mercoledì 5 agosto 2015

Bloody Mary


Quella che segue è una lettura adatta al momento stagionale e può favorire l’abbiocco già dopo le prime due righe e mezza. Perciò è sconsigliata a chi sia alla guida di pattini, gommoni, natanti in genere, ma anche tagliaerba sui campi di golf. È vietata la diffusione con mezzi sonori.

*

È fatto quotidiano la sopravvalutazione della funzione della coscienza umana e il credere, conseguentemente, di poter risolvere, da un punto di vista soggettivo-volontaristico, la dialettica necessità/libertà a favore di quest’ultimo termine. E non sono pochi quelli che mettono in dubbio la possibilità delle scienze sociali di consentire una conoscenza oggettiva, ossia la scientificità delle scienze sociali e dunque, facendo di ogni erba un fascio, anche del materialismo storico.

Questa sfiducia nelle scienze sociali è motivata dai palesi fallimenti di queste scienze, anzitutto dall’economia che non riesce a rendere ragione di ciò che accade se non ex post. Per quanto riguarda invece il materialismo storico in generale la sfiducia nasce da un sostanziale pregiudizio cui ha notevolmente contribuito da un lato la lotta ideologica e le tensioni sociali del Novecento, e dall’altro – quando va di lusso – un’esegesi di quarta mano (*).



Per contro è presente anche l’atteggiamento opposto, ossia una concezione del materialismo che, postulando la priorità della materia rispetto allo spirito, ammette unicamente il condizionamento dell’essere sociale sulla coscienza e nega che vi sia qualsiasi rapporto dialettico. Sia chiaro, con ciò non si vuol sostenere che le forme della coscienza sociale non siano determinate, in ultima istanza, da rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle forze produttive materiali indipendenti dalla loro volontà dei singoli soggetti. Qui è in discussione la negazione che vi sia, tra struttura economica e sovrastruttura sociale, un’influenza reciproca.

Non è questione questa per così dire solo “filosofica”, bensì eminentemente pratica. Pensiamo, per rifarci a un esempio concreto, all’atteggiamento di Plenkanov (ma anche di altri marxisti), il quale privilegiava nella storia soltanto quei processi oggettivi che fossero indipendenti dalla volontà degli uomini e sottoposti a “ferrea” necessità. Ciò conduceva a concepire il procedere della storia in modo deterministico e a privilegiare unilateralmente il “corso oggettivo delle cose”.

A tutta prima sembra questa una concezione coerente, da cui discende la convinzione profonda che le leggi inesorabili dello sviluppo economico determinino il momento e la possibilità della rivoluzione sociale e il superamento del modo di produzione capitalistico. E ciò sarebbe avvalorato, per esempio, da una famosa frase che Marx ebbe a scrivere nella prima Prefazione alla prima edizione de Il Capitale: “Il mio punto di vista, […] concepisce lo sviluppo della formazione economica della società come processo di storia naturale […]”.

Da parte degli esegeti trasformare la categoria marxiana di “formazione economica” in quella di “formazione economico-sociale”, come se esse fossero equipollenti, è stato un passo decisivo per imprimere un taglio “economicista” al marxismo, con ripercussioni non secondarie dal punto di vista sia ideologico e sia pratico, con spiccati riverberi specie negli ordinamenti sociali sedicenti “socialisti”.

Del resto, detto tra parentesi, concepire una formazione sociale nella sua totalità come “processo di storia naturale” non sarebbe mai venuto in mente a un’eminenza dialettica come Marx.

È venuta così a stabilirsi quasi una dicotomia tra i rapporti materiali (rapporti di produzione), che si creano fuori dalla volontà e dalla coscienza degli uomini, e i rapporti ideologici, questi ultimi concepiti solo come una sovrastruttura dei primi. Per cui, secondo tale tesi, solo i rapporti di produzione possono essere oggetto di un’indagine scientifica in quanto, fondandosi senza passare attraverso la coscienza degli uomini, sono “oggettivi”.

Ecco dunque che il materialismo storico diviene in tal modo un materialismo economico, in cui si tende a sottovalutare il concetto di formazione economico-sociale come “totalità” per privilegiare unilateralmente quello di “struttura”.

Se è pacifico che ogni formazione economico-sociale è retta da una struttura economica che le è propria e che la distingue da altre formazioni sociali, è altrettanto vero che appiattire la formazione economico-sociale sul suo modo di produzione significa non rendere conto della specificità di questa categoria, dunque della maggiore complessità rispetto a quella che le fa da fondamento storico.

In questo modo di concepire le cose, manca il riconoscimento che la conoscenza approfondita della formazione economico-sociale, una volta stabilito il carattere fondamentale dei rapporti di produzione materiali, implica lo studio dettagliato dei rapporti sociali nella loro particolarità, nelle loro interrelazioni e nelle loro rispettive leggi di movimento.

(*) Marx è molto più giudicato di quanto non sia letto, e il materialismo dialettico assai più creduto di quanto non sia frequentato.



5 commenti:

  1. Non posso dirti come sarebbe a leggere tale post su un 24 metri, però posso dirti che leggerlo in una gelateria vicina al porto mangiando un cono non è affatto male.

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    1. dubito che su un 24 leggeresti diciottobrumaio
      sei appena arrivato e già ti dai alla bella vita eh

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  2. Ottima sintesi, mi ha aiutato a fissare un paio di cose ...

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  3. Cara Olympe,
    compito dei "rivoluzionari" di professione ,sarebbe adunque,quella di non dimenticare mai di studiare ed in funzione di questo calibrare il lato politico delle loro azioni,sulle risultanze di tale studio,o no ?
    caino
    In tutti i casi sull'ignoranza su Marx ,contribuiscono diversi fattori.
    I tuoi post ,alla fine mi hanno costretto a tirar fuori dagli scaffali i miei vecchi appunti sulle categorie marxiane ,li ho ritrovati misti ad un numero del Politecnico e ad alcuni numeri di Tango.
    Utile.

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  4. secondo me ti aspetti troppo dalla necessità e troppo poco dalla libertà, mi riferisco ad una impressione complessiva degli scritti

    preferisco di gran lunga anch'io una teoria dei bisogni ad una idealistica dei desideri, rilevo però che la prima è al momento è impraticabile, a dispetto della sua stringente logica, nonostante la crisi sistemica in atto

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