mercoledì 10 giugno 2015

Non è Blade Runner, ma ci somiglia


La cosa più difficile da far comprendere a un proletario salariato è la sua reale condizione di schiavo. Il fatto per esempio che gli siano riconosciuti alcuni diritti lo porta a credere di essere effettivamente un uomo libero. Potrà mai essere effettivamente libero un uomo che per la sua sopravvivenza dipende da un altro uomo al quale deve obbedire? Già il linguaggio comune, il parlare concreto, è il locus in cui l’ideologia quotidiana ha così ben messo radici e mistificato la faccenda della sua libertà.

Questa ideologia quotidiana è per certi aspetti ancor più ricettiva e articolata dell’ideologia ufficiale. Ed è proprio nel flusso dei rapporti sociali, della comunicazione quotidiana, che le idee si radicano e diventano forze materiali di conservazione, che le forme ideologiche mostrano senza veli il loro potere. Ne avevo un riscontro tangibile oggi commentando e rispondendo sul blog di Malvino a riguardo del tema trattato, cioè dello Stato nella sua pretesa rappresentazione di soggetto neutrale.



In questa gigantesca e inesauribile battaglia sul terreno della comunicazione sociale nessuno è escluso o può sentirsi neutrale, mero spettatore. Ognuno di noi, lo voglia o no, è partecipe dello scambio e dello scontro, fosse pure nel rapporto uomo/donna o in quelli amicali e ricreativi. Figuriamoci poi nei rapporti di lavoro, laddove il carattere ideologico, di classe, delle parole e dei linguaggi, è ancora più forte. Si pensi per esempio alla paradossale locuzione “datore di lavoro” riferita in realtà a chi il lavoro, invece di darlo, lo prende.

Ed è perciò facile, per chi controlla la produzione e la circolazione della comunicazione ufficiale, imporre un determinato uso e significato alle parole e ai segni in generale. E ciò si esprime tanto più nel divenire della crisi sociale, laddove la modellizzazione e il controllo dei comportamenti e dei linguaggi è ancor più essenziale (la schizofrenia che li investe è incoraggiata). Comportamenti e linguaggi che appaiono “naturali”, ma che sono invece l’esecuzione di programmi secondo precise coordinate ideologiche di classe.

E torniamo al punto di partenza: far comprendere come sia reale e non fantastica questa dimensione, ossia che non si tratti di Blade Runner ma delle nostre vite, è difficile quanto far comprendere a un proletario salariato che equiparare la sua condizione a quella di uno schiavo non è superfetazione ideologica marxisteggiante (*).

(*) «Allorché un individuo è costretto a pagare e a lavorare per altri, questo individuo è lo schiavo degli altri» (Maffeo Pantaleoni, La caduta della Società Generale di Credito mobiliare Italiano, UTET, 1988).

«I mercanti non possono guadagnare senza mentire, e non c'è nulla di più spregevole della menzogna [...] tutti coloro che vendono la loro fatica e la loro industria, [...] chiunque offra il suo lavoro in cambio di denaro vende se stesso e si mette a livello degli schiavi» (Cicerone, Dei doveri, I, XLII).


«Lo schiavo romano era legato al suo proprietario da catene; l’operaio salariato lo è al suo da invisibili fili. L’apparenza della sua autonomia è mantenuta dal continuo mutare dei padroni individuali e dalla fictio juris del contratto» (Il Capitale, I, cap. XXI).

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