mercoledì 26 agosto 2015

Perché gli operai sono piuttosto frugali


Vedo di scrivere in modo semplice affinché anche chi ha studiato economia all’università e ne è uscito irrimediabilmente segnato possa comprendere qualcosa e forse tornargli utile (si sa mai).

La crisi in cui si dibatte il capitalismo appare anzitutto come crisi dei consumi ossia come espressione di “sottoconsumo” o “sovrapproduzione di merci”. Ciò significa semplicemente una cosa, e cioè che la società nel suo insieme ha consumato meno di quanto si è prodotto. E però una cosa è chiara: poiché le crisi nel loro susseguirsi periodico sono un prodotto della società capitalistica, la loro causa va ricercata nel carattere stesso del capitale. Gli economisti borghesi da quest’orecchio non ci sentono, poiché cercare la causa delle crisi nel carattere stesso del capitale, e non invece come piace loro nella circolazione, significherebbe mettere in luce anzitutto il rapporto di sfruttamento tra capitale e lavoro.

La prima cosa che salta agli occhi consiste nel fatto che se fosse possibile ampliare il consumo della produzione capitalistica a piacere non vi sarebbe alcuna “sovrapproduzione di merci”. E dunque la prima domanda da porsi è: per quale motivo non è possibile ampliarne il consumo? A ciò la pseudo-scienza economica borghese ha tentato di trovare risposta in varie epoche e con le più fantastiche invenzioni teoriche, fino ad arrivare alla più risibile che va sotto il nome di J.M.Keynes, il quale imputava il ristagno nei consumi a un fattore psicologico: la scarsa propensione psicologica al consumo!


Come spesso accade la psicologia offre aiuto quando non si sanno che pesci pigliare per spiegare un dato fenomeno, ossia quando non si vuol spiegare ciò che la realtà presenta contro i nostri interessi e convinzioni. Con ciò non voglio negare che la psicologia, al pari dell’ideologia, non abbia un ruolo, a volte anche importante, nelle determinazioni sociali, e tuttavia scambiare l’azione di leggi economiche che hanno la stessa forza di leggi di natura per cause psicologiche, poteva venire in mente solo ad un aristocratico inglese.

Peraltro va notato che nell’ambito dei rapporti capitalistici, l’aumento dei consumi implica la riduzione del saggio del profitto come chiunque può verificare. Infatti, l’aumento dei consumi nelle grandi masse è legato all’aumento dei salari dei lavoratori produttivi e ciò implica, anche intuitivamente, una diminuzione del plusvalore e di qui la diminuzione del saggio del profitto. In altri termini rivelo ciò che è noto anche da prima di Marx ma che questi ha reso chiaro scientificamente: le condizioni di valorizzazione del capitale si oppongono all’espansione dei consumi, e poiché tali condizioni di valorizzazione si costituiscono quale fattore decisivo, la contraddizione si acutizza fino a sfociare nella crisi.

Ora viene il bello: il cosiddetto “sottoconsumo” (qualunque ne sia la causa, poniamo pure quella spiritosa di Keynes) è una condizione generale della crisi, un fenomeno costante. E dunque, come spiegare (da un punto di vista scientifico ovviamente) il carattere periodico delle crisi ricorrendo a un fenomeno costante? Ora riporto una lunga citazione dal III Libro de Il Capitale e poi vi lascio in pace (chiaro che però la questione non si esaurisce qui):


La massa complessiva delle merci, il prodotto complessivo, tanto la parte che rappresenta il capitale costante e variabile, come quella che rappresenta il plusvalore, deve essere venduta. Qualora questa vendita non abbia luogo o avvenga solo in parte oppure a prezzi inferiori a quelli di produzione, lo sfruttamento dell’operaio, che esiste in ogni caso, non si tramuta in un profitto per il capitalista e può dar luogo ad una realizzazione nulla o parziale del plusvalore estorto ed anche a una perdita parziale o totale del suo capitale. Le condizioni dello sfruttamento immediato [produzione delle merci, nota mia] e della sua realizzazione [vendita delle merci] non sono identiche: esse differiscono non solo dal punto di vista del tempo e del luogo ma anche della sostanza. Le une sono limitate esclusivamente dalla forza produttiva della società, le altre dalla proporzione esistente tra i diversi rami di produzione e dalla capacità di consumo della società. Quest’ultima, a sua volta, non è determinata né alla forza produttiva assoluta né alla capacità di consumo assoluta ma dalla capacità di consumo fondata su una distribuzione antagonistica che riduce il consumo della grande massa della società ad un limite che può variare solo entro confini più o meno ristretti. Essa è inoltre limitata dall’impulso ad accumulare, ad accrescere il capitale ed ottenere delle quantità sempre più forti di plusvalore. Per la produzione capitalistica si tratta di una legge determinata dalle incessanti rivoluzioni nei metodi di produzione, dal deprezzamento continuo del capitale esistente che ne è la conseguenza, dalla concorrenza generale e dalla necessità infine di perfezionare la produzione ed allargarne le dimensioni, al semplice scopo di conservarla ed evitare la rovina. Il mercato di conseguenza deve essere costantemente ampliato, cosicché i suoi rapporti e le condizioni che li regolano assumono sempre di più l’apparenza di una legge naturale indipendente dai produttori, sfuggono sempre di più al controllo. La contraddizione intrinseca cerca una compensazione mediante l’allargamento del campo esterno della produzione. Ma tanto più la forza produttiva si sviluppa e tanto maggiore è il contrasto in cui viene a trovarsi con la base ristretta su cui poggiano i rapporti di consumo. E non vi è nulla di inspiegabile nel fatto che, su questa base piena di contraddizioni, un eccesso di capitale sia collegato con un eccesso crescente di popolazione; e quantunque la massa di plusvalore risulterebbe aumentata nel caso che si assorbisse l’eccesso di popolazione con l’eccesso di capitale, si accentuerebbe con ciò il conflitto fra le condizioni in cui questo plusvalore è prodotto e quelle in cui invece è realizzato.

2 commenti:

  1. "E dunque, come spiegare (da un punto di vista scientifico ovviamente) il carattere periodico delle crisi ricorrendo a un fenomeno costante?"

    I geyser sono un buon esempio?

    Guido

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  2. It's fantastic
    http://www.pandoratv.it/?p=3889

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