domenica 26 ottobre 2014

Perché alla sinistra riformista puzza l'alito


Credo sia necessario chiedersi per quali motivi degli accademici molto noti anche al grande pubblico per la loro attività pubblicistica e la loro esposizione mediatica, considerati personaggi di impegno politico di sinistra, si prendano tanta cura in ogni occasione di riseppellire Marx e di pisciargli sulla tomba. Dichiarare per esempio che il materialismo storico, dunque anzitutto la concezione materialistica della storia marxiana, “non ha inventato nulla a riguardo” di determinazioni quali la “proprietà privata, lo Stato e l’origine della famiglia”, essendo queste “scoperte” divenute già presso gli autori classici greco-latini una “specie di storia” in cui viene in luce l’origine del conflitto sociale, senza aggiungere null’altra precisazione che possa far capire il senso relativo della dichiarazione, può avere un impatto non secondario non solo presso il grande pubblico, ma anche presso un pubblico per così dire più raffinato.



Marx non ha preteso certo di aver “inventato” o “scoperto” il conflitto sociale, ossia la lotta tra le classi sociali, che nasce con lo sviluppo dell’economia umana, dallo stabilirsi di condizioni in cui prevale la proprietà privata e lo scambio allargato, e cioè non ha mai rivendicato di aver “scoperto” la lotta tra schiavi e padroni, sudditi e signori, conquistati e conquistatori, sfruttati e sfruttatori, e nemmeno la lotta tra le diverse fazioni di una stessa classe sociale. Marx ha indagato il conflitto di classe quale àmbito in cui si sviluppa non solo la lotta politica, come scrivono i più dozzinali manuali, ma l’intero processo storico-sociale in ogni tempo, il passaggio da una data formazione economico-sociale ad un’altra.

E dunque uno degli aspetti rilevanti e dirimenti del materialismo storico-dialettico rispetto ad ogni altra precedente concezione naturalistica della umana società è dato proprio dalla formulazione di concetti assolutamente nuovi ed innovativi per la comprensione del movimento storico.

Mi riferisco non solo al citato concetto di formazione economico sociale che per ovvie ragioni non poteva che essere ignorato presso gli antichi materialisti, ma anche a concetti imprescindibili per inquadrare e spiegare le dinamiche del conflitto sociale. Anzitutto i concetti di forze produttive e rapporti di produzione, i quali nel loro rispettivo movimento, non privo di contraddizioni, svolgono un ruolo essenziale anche se non meccanicamente determinante.

Nel contesto di ciascun modo di produzione, l’incessante processo espansivo delle forze produttive trova, nella forma particolare relativamente stabile dei rapporti di produzione, allo stesso tempo un elemento propulsore ed una catena imbrigliante. Sennonché:

A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale.

Si comprende già da questo piccolo accenno (Marx ovviamente non s'è limitato a questo propedeutico enunciato) la portata dirompente del materialismo storico-dialettico nella concezione dei rapporti sociali e in quella relativa alle cause del cambiamento tra una formazione economico sociale ed un’altra. Si comprende come la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione assuma un rilievo centrale e, avendo un carattere oggettivo (che possiamo cogliere specie ai nostri giorni e di cui tento di dare, per quanto è nelle mie limitate possibilità dialettiche, ragione in questo blog), essa sia alla base della crisi generale del modo di produzione capitalistico, così come di ogni altra formazione economico sociale pregressa.

Dicendo che tale contraddizione – non l’unica peraltro nella dinamica generale della crisi – ha un “carattere oggettivo” non s’intende affatto negare il ruolo decisivo che vi svolge la soggettività rivoluzionaria. S’intende invece dire che la soggettività (compresa quella d'ispirazione riformistica e di ogni altro simile velleitarismo) si produce e si manifesta proprio sulla base di questa contraddizione oggettiva, e non può prescindere da essa senza raccogliere vento e tempesta.

Penso si comprenda, da questo necessariamente breve accenno, il motivo per cui da parte dell’intellettualità borghese, dell’accademia non meno che dei pedissequi divulgatori dei media e da parte della pletora di ripetitori idioti, in particolare da parte del riformismo “di sinistra”, non basti aver seppellito Marx, ma gli debba pisciare sopra. Essi questo sistema lo vogliono “migliorare”, rendere compatibile, ed è perciò che quando parlano di Marx gli puzza l’alito.


3 commenti:

  1. Bel post Olympe.
    Grazie e ciao, Franco.

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  2. Mi chiedo, e ti chiedo, per avere da te una rapida indicazione anche se certamente la questione è complessa: non sarebbe meglio evitare il termine contraddizione, e dire invece contrasto, opposizione, conflitto o comunque usare una parola che non richiami così direttamente il soggetto conoscente, la sua logica, come fa invece la parola contraddizione?

    La contraddizione può essere solo nel/del pensiero del soggetto e non nella/della realtà.
    Certo, c'è meno supponenza di identità tra pensiero e realtà nell'uso del termine contraddizione: se io che vedo e penso la realtà arrivo ad aspetti della realtà percepita che sono in contraddizione tra di loro nel mio pensiero, per la mia logica, e attribuisco la contraddizione logica alla realtà, che sarebbe fatta di opposti che si rispecchiano nella contraddizione, e parlo dunque di opposti, di conflitto reale, di contrasto materiale, in questo identificherei il reale con il mentale - la dialettica della mente diventa così dialettica della realtà - se invece mantengo il termine contraddizione mantengo anche il segno del mio pensiero, tengo cioè sempre presente l'impossibilità di identificazione tra percezione-immagine-pensiero e realtà, e la dialettica resta un prodotto della mente. Sarebbe cioè come la scelta della dizione legge scientifica piuttosto che legge della natura: la legge sta nella scienza, nella mente del soggetto conoscente, non nella natura, nella realtà. E' per questo che Marx mantenne la parola contraddizione - e tu con lui?

    Se dico che ieri la Leopolda e la manifestazione sindacale erano una contraddizione, tenendo presente che la contraddizione è un mio avvenimento mentale, una mia lettura della realtà, lascio aperta la possibilità che non vi fosse invece un reale contrasto, una reale contrapposizione - se dico che c'era contrasto, contrapposizione, bivio, esprimo, nelle parole, sicurezza di identità tra pensiero e realtà. E non è detto che due realtà contrastanti funzionino da tesi e antitesi.

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  3. Se la soggettività rivoluzionaria emergerà (e si diffonderà) allorquando la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione raggiungerà il suo apice a livello globale, allora direi che ci siamo quasi.

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