giovedì 30 ottobre 2014

Smettiamola di risparmiare


A me piace leggere gli articoli che ogni tanto i padroni scrivono sui loro giornali, o sui giornali padronali della porta accanto. Carlo De Benedetti ne ha scritto uno per il quotidiano semiclandestino Il Foglio, dove dice le solite cose banali e spara numeri al lotto (l’Italia avrebbe “il 20 per cento del debito mondiale”).

Anzitutto scopre che il mondo non è più quello del 1992; se si fosse spinto appena un po’ più in là avrebbe scoperto che nemmeno il mondo del 1992 era più quello di appena tre o quattro anni prima. Poi c’informa, caso mai ci fossimo distratti, che l’Europa è in stagnazione e deflazione, rilevando che «i paesi cosiddetti periferici sono in una vera e propria trappola, stretti tra la moneta unica e la loro scarsa competitività: per guadagnare forza competitiva rispetto ai Paesi “core”, infatti, non potendo svalutare, devono tenere salari e prezzi a livelli molto bassi».



Non c’era bisogno di sentirselo ripetere. Quindi aggiunge: «E’ da sette anni così che non riusciamo a uscire da una crisi economica che sta sfinendo il nostro tessuto sociale. Non muoviamo un passo. E’ una crisi che abbiamo importato proprio dagli Stati Uniti, ma loro hanno reagito subito e sono tornati a crescere, noi europei ci siamo invece avvitati in un dogmatismo di regole superate e nella storica paura tedesca dell’inflazione. Il Trattato di Maastricht risale ormai alla preistoria».

Gli Stati Uniti hanno reagito stampando moneta, cosa che s’è fatta, in parte, anche in Europa ma per finanziare le banche (come del resto negli Usa). Non mi pare che gli Usa siano usciti dalla crisi, ma anche questa è opinione. Ma come se ne esce da questa spirale deflazione-recessione? De Benedetti ovviamente ha la sua ricetta e la comunica a qualche migliaio di lettori del Foglio che non aspettavano altro: solo “modificano in modo netto la consumer behavior e le consumer expectations. Senza la fiducia in una svolta, e nella convinzione che i prezzi caleranno di mese in mese, gli italiani continueranno a rinviare le loro scelte di acquisto”.

Ogni analisi e ogni ricetta è sempre e comunque rivolta alla circolazione, mai alla produzione e alle sue contraddizioni. Per uscire dalla deflazione-recessione bisogna aumentare i consumi, agire sulla consumer behavior, ossia sulla mentalità del consumatore, e sulla consumer expectations, dunque sempre sul lato psicologico del consumatore, il quale, sia ben chiaro, non spende e spande perché non ha fiducia nella svolta e nella convinzione che i prezzi non caleranno di mese in mese.

Perciò, cari lettori del blog, se voi al 30 di ottobre mostrare una certa ritrosia all'acquisto, ciò non accade perché state contando mentalmente o con l’ausilio di un pallottoliere quanti giorni mancano allo stipendio, ma perché non siete abbastanza motivati, ostinatamente convinti che per il momento sia meglio tenere i vostri soldini sotto il materasso.


È con questo scialo d’inglesismi che i padroni spiegano il perché e il percome della crisi, quando bastava dire, facendo un discorso un po’ più onesto e realistico, che l'Italia ha perso parte della sua struttura produttiva per il fatto che il capitale ha come orizzonte geoeconomico il mondo, e come scopo il profitto … eccetera.

7 commenti:

  1. La deriva del "pensiero" economico borghese.
    Una volta, almeno, parlavano di "propensione marginale al consumo", sforzandosi almeno di mettere in relazione quest'ultimo con il reddito.
    Ora manco quello, tutta vuota ed insulsa psicologia.
    Un po' come gli "economisti" che parlano di "finanza più etica", "capitalismo dal volto umano", e via discorrendo.

    Nota a margine: ce la stanno mettendo tutta per venderci la favola degli USA in ripresa. Anche Rampini di Repubblica, ieri ad una trasmissione di Rai3, cantava la stessa solfa.
    E non potevo fare a meno di pensare a quei 48 milioni di individui di cui parlava lei qualche post fa.
    Alla prossima bolla.

    Saluti

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    1. questi qui hanno un'altra propensione e non è marginale
      ciao

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  2. sei di una chiarezza disarmante . Grazie Olympe

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  3. Ultimamente sento fare l'esempio della Svizzera come soluzione ai problemi occidentali, federalismo, democrazia diretta, neutralità...e libertà di licenziamento. Parrebbe per la vulgata che li hanno risolti tutti (se stanno così bene chissà perché poi fanno referendum tipo quello sui lavoratori stranieri come i transfrontalieri italiani).
    Che ne pensate?
    Saluti,
    Carlo.

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    1. importiamo senza indugi il modello, e anche qualche amministratore col cucù incorporato

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  4. Un intelligente commento scovato nel web: Questo il verbo: "stimoliamo i consumi per favorire la ripresa economica". Ma quanto c'è di vero in tutto questo? Lo stato "trasferisce" (lasciatemela passare) risorse nelle tasche dei cittadini e questi che cosa consumano? Qualcuno ha provato a disaggregare la domanda? Se i soldi finiscono per la maggior parte nell'acquisto di beni prodotti in Cina, in India o in Bangladesh, beni che dovranno essere importati, quali effetti potranno essere ottenuti in termini di occupazione e lavoro nel nostro paese? Forse ne potranno trarre qualche beneficio gli intermediari, coloro che vivono di capitale commerciale, capitale che non produce un bel niente. Improduttivo. E quanta parte di questi danari finiranno nel pagamento di debiti precedentemente accesi? Non è che alla fine la bilancia commerciale peggiora invece di migliorare? Quanti accantonamenti di merci e mezzi di produzione invenduti occorrerà smaltire prima che si possa immaginare un qualche effetto visibile in italia?
    Diciamo pure che questi 80 denari serviranno a poco, giusto a prendere qualche voto in più da qui al 2018 sempre che non si finisca in bancarotta nel frattempo.

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    1. la riflessione parte da un presupposto non peregrino, ed non è un caso però che nel post accenni alla struttura produttiva. infatti poi il post sarebbe proseguito su questo tema se non l'avessi tagliato per i soliti motivi che ... leggere stanca. grazie del commento

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