato? non c'entra nulla con marx. questo è un analfabeta, se va bene

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    8. In realtà faceva riferimento a Lenin ma mi sembrava strano cmq. Grazie come al solito per il suo prezioso contributo.
      AG

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  2. Ogni tanto fa bene tornare sui fondamentali che tu riesci sempre a riproporre in forma chiara e godibile. Merci beaucoup.

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    1. come vedi non riesco a rispondere alla quantità di commenti che ricevo al riguardo. grazie a te mio caro e raro

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  3. la deflazione attuale, non quella strutturale, fenomeno europeo e meno marcato negli USA- tanto per fare paragoni tra economie mature- mi sembra da mettere in relazione con le tardive politiche monetarie. Anche all' eurotower si stanno chiedendo come mai dopo sei mesi di QE l'inflazione rimane anemica e lontana dal 2% auspicato.

    Naturalmente la deflazione strutturale -il valore medio compresso in unità di merce- tende ad abbassarsi comunque a causa delle dinamiche capitalistiche che hai illustrato: innalzamento del saggio di sfruttamento/composizione organica del capitale.

    Confesso che ancora non ho capito bene quando il valore di una merce (cioè il saggio di lavoro medio astratto incluso a parità di composizione del capitale) coincide con il prezzo di una merce. L'idea confusa che mi sono fatto è che si verificano tutte le possibilità a seconda del momento

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    1. la cosa è spiegata da marx nel secondo libro. se e quando potrò ne riassumo il brodo

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  4. Diciamo che sarebbe stato bello con l'aumentare delle tecnologie vedere ridursi l'orario/giornate di lavoro settimanali, ma non mi sembra che sia successo..Tanto è cambiato intorno a noi quanto tanto non cambierà mai ..mi sembra..
    Grazie per i continui spunti di riflessione.
    Roberto

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