domenica 21 giugno 2015

La ricchezza su una montagna di cadaveri

«C’è un solo uomo di troppo sulla Terra: il reverendo Malthus».

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«Però, se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale. Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi (Laudato si’, pp. 38-39).»

*

Quanto “all’ineguale distribuzione delle risorse disponibili” va chiarito che nel capitalismo la ricchezza materiale non esiste per i bisogni di sviluppo del lavoratore ma che questi esiste per i bisogni di valorizzazione del capitale. Pertanto anche le “problematiche” demografiche, e con esse quelle della fame e del sottosviluppo, devono essere ricomprese nelle leggi di accumulazione e sviluppo capitalistico se si vuole restare nell’ambito dell’analisi scientifica.

Tutte le trasformazioni avvenute nei modi di produzione precedenti non hanno mutato sostanzialmente i rapporti di produzione, limitandosi a sostituire una forma di proprietà ad un’altra, una forma di sfruttamento con un’altra. Dalla proprietà schiavistica, a quella feudale, poi alla proprietà capitalistica: dallo sfruttamento degli schiavi si è passati allo sfruttamento dei servi della gleba e ora a quello dei proletari (anche di quelli che stanno partendo per le vacanze con l’auto nuova).



Ciò è avvenuto anzitutto con l’espropriazione dei produttori immediati, con la dissoluzione della proprietà privata fondata sul lavoro personale. I produttori diretti vengono separati violentemente dai propri mezzi di produzione, essi diventano “liberi” perché devono essere liberi di vendere la propria forza-lavoro, liberi di farsi sfruttare. E liberi di credere alle incessanti panzane che vengono raccontate sulla loro condizione.

Ed è ciò che, da ultimo, sta avvenendo prepotentemente in Africa e in Asia laddove i produttori immediati, contadini e piccoli artigiani, vengono separati violentemente dai propri mezzi di produzione. Si crea in tal modo una massa di potenziali lavoratori “liberi” di cui solo una parte può essere impiegata come schiavi salariati in loco. Gli altri devono arrabattarsi come possono o emigrare. O morire perché non hanno abbastanza da mangiare.

Lasciano i campi e le fattorie, a occuparsi della produzione di cibo saranno le multinazionali. A queste importa soltanto le coltivazioni intensive di grano, riso, soia, il resto è spazzatura. Invece in ogni piccola fattoria, in ogni villaggio si coltiva di tutto, perché tutto è cibo. Invece di incoraggiare la gente a produrre il proprio cibo, a farsi carico della propria fame, alle multinazionali conviene di più l’affamato perché è una persona da sfruttare in ogni senso.

L’India, per esempio. Ci sarà pur un motivo se in molte zone dell’India prospera il maoismo: è uno dei paesi più grandi esportatori di cibo con il più alto numero di denutriti del mondo (*). Altro esempio: in Madagascar l’80 per cento della popolazione vive prevalentemente di riso, un tempo ne era prodotto per sfamare tutti, oggi non più ed è importato. Viene importato più riso del necessario dai grandi mercanti, in tal modo il prezzo scende e la produzione locale ne subisce la concorrenza. Circa il 45 per cento dei contadini ha fame secondo il relatore speciale dell’ONU per i diritti all’alimentazione Olivier de Schutter (**).

Nei paesi a più antica industrializzazione sta avvenendo un processo diverso ma con analogo risultato e che riguarda la disoccupazione: l’aumento della massa dei mezzi di produzione a paragone della massa della forza-lavoro che li anima, si rispecchia nella composizione del valore del capitale, ossia nell’aumento della costitutiva costante del valore capitale a spese della sua parte variabile.

Ci troviamo dunque di fronte a due aspetti diversi del problema demografico ma che hanno in sé un’unica causa: lo sviluppo capitalistico. Nei paesi raggiunti dall’espansione capitalistica assistiamo all’espulsione dei produttori diretti dalle loro condizioni di lavoro e di vita, vuoi per espropriazione diretta o perché soccombenti alla concorrenza dei prodotti importati. Nei paesi a capitalismo maturo, invece, assistiamo allo stesso fenomeno, nelle specie della disoccupazione di massa, dovuto però alla mutata composizione organica del capitale.

Là il processo è indotto dall’espropriazione “legale” delle terre, in cui le popolazioni hanno vissuto per secoli, dalla concorrenza, dallo strangolamento per debiti e dalla miseria più nera creata ad hoc. Qui, invece, l’accumulazione capitalistica produce costantemente e in proporzione della propria energia e del proprio volume una popolazione operaia relativa, cioè eccedente i bisogni medi di valorizzazione del capitale, e quindi superflua (***).

In entrambi i casi, questa sovrappopolazione diventa la leva dell’accumulazione capitalistica e addirittura una delle condizioni d’esistenza del modo di produzione capitalistico. Essa costituisce un esercito di sfruttati di riserva, disponibile e che appartiene al capitale in maniera completa per i mutevoli bisogni di valorizzazione, materiale umano sfruttabile e sempre pronto, indipendentemente dai limiti del reale aumento della popolazione. Il ciclo economico odierno, che si alterna con brevi oscillazioni di vivacità e prolungati periodi di crisi e stagnazione, ha un rapporto diretto sul maggiore o minore assorbimento della sovrappopolazione.

Nei sedicenti sistemi comunisti la colpa dei problemi sociali era attribuita allo Stato, il quale si era fatto carico di provvedere a tutto. Nei sistemi capitalistici i fenomeni della povertà, della disoccupazione, dell’emigrazione forzata, sono visti e spacciati invece come il prodotto delle più diverse cause, spesso intese come colpe individuali o di singoli gruppi, ma in realtà quei fenomeni hanno essenzialmente radice nel capitalismo e nelle sue contraddizioni. Ammetterlo significherebbe mettere in discussione il sistema, un po’ come se nel medioevo si fosse messo in dubbio la verità del cristianesimo.

Il Vangelo dice che i poveri ci saranno sempre. È una realtà antica. Oggi abbiamo incontestabilmente i mezzi per sconfiggere la miseria e la fame per sempre. Nella Terra produciamo cibo più che sufficiente per sfamare tutti. Molto più cibo con solo l’8% delle terre coltivate in più rispetto al 1960. Il capitale ha bisogno di nuove terre da mettere a cultura intensiva. Non per sfamare le famiglie che sono cacciate da quelle terre – nessuna risorsa per gli inutili – ma per aumentare i profitti.

La verità è che il capitalismo, nel suo imponente sviluppo, non sa che farsene di centinaia di milioni di persone, quando non sono masse di riserva sono “eccedenze”. In un sistema in cui gli individui si definiscono per il loro ruolo nella divisione sociale del lavoro, la disoccupazione diventa uno dei modi per privarli di un’identità, o di dar loro un’identità definita dalla mancanza. Li chiamano quelli che non studiano né lavorano. Quelli che affogano nel Mediterraneo non li chiamano nemmeno.

Finché la povertà resterà un problema altrui non ce ne importerà nulla o ce ne occuperemo molto solo a parole. Colpevoli senza colpe. E anche quando la povertà ci riguarda direttamente abbiamo un motivo in più da opporre per non occuparci di quella altrui. Tuttavia anche in tal caso non si può dire che il problema non ci tocchi direttamente, tanto più quando i migranti sbarcano. È a questo punto che scatta la paura, ben fomentata e gestita per interessi elettorali.

Il capitale agisce globalmente e invece i governi sono locali, e anche quando potrebbero fare qualcosa insieme non decidono. Sappiamo altresì che non è in nostro potere come singoli individui cambiare le cose, ma questo non è un buon motivo per non fare nulla. E oggi fare qualcosa significa se non altro prendere posizione e fare chiarezza, chiamando le cose per nome.

(*) Nel 1996 una grande conferenza di capi di Stato alla Fao s’impegnò di dimezzare il numero degli affamati nel 2020. Allora erano 850 milioni; da allora circa 120 milioni di persone sono morte senza che importasse nulla a nessuno, e tuttavia continuano a esserci circa 900 milioni di affamati. Dal 2008 si sono spesi oltre 20.000 miliardi di dollari in “pacchetti di stimoli” per salvare le banche e i grandi gruppi finanziari.

(**) Le Rapporteur spécial a pu constater, lors de sa mission, les impacts de l'incertitude politique et de la suspension de l'aide sur la sécurité alimentaire: 35 % de la population rurale a faim – un chiffre qui s'élève à 47 % parmi les petits agriculteurs et à 43 % parmi les travailleurs agricoles journaliers –, et 50,1 % sont vulnérables à l'insécurité alimentaire.


(***) In nessun altro periodo della sua storia il capitalismo ha visto impiegato al contempo un così alto numero di salariati su scala mondiale così come in nessun’altra congiuntura ha visto il formarsi di un tale esercito industriale di riserva. L’aumento degli operai viene creato, da una parte, mediante un processo semplice che ne “libera” costantemente una parte separandola violentemente dai propri mezzi di produzione; dall’altra in virtù di metodi che diminuiscono il numero degli operai occupati in rapporto alla produzione aumentata, e dunque dalla costante trasformazione di una parte della popolazione operaia in braccia disoccupate o occupate a metà. Ciò, tra l’altro, comporta un maggiore controllo sui movimenti generali del salario.

15 commenti:

  1. Questo è uno dei pochi luoghi ove le cose sono chiamate per nome. Grazie.

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  2. Vorrei un suo parere sull'articolo che Le posto, sono d'accordo sulla parte finale ma vorrei qualche chiarimento su quella iniziale.
    Quando ha tempo.....La ringrazio in anticipo.
    AG
    http://www.sinistrainrete.info/marxismo/5326-enrico-galavotti-marx-e-il-colonialismo.html

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    1. vorrei rispondere volentieri alla tua richiesta di chiarimento, ma ciò mi imporrebbe di scrivere una cosa molto lunga per smentire punto per punto ciò che scrive quel tale. una domanda invece te la pongo io se premetti: ma perché frequenti quei postacci? quella è gente da tenere alla larga, sono anzitutto degli antimarxisti e dei mestatori professionali. te ne faccio solo un esempio: dapprima l'autore del post afferma che "Nel Capitale non è affatto chiaro l'apporto determinante del colonialismo alla realizzazione dell'accumulazione originaria"; poi però scrive: "Nel cap. XXV (libro I del Capitale) dedicato al colonialismo, Marx afferma ...". Dunque un capitolo dedicato al colonialismo in cui secondo quel tizio la posizione di Marx non sarebbe chiara. Mah, meglio lasciar perdere. Sono numerosi gli scritti di marx dov'egli si occupa della faccenda e in modo tutt'altro che ambivalente. ciao

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    2. A volte ci ho trovato qualche articolo interessante, per deformazione ogni tanto ci ritorno....allora attendo un Suo post su Marx e il colonialismo.
      Saluti
      AG

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  3. Grazie Olympe!
    Purtroppo questo blog è frequentato da poce centinaia di persone.

    Saluti da, Franco.

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  4. Il più grande trionfo del capitalismo consiste nel dominio assoluto della mente umana, acquisito con un mix perfetto di coercizione, minaccia, lusinga e raffinata stimolazione dei meccanismi interni della coscienza. Plasmando atomi sociali impastati con una passività cretina e belante, dove non si sa se la paura più forte sia quella del gendarme o quella del pensiero libero da pregiudizi e ideologie. Questo blog, dove le cose vengono chiamate senza timore col loro nome, è un autentico miracolo. Anche per chi non crede ai miracoli.

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  5. Sicuramente interessante e condivisibile la riflessione generale dell'autore, ma, almeno per quanto mi riguarda, non le due considerazioni finali: la prima ossia quella che fa illusoriamente credere che 'i governi locali... potrebbero fare qualcosa insieme [ma] non decidono".

    Intanto perchè 'insieme' i governi decidono eccome, sia a livello nazionale (cioè locale, cosa che al delirio 'sovranista' oggi dilagante sfugge alla grande), sia sovranazionale - come ben vediamo - in cui essi addirittura si coordinano sulle direttive di politica economica, del lavoro, monetaria, ecc. da applicare e condividere nel 'superiore interesse borghese' alla tutela del proprio sistema planetario di dominio (oggi in ennesima crisi strutturale) al di la delle beghe fra sue particolari fazioni interne 'nazionali': la questione è piuttosto a vantaggio o nell'interesse di chi lo fanno.
    E proprio qui ci... 'viene in soccorso' Marx...

    Perché se vogliamo essere marxiani, ed esserlo fino in fondo, "radicalmente", non possiamo farci illusioni, nè coltivarne negli altri, sullo Stato (e il suo "ovvio" agire, direi) che, come ebbe a precisare il nostro vecchio, in una società divisa in classi, non può che essere, al di là della sua forma esteriore (democratica o autoritaria), lo strumento di oppressione della classe dominante su quella dominata.

    Ergo, la necessità del suo "abbattimento" in quanto tale, e la sua "sostituzione" con lo Stato transitorio proletario: entrambi premessa e condizione per la sostituzione dell'attuale dominio e della divisione con la società senza classi, per l'appunto obiettivo di noi comunisti.
    Solo l'abbattimento ormai consolidato potrà essere il momento nel quale, unicamente e finalmente, ogni Stato (in quanto entità politica, ossia di dominio) potrà 'estinguersi' in quanto resosi superfluo.

    (continua...)

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    1. Quando scrivo che i governi non decidono mi pare chiaro (ma evidentemente dovevo tener conto che non dev’essere chiaro a tutti) che intendo dire che non decidono “in quel senso”. Del resto sappiamo bene su cosa decidono, mi pare pleonastico e noioso ripeterlo in post già troppo lunghi (e fanno fede quelli precedenti)

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  6. Lascia, infine, a mio avviso a bocca asciutta la seconda 'conclusione' finale:
    "...non è in nostro potere come singoli individui cambiare le cose, ma questo non è un buon motivo per non fare nulla. E oggi fare qualcosa significa se non altro prendere posizione e fare chiarezza, chiamando le cose per nome".

    Malgrado il "se non altro", mi permetto di rispondere: piuttosto ovvio io credo - certo per chi non ami profetizzare o attendere supereroi - che ai singoli 'uno' non è concesso alcun 'potere' (aggiungo magico) di poter cambiare le cose, ma è appunto questa stessa prospettiva ad essere sbagliata e a sottendere una impostazione idealistica che di certo non appartiene a Marx nè a noi comunisti rivoluzionari.

    E allora? - verrebbe da rispondere d'intinto. Può la soluzione essere semplicemente denunciare, ovvero 'chiamare col proprio nome le cose'? No, io dico.

    Certo è un buon inizio, per carità, e uno ottimo e insostituibile strumento ma - se siamo marxiani - assolutamente insufficiente e frustrante se non abbinato ad una prassi politica che "non può che" essere collettiva - 'di classe' contro classe avrebbe detto Marx - per l'alternativa sociale ed economica all'inferno capitalistico e alla sua barbarie crescente.

    Allora per prima cosa occorre unificare su un programma rivoluzionario le forze consapevoli di questa necessità e i nuclei già esistenti, coordinarsi e organizzarsi in partito, originante dalla classe stessa (ossia parte integrante, ma cosciente, di essa e non elite esterna di saccenti e spesso autoreferenziali 'illuminati'...) e agente per la classe: ma non solo sul piano della denuncia bensì su quello ben più concreto dell'indicazione pratica e politica:
    a) della "unità" e della "lotta di classe" (non individuale o di gruppo) come unico metodo possibile di azione,
    b) degli "strumenti organizzativi" che essa deve utilizzare,
    c) degli "obiettivi" della lotta - ossia della prospettiva anticapitalista (il vero comunismo) non data e analizzata in astratto ma nel concreto della sua possibilita e necessità attuali, pena la barbarie assoluta - che la classe, come soggetto collettivo (e non mera sommatoria di 'io' imdividui) deve far propri e che solo essa può realizzare.

    Tutto qui e spero d'esser stata capace di esprimermi chiaramente.
    E scusate il pippone...

    karl

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    1. programma rivoluzionario? mi dica quanta gente segue il programma rivoluzionario? Le avanguardie? Ma se non vanno d’accordo nemmeno fra quattro gatti? Lenin, non fosse stato per la crisi seguita al conflitto mondiale e alle trame delle varie parti in causa, con ogni probabilità sarebbe rimasto un’eccentrica curiosità. Ad ogni buon conto, una volta che le avanguardie “marxiste leniniste coscienti rivoluzionarie granitiche” avranno preso il potere, chi glielo va a dire che debbono tornarsene a casa?

      La storia si sta muovendo in un’altra direzione, il superamento del capitalismo è questione di tutta un’epoca non di colpi di mano. in questa fase ci servono solo cerotti e disinfettante. Poi ognuno è libero di credere in ciò che desidera di più.
      Friedrich

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  7. Domanda facile facile.

    Nutrire il pianeta o la finanza?

    Grecia:
    http://www.lastampa.it/2015/06/23/economia/il-comune-chiude-le-mense-atene-in-coda-per-un-pasto-DURWGuCIGAGDZ5YlGmIPWP/premium.html

    g

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  8. Non so se a torto, ma ho l'impressione - dai toni della sua precedente risposta - di averla come infastidita, non so, in tal caso non posso che dirle che non era mia intenzione, che mi spiace e mi scuso.

    Detto questo, beh direi che se nessuno glielo propone (un programma rivoluzionario), o se coloro che lo fanno - e le assicuro che esistono - non hanno ancora le forze sufficienti a farsi sentire, mi sembra alquanto difficile che qualcuno possa seguirlo, non crede?

    A maggior ragione a 'ceneri ancora fumanti' dello stalinismo, la più colossale menzogna sul... 'socialismo realizzato' data a bere per oltre 70 anni a milioni di proletari perché poi si bevessero che il loro 'sogno comunista' era prima una barbarie, poi un fallimento, così che rinunciassero persino ad immaginare che un altro mondo sia possibile oltre quello capitalistico. Le delusioni delle masse bruciano, e parecchio: dovremmo tenerlo ben a mente, io credo.

    Quanto alle avanguardie che non 'van d'accordo' tra loro, mi spiace dover ricordare che intanto non è affatto una novità e che il Lenin che lei cita, nell'aprile '17, era sulle posizioni che ben sappiamo (tutto il potere ai soviet) solo come un cane, eppure poi...
    Secondariamente tutto sta, io credo, nel riuscire a distinguere chi avanguardia di classe è davvero, chi invece blatera di esserlo e non lo è perchè non ha alcun programma rivoluzionario. ' Impresa' non facile, lo ammetto, ma - le assicuro - possibile.

    Chiaro poi (ovvio persino) che le condizioni sociali e storiche erano ben diverse in quel contesto e fase (fame, guerra, malcontento generalizzati...) ma lei davvero crede che senza quel partito quella rivoluzione sarebbe andata a segno, per poi essere sconfitta per essere rimasta totalmente isolata?

    E lei davvero crede che quelle condizioni non torneranno ad essere, mutatis mutandi, la barbarica realtà sulla maggior parte di questo pianeta?
    Beh se non lo crede, allora auguri per l'ottimismo e per la sottovalutazione dell'attuale crisi che già da decenni procede e infiamma il pianeta con scenari di guerre brutali e sanguinosissime e scontri interimperialisici sempre più agguerriti che non è difficile deflagrino presto in un conflitto generalizzato, come la storia ci ha già insegnato due volte. Ma tant'è.

    Pessimismo e catastrofismo cosmico?! Niente affatto. È la realtà ad essere catastrofica, non chi la descrive per ciò che è.

    (continua...)

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  9. Da parecchie parti è già così. Ma ciò, come dico poco più sotto, non è di per se sufficiente a parlare di rivoluzione sociale, semmai solo di ribellioni, proteste, sommosse, anche generose per carità ma incapaci di giungere ad un'alternativa semplicemente perchè non si pongono un'alternativa, ma giocano in difesa dagli attacchi di qualcuno ben più forte, al momento, di loro che sono divisi e che della loro forza non sono ancora consapevoli per nulla.

    Compreso dunque chi avanguardia di classe è davvero e chi no, ribadisco, occorre decidere se starsene ad osservare o invece militare. Personalmente opto per l'XI tesi marxiana su Feuerbach... perchè penso (e lo dico senza nessuna arroganza, le asicuro) che non ci si possa fermare alla denuncia, come scrivevo prima e come par altro faccio anch'io ogni giorno.
    E non si può certo credere che il peggioramento e la barbarie sociale capitalistica facciano da soli nascere spontaneamente coscienza di classe (anzi, la triste storia dimostra il contrario... anni venti docet) o possano avviare un fase rivoluzionaria organizzata che sia degna di questo nome. O che possano essere, in sè ... 'movimento in altra direzione'. E quale, di grazia? Ancora una volta mi pare non esplicito il significato... visto che parlar di 'tutta un'epoca" è piuttosto vago.

    Un'ultima precisazione.
    Non sono affatto - come lei dice, ma di certo non io e non certo Marx - "le avanguardie “marxiste leniniste coscienti rivoluzionarie granitiche” a dover prendere il potere e di conseguenza a "doversene tornare a casa", ma i lavoratori organizzati nei loro organismi politici strutturati e coordinati sul territorio, sotto la direzione (nota bene: non sostituzione ad essi) della loro avanguardia politica (che è partito in quanto, lo ripeto, una sua "parte", quella più e meglio cosciente del fine da raggiungere).

    Perchè una rivoluzione non si improvvisa: si organizza. Una rivoluzione è una guerra, e necessita perciò di un esercito preparato e di una strategia, solo che stavolta le armi dovranno essere tutte puntate in una direzione: contro i padroni, non contro i fratelli di classe con un'altra divisa! Ma qualcuno dovrà pur dare l'ordine di... non crede?

    La saluto e ringrazio per l'ospitalità ;-)

    Karl

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  10. Se non cambiamo sistema, caro g,, continueremo a nutrire il capitale, finanziario o imprenditoriale che sia. Che Tsipras e chi con lui voglia far credere possibile il contrario, fa parte della ormai secolare quanto fallimentare (e per me francamente disgustosa) "ricetta riformista"

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