mercoledì 15 luglio 2015

Scoprire la necessità significa trovare la libertà


In questi giorni a proposito della vicenda ellenica, e dunque a riguardo di fatti e misfatti dell’unione europea, si sente spesso invocare i diritti dei popoli, la democrazia e altre simili fantasie. Rilevava un antico tedesco che componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola democrazia, la parola diritti con la parola uguaglianza, non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.

La domanda che invece ci dovremmo porre, di là delle considerazioni su quanto sia iniquo e bastardo questo modo di governare i processi di cambiamento, è dove ci sta portando tale mutamento delle cose.



Abbiamo sotto gli occhi diverse evidenze. Dapprima quella che le illusioni del riformismo, laddove non siano già defunte, stanno svanendo. Molto semplice: la gente ha smesso di crederci e ha ormai colto nitidamente l’essenziale di questo sistema di rapina e corruzione. Però il sistema è ancora vincente sul terreno della lotta ideologica, laddove ha saputo sfruttare il fallimento del sedicente comunismo sovietico a tal punto che qualsiasi ipotesi di alternativa sul terreno dell’antagonismo comunista (e non banalmente anticapitalista) è diventata sinonimo delle cose peggiori.

Un’altra essenziale evidenza, sul terreno pratico, è quella che vede lo sviluppo capitalistico aver creato le premesse per una svolta epocale verso la quale ci stiamo inerpicando. Vediamo come il lavoro sia sempre meno richiesto come quota di lavoro immediato, cioè come la quantità di lavoro vivo sia sempre più esigua rispetto al lavoro passato che mette in moto. I numeri della disoccupazione e sottoccupazione sono in tal senso eloquenti e non ci sarà alcuna significativa inversione di tendenza, anzi.

In altri termini, possiamo osservare un fatto inedito nella storia, e cioè come la quantità di prodotti disponibili non sia più determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla stessa forza produttiva del lavoro. Ciò è dimostrato dall’enorme sproporzione tra il tempo di lavoro impiegato e il suo prodotto, tra il lavoro e la potenza del processo di produzione che esso sorveglia.

Ciò si palesa in tutte le sfere della produzione, ma colpisce la fantasia (soprattutto degli ideologi borghesi) laddove è massicciamente impiegata la robotica: pochi addetti possono controllare una lunga e complessa catena produttiva che pochi decenni or sono richiedeva il lavoro di decine e anzi centinaia di schiavi salariati.

Da questa evidenza si coglie che: 1) il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, e con ciò il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura; 2) il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa.

Se il lavoro necessario per produrre una gran massa di prodotti si riduce grazie allo sviluppo dell’automazione e delle tecniche produttive, ciò dimostra inconfutabilmente che il lavoro necessario alla società per creare ricchezza sufficiente per tutti, e dunque non più subordinato all’esigenza di creare profitto, può essere ridotto ad un minimo.

Sempre più in evidenza che produzione sociale e appropriazione privata non possono andare ancora insieme. Il pluslavoro (cioè il lavoro erogato in più dall’operaio allo scopo di profitto del capitalista) cessa di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, così come il non-lavoro dei pochi cessa di essere condizione dello sviluppo intellettuale della società.

La società umana, per quanto sia soggetta alle leggi di natura, non è una colonia di topi. La società umana è capace di trasformazione cosciente della materia sociale, della produzione e distribuzione, dell’organizzazione in generale secondo scopi predefiniti.

Le forze socialmente attive agiscono in modo assolutamente uguale alle forze naturali, ma fino a quando esse agiranno – così com’è avvenuto finora – in maniera cieca, violenta, distruttiva, cioè fino a quando non le riconosciamo e non facciamo i conti con esse, ci domineranno.

Come ebbe già ad osservare Engels, fino a quando ostinatamente ci rifiuteremo di intenderne la natura e il carattere di queste forze – e a questa intelligenza si oppongono i sostenitori di questo sistema –, esse agiranno malgrado noi e contro di noi. Una volta che le abbiamo riconosciute, che ne abbiamo compreso il modo di agire, la direzione e gli effetti, dipende solo da noi il sottometterle sempre più al nostro volere e per mezzo di esse raggiungere i nostri fini.


Come ho già avuto modo di scrivere, la libertà non è la negazione della necessità ma ne è l'affermazione, scoprire la necessità significa trovare la libertà.

15 commenti:

  1. Parole sante. Attendo il tempo in cui queste forze di cui già parlava Engels abbandoneranno le loro timidezze e si faranno capire con decisione dagli italiani. Ah, se gli arrivasse scritto sullo smartphone "svegliati addormentato hai un compito storico da portare avanti"... forse forse.

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  2. Parole sante. Attendo il tempo in cui queste forze di cui già parlava Engels abbandoneranno le loro timidezze e si faranno capire con decisione dagli italiani. Ah, se gli arrivasse scritto sullo smartphone "svegliati addormentato hai un compito storico da portare avanti"... forse forse.

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  3. non è questione di sottometterle alla nostra volontà - saprebbe di opportunismo - quanto di sottometterle al processo storico in corso. Bisogna discernere fra forze utili e inutili al nostro scopo. Si tratta di lotta fra classi, bisogna in qualche modo sopraffare la borghesia. In particolare si tratta di sopraffare la borghesia nei modi che la storia ci suggerisce.

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  4. per ora è l' analisi logico dialettica che suggerisce - anche in maniera discretamente adeguata, a saper scegliere
    la storia invece, per ora, tira la volata al dominio

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    1. è il dominio che tira la volata alla storia come lei la intende.

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    2. va bene, ha completamente ragione
      potrebbe per piacere dirmi che cosa intendo per "storia"?

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    3. la storia così come trasmessa è quella data ad intendere (a tutti, anche a me); quella reale è materialismo storico. Se lei mi scrive che la storia tira la volata al dominio mi sembra evidente si riferisca alla prima concezione mentre io mi riferivo alla seconda. Mi scuso del malinteso dovuto alla mia scrittura scorciata. Buonasera.

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  5. "In altri termini, possiamo osservare un fatto inedito nella storia, e cioè come la quantità di prodotti disponibili non sia più determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla stessa forza produttiva del lavoro."

    non è un fatto inedito, data da qualche secolo, precisamente dalla nascita del capitalismo. Che la percentuale di capitale costante cresca continuamente rispetto a quella del capitale variabile variabile è una caratteristica essenziale del capitalismo. Non è vero che " il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza", ciò vale per il lavoro dipendente, il capitale oggi vive estorcendo lavoro dipendente, autonomo, pubblico, privato e persino il lavoro dei piccoli capitalisti.

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    1. mi spiace, ma lei non ha la minima idea della differenza tra lavoro produttivo e improduttivo. cerchi nel mio blog e vedrà che qualche chiarimento lo troverà, sempre se non vuole sporcarsi le mani con marx.

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    2. ah, per quanto riguarda la mia frase che lei riporta, nemmeno quella ha capito. legga i grundrisse, vedrà che troverà anche di questo fatto chiarimento. lei interpreta troppo letteralmente e le sfugge il senso della cosa.

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    3. 1) qualche chiarimento magari lo chiederò alla copia del Capitale che ho sotto mano. Non vedo però come la differenza tra lavoro produttivo e improduttivo possa giustificare l'evidente errore storico che lei fa spacciando per una novità il fatto che la quantità di prodotti disponibili dipenda direttamente dalla produttività del lavoro.

      2 ) ai presunti errori di interpretazione si può rispondere con il chiarimento oppure rimandando a un testo sacro. Il fatto, verosimile a questo punto, che lei non abbia capito niente né del Capitale né dei Grundrisse, unita alla sua venerazione feticistica per questi testi, le fa forse sottovalutare l' importanza del dialogo razionale nel risolvere eventuali, sempre possibili, errori di interpretazione.

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    4. Caro Gaspere, Lei mi attribuisce errori (per carità, sempre possibili) su questioni che palesemente non conosce bene. È anche possibile, seppure assai più improbabile, che sia io a non aver capito nulla. Tuttavia, se lei contesta il fatto che non siamo giunti alla crisi generale del capitalismo, ciò significa che non ha chiara la contraddizione generale che sta a fondamento del modo di produzione capitalistico, il grado di sviluppo raggiunto da tale contraddizione, eccetera. Crisi generale storica del modo di produzione capitalistico non significa che “crollerà” il sistema, né che “crollerà” domani o fra dieci anni. Evidentemente, tra l’altro, lei è da poco che segue il blog, altrimenti le sarebbe noto che cosa penso al riguardo. Ne ho scritto qui e in molti altri post:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/04/cenni-sul-metodo.html
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2011/07/diego-fusaro-marx-sconfessato-dalla.html

      eccetera, ecc. ecc. ecc.

      Poi, quando scrivo: “In altri termini, possiamo osservare un fatto inedito nella storia, e cioè come la quantità di prodotti disponibili non sia più determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla stessa forza produttiva del lavoro”, come le ho già detto, il senso alla frase non è quello che lei ricava da una lettura letterale. Posso darle un suggerimento di lettura dove cito le stesse parole ma dette da un vecchio ubriacone:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2013/05/il-carattere-storico-e-transitorio.html

      Per quanto riguarda la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2012/07/lessenza-di-una-testolina-fine.html

      Poi, e questo è importante perché rendo elementari le cose, questo post:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2015/04/perche-cala-il-prezzo-delle-uova.html

      Ora ha abbastanza materiale, se vorrà leggerlo dimostrando buona volontà, per tenersi occupato ed elaborare tutte le critiche e le controdeduzioni che vorrà. Buona lettura.Con amicizia.

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  6. carissima,
    1 ) il fatto che lei citi "le stesse parole ma dette da un vecchio ubriacone" significa che già per Marx la quantità di prodotti disponibili non era più determinata dalla quantità del lavoro erogato, ma dalla stessa forza produttiva del lavoro. Ora, come fa lo stesso fatto ad essere contemporaneo di Marx ( 19° sec. ) e nello stesso tempo a presentarsi come inedito ai giorni nostri ? Non mettevo in dubbio il fatto in sé ma che potesse essere considerato inedito ai nostri giorni. A meno che lei per "inedito" non volesse significare relativo agli ultimi secoli. Tutto qui.

    2 ) lavoro produttivo e improduttivo. Mi permetto di riportare uno dei passaggi più significativi del suo post

    " 1) il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, e con ciò il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura; 2) il furto del tempo di lavoro altrui, su cui poggia la ricchezza odierna, si presenta come una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa."
    per "lavoro in forma immediata" lei intende, credo, lavoro vivo, produttivo ( nel senso di Marx ). Ora, se il lavoro salariato produttivo ha cessato di essere la fonte della ricchezza odierna ( cosa che non contesto affatto ) come fa la stessa odierna ricchezza a poggiare sul "furto di lavoro altrui" ?
    Ma quello che mi lascia perplesso è soprattutto che lei nel prosieguo sembra intendere che il lavoro necessario alla produzione della ricchezza sia solo quello produttivo, cioè quello da cui è possibile estrarre plusvalore. Ma ciò non è affatto vero essendo necessario anche quello improduttivo. Lo stesso Marx, mi sembra, fa l'esempio del lavoro dell'addetto alle vendite che pur essendo lavoro improduttivo ( in quanto non aggiunge valore al capitale ) è nondimeno necessario alla riproduzione dello stesso capitale. Il commercio, la pubblicità, la formazione etc etc, pur non rientrando nella definizione di lavoro produttivo, sono tuttavia necessari alla riproduzione della ricchezza sociale odierna.
    Sono d'accordo invece ed è anzi la cosa che auspico di più che " il lavoro necessario alla società per creare ricchezza sufficiente per tutti può essere ridotto ad un minimo." , ma è il caso, secondo me, di chiarire che per "ricchezza sufficiente" si intende solo una parte dell' odierna ricchezza sociale e che qualcuno dovrà necessariamente rinunciare a quel sovrappiù se vogliamo effettivamente ridurre il lavoro al minimo.

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    1. quando parlo d'inedito mi riferisco a "storicamente inedito"

      il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande fonte della ricchezza, e con ciò il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura; ...
      però poi preciso in grassetto: E tuttavia la premessa della produzione basata sul valore è e rimane la quantità di tempo di lavoro immediato, la quantità di lavoro impiegato, come fattore decisivo della produzione della ricchezza.

      vede, Gaspare, non possiamo continuare il nostro discorso se prima lei non prende contatto e poi studia approfonditamente marx. francamente non mi pare lei lo conosca abbastanza e di prima mano. non la prenda come arroganza da parte mia, ma, come le ho detto, è necessario partire da uno stesso dato di conoscenza per poi poter sviluppare un confronto su questi temi. per esempio, non le è assolutamente (e non relativamente) chiaro che cos'è il lavoro produttivo e cosa lo differenzi da quello improduttivo. nei miei post, non ricordo se in quelli che le ho segnalato, scrivo ad esempio che il lavoro del chirurgo non solo è improduttivo ma è distruttore, consumatore, di ricchezza. tuttavia chi si sognerebbe di dire che non è "utile"?
      cordialmente

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  7. non so, in effetti ho l' impressione che lei mi attribuisca esattamente l' opposto di ciò che dico. A me sembra pacifico che il lavoro improduttivo non solo è utile ( come quello del chirurgo ) ma è anche necessario alla riproduzione di ricchezza ( commercio, pubblicità etc ). La riproduzione della ricchezza può ai nostri giorni far a meno del lavoro produttivo ma non di quello improduttivo. In altre parole, lo sfruttamento del lavoro va inteso ai nostri giorni non solamente come estrazione di plusvalore ma soprattutto come comando sulle forme e le modalità del lavoro improduttivo. Il fatto che sia tecnicamente possibile ( attraverso l'automazione etc ) ridurre al minimo e persino eliminare il lavoro che lei chiama "in forma immediata", mantenendo inalterata la produzione complessiva della ricchezza, non implica affatto che ciò facendo si avrebbe una migliore e più giusta ripartizione della ricchezza complessiva. Che poi dovrebbe essere la cosa più importante. In ogni caso, come vuole....

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