mercoledì 15 aprile 2015

A schiavitù crescente


Caspita se le parole sono importanti. Servono a dissimulare la realtà. Perciò i padroni conoscono molte più parole degli schiavi, ma soprattutto le combinazioni creative del linguaggio. Chi domina la comunicazione sociale comanda anche su tutto il resto. Che significa, per esempio, un’espressione come: a tutele crescenti? Nel linguaggio della vita reale vuol dire che i lavoratori non hanno gli stessi diritti e le stesse tutele. Che ognuno i diritti e le tutele se li deve sudare, laborioso e obbediente, sperando nella buona stella e nell’estro del padrone, non meno che nella “contingenza”, cioè nelle variabili della “crisi”.

E a proposito di tutele, tenendo presente che il padrone, sia esso presente in carne ed ossa o un trust con sede legale chissà dove, può licenziare in qualunque momento, privandoti dei mezzi necessari per vivere. Con una semplice lettera raccomandata, prestampata. Se hai una certa età, la speranza di raccattare un nuovo lavoro a schiavitù crescente diventa chimerica, ed ecco allora intervenire il presidente dell’Inps, il quale propone un “sussidio” per gli “over 55”. E dunque il lavoro non è più (ma lo è mai stato?) un diritto, e per far fronte all’“aumento della povertà” (e per alleggerire le statistiche della disoccupazione giovanile) si provvederà con l’elemosina. Del resto non era la stessa cosa per le plebi dell’antica Roma? Si torna indietro, di qualche anno.

In altri termini, quello che gli specialisti dell’ideologia vogliono effettivamente dissimulare è un fatto assai semplice, e cioè che i membri proletarizzati della formazione sociale capitalistica sono costretti a procurarsi i mezzi per la propria sopravvivenza entro le sfere di attività disegnate dal movimento del capitale. Non ci si rende conto abbastanza, nel frastuono mediatico cui siamo sottoposti, del fatto che nonostante gli enormi sviluppi tecnici e scientifici, il lavoro resta un puro e semplice mezzo per l’esistenza del lavoratore, anzi un mezzo coatto che coarta la sua attività ai fini della valorizzazione del capitale. E d’altra parte la stessa divisione sociale del lavoro non risponde ad esigenze funzionali o tecniche, ma anzitutto a quelle costitutive di tale valorizzazione. E con ciò il rapporto del lavoratore con il proprio lavoro estraniato perde ogni carattere di libertà, essendo il lavoratore scelto dal lavoro nel quadro delle finalità poste dal movimento del plusvalore.


Ma non vorrei insistere troppo su concetti che all’epoca nostra ci viene detto siano quantomeno “astratti”.

5 commenti:

  1. Cara Olympe,
    sono convinto che di questo passo ritornera': "les temps des cerises".

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  2. Stamane ho sentito un "imprenditore" dire: con la mia azienda mantengo 50 famiglie.

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    1. 50 lavoratori mantengono la famiglia dell'imprenditore se questi non è parte attiva nella produzione. altrimenti col suo lavoro mantiene la sua famiglia ed espropria una parte del valore prodotto dai 50 lavoratori. si tratta di una verità banale, ma pur sempre della verità.

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    2. Appunto, per dire come viene mistificata una semplice verità.

      Michele

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  3. O.T: http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/people/persone/2015/04/15/gwyneth-paltrow-vive-una-settimana-da-povera-e-twitter-la-massacra_3c4e86c7-30dd-4ad5-9810-91d363477d18.html

    Mi chiedo a cosa servono ste trovate.

    Saluti

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