sabato 4 aprile 2015

Aumento della massa del profitto e diminuzione del suo saggio



Il capitalista ha necessità di diminuire la parte variabile del capitale (salari) in rapporto al capitale costante in modo da ottenere un più alto saggio di sfruttamento del lavoro (plusvalore). Aumentando la parte del capitale costante e diminuendo quella variabile il rapporto tra capitale complessivo e saggio del profitto tende a cadere. Il saggio del profitto aumenta in senso assoluto (*), e però tende a diminuire in senso progressivo in rapporto al capitale investito.

In altri termini, il capitalista s’accorge che man mano che aumentano i suoi investimenti, il suo profitto aumenta ma non in rapporto diretto con l’investimento stesso, e anzi il saggio del profitto tende a calare. Qui di seguito un esempio che chiunque è in grado di comprendere senza prendersi la briga di leggere la terza sezione del terzo Libro de Il Capitale, un'opera notoriamente ostica e poco pasquale:

Poniamo un capitale variabile (v) di 100, il quale rappresenta un determinato numero di operai messi in movimento; monetariamente supponiamo che 24.000 € rappresentino il salario di una settimana per questi operai.

Se essi eseguono un lavoro necessario uguale al pluslavoro, cioè se essi svolgono ogni giorno per se stessi, per riprodurre il proprio salario, un lavoro la cui durata sia identica a quella del lavoro eseguito per il capitalista, ossia per la produzione del plusvalore (pv), il valore totale del loro prodotto sarà di 48.000 € e il plusvalore generato da essi sarà quindi di 24.000 €.

Il saggio del plusvalore (pv’) sarebbe:

pv’ = pv : v = 100%

Questo saggio del plusvalore si esprimerebbe tuttavia in saggi del profitto assai diversi a seconda della differente grandezza del capitale costante  (c) e quindi del capitale complessivo C (capitale costante + capitale variabile), dato che il saggio di profitto (p’) è:

p’ = pv : C = pv : (c + v)

Se il saggio del plusvalore è del 100%, si avrà:

se c =    50, v = 100, quindi p’ = 100/150 =  66.6  %
se c =  100, v = 100, quindi p’ = 100/200 =  50     %
se c =  200, v = 100, quindi p’ = 100/300 =  33.3  %
se c =  300, v = 100, quindi p’ = 100/400 =  25     %
se c =  400, v = 100, quindi p’ = 100/500 =  20     %

Come si vede, il valore prodotto totale, cioè la sua entità materiale, aumenta, ma il saggio del profitto tende a diminuire progressivamente in rapporto al capitale complessivo (C), qualora il grado di sfruttamento del lavoro resti costante oppure, come vedremo subito in un secondo esempio, aumenti.

Per far fronte alla diminuzione del saggio del profitto, il capitalista adotta la strategia di sempre: aumentare lo sfruttamento del lavoro. Tende cioè a diminuire il tempo di lavoro necessario alla riproduzione della forza lavoro (salario) di modo da aumentare la quota di pluslavoro, quindi di plusvalore estorto; ma ciò non fa che aggravare il rapporto fra plusvalore prodotto dalla forza-lavoro ed il capitale complessivo messo in opera. E siamo punto e daccapo.

Poniamo gli stessi rapporti dell’esempio precedente, aumentando però da 100 a 150 il saggio di sfruttamento, cioè del plusvalore (p'):

se c =    50, v = 100, quindi p’ = 150/150 =  100    %
se c =  100, v = 100, quindi p’ = 150/200 =    75    %
se c =  200, v = 100, quindi p’ = 150/300 =    50    %
se c =  300, v = 100, quindi p’ = 150/400 =    37.5 %
se c =  400, v = 100, quindi p’ = 150/500 =    30    %

Come si vede, dopo un primo momento in cui il saggio del profitto aumenta dal 66% (esempio precedente) al 100%, ma mano che si accresce il capitale costante e dunque il capitale complessivo, il rapporto con il saggio del profitto comincia a decrescere proporzionalmente. Questo fenomeno, nella totalità sociale, rileva che la tendenza alla caduta del saggio del profitto è generale.

Detto in termini più spicci, l’aumentata produttività sociale del lavoro comporta che la stessa quantità di lavoro, per es. otto ore di un operaio, metta in moto una quantità di mezzi di produzione molto più elevata rispetto al passato. Ciò significa che se diminuisce la massa del lavoro retribuito contenuto nelle merci, allo stesso tempo diminuisce anche la massa del lavoro non retribuito e il valore che lo rappresenta in rapporto alla massa di valore (capitale) investito nella produzione.

A questo punto il capitalista trova altre forme d’investimento in cui la remunerazione del capitale ottenga performance migliori. Ecco che dalla sfera della produzione gli investimenti si trasferiscono alla sfera della circolazione (nella quale, come si sa, non viene prodotto valore, ma si spartisce il profitto sotto forma di redditi, in tal caso redditi finanziari), ossia in quella della speculazione finanziaria. La sempre più massiccia concentrazione di capitali in cerca di remunerazione provoca necessariamente delle bolle speculative. Esse sono dunque l’effetto e non la causa propria delle crisi, per quanto tali esplosioni sui mercati finanziari costituiscono un campanello d’allarme sulla situazione più generale e si riflettano nell’economia reale con fallimenti e depressione.

Pertanto, una maggiore tassazione del capitale speculativo, se da un lato aiuterebbe gli Stati nell’affannoso tentativo di riequilibrare la bilancia tra entrate e spese, dall’altro non può far nulla sul fronte della cosiddetta “crescita”, laddove il capitale tenderà sempre più a fuggire verso quei paesi che possono garantire livelli di maggior sfruttamento della forza lavoro; né simili legislazioni impediranno che il capitale industriale lasci la sfera produttiva per cercare maggiore redditività nella speculazione, posto che è la stessa natura della produzione capitalistica, come necessità logica del suo sviluppo, a portare il saggio generale medio del plusvalore ad esprimersi in un calo del saggio generale del profitto.


(*) Scrive quel bel tomo di Anselm Jappe: «Lo sviluppo della tecnologia riduce i profitti nella loro totalità» (Credito a morte, in Contro il denaro, Mimesis, Milano-Udine 2013). Jappe si ostina a scrivere libri che riguardano Marx e la critica marxiana dell’economia politica, e però ignora in modo assoluto che “le stesse leggi producono per il capitale sociale un aumento della massa assoluta del profitto e una diminuzione del saggio del profitto”. Lo sviluppo tecnologico aumenta la forza produttiva del lavoro, quindi la massa del plusvalore e quindi la massa assoluta del profitto, malgrado diminuisca in via relativa il capitale variabile nei confronti di quello costante. Si chiede Marx: “In quale forma deve ora esprimersi questa legge a doppio taglio della diminuzione del saggio del profitto e del corrispondente aumento della massa assoluta del profitto, dato che entrambi i fenomeni hanno le stesse cause?”

6 commenti:

  1. Grazie.
    E, comunque sia, buona Pasqua.

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  2. Mi unisco al grazie.
    Un piccolo rilievo: le uova di cioccolato buono artigianale sono sempre più care :-(

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    1. i lavori di mano fatti ad arte hanno tutt'altro prezzo, come ben sai

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  3. Per ottenere una sempre maggiore produttività nel lavoro, vi è la necessità nell’economia capitalistica di introdurre nuovi e più efficienti metodi e strumenti di lavoro. Proprio l’aumento di produttività genera il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione. Essa porta anche alla distruzione dei beni e alla disoccupazione. Genera altresì la caduta tendenziale del saggio di profitto. Con tale termine Marx intende quella legge per cui aumentando smisuratamente il capitale costante (macchine e materie prime) diminuisce il saggio di profitto cioè il guadagno del capitalista. La legge equivale ad un andamento decrescente ed essa è il "tallone d’Achille" del sistema capitalistico; infatti essa, mettendo in difficoltà la borghesia, finisce per produrre la scissione della società in sole due classi antagonistiche: un giorno vi saranno solo più pochi capitalisti da una parte e molti salariati sfruttati dall’altra. Ma ciò porterà, come accennato più sopra, all’inevitabile rovesciamento del capitalismo e alla rivoluzione proletaria con la vittoria finale del comunismo.
    Ciao Olympe, buona pasqua.

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  4. Ciao,
    senza nulla togliere all'ottima spiegazione, le percentuali del caso con 150 come saggio di sfruttamento sono sballate.

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    1. molte grazie, correggo. poi mi metto per una mezz'oretta dietro la lavagna. non di più (devo cucinare il risotto asparagi e pere!). ciao

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