domenica 31 agosto 2014

Come ogni santo giorno dimostra



Il mondo è sconvolto, non riesce a trovare un asse intorno al quale si possa organizzare una convivenza accettabile. L'Europa è sconvolta per le stesse ragioni; in un mondo multipolare ogni area continentale deve avere i propri punti di riferimento che contribuiscono all'equilibrio generale, ma in Europa quei punti di riferimento mancano, ogni nazione fa da sé e per sé e la multipolarità diventa a questo punto ragione di conflitto e di guerre.

Così appare oggi il mondo nell’editoriale di Eugenio Scalfari. A queste parole che colgono la superficie della realtà, seguono poi delle considerazioni di storia patria d’impronta evenemenziale, come quella secondo cui Mussolini governava da solo senza “ corte e oligarchia”. Oppure, semplificando, dicendo che “gli italiani, nella loro ampia maggioranza, si rifugiano nell'indifferenza, gli piace avere un sovrano purché gli lasci piena libertà privata”. Chiedo: gli italiani o le classi dirigenti italiane, perché tale distinzione non è inessenziale, posto per esempio che il fascismo non nacque per caso e che poi per decenni l’Italia ebbe ad annoverare il più forte partito comunista dell’Occidente? Quello di Scalfari è un modo suggestivo ma idealistico e soggettivo di raccontare la storia, poiché non tiene conto degli effettivi rapporti sociali di cui quelli politici sono in ultima analisi espressione diretta.

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La millenaria storia europea ci racconta, da ultimo e in particolare nel tragico decorso della prima metà del Novecento, come qualsiasi piano che contempli un’organizzazione politica europea basato sulla conquista e l’annessione, e anche solo sull’egemonia di un solo Stato o di più Stati associati, sia destinato prima o poi al fallimento.

Anche nell’esperienza presente, mi pare evidente che l’unione politica ed economica europea di fatto non poggi sul riconoscimento paritario delle diverse individualità nazionali, condizione essenziale per il duraturo successo di un’organizzazione di tal genere. E ciò laddove appena si consideri il ruolo egemone anzitutto della Germania come potenza economica europea più forte e, dopo la sua riunificazione, come entità nazionale demograficamente più numerosa, meglio organizzata, politicamente unitaria negli scopi, con uno spirito coeso.

Le difficoltà dell’Europea, percepite spesso come anzitutto d’ordine monetario, trovano nei modi in cui la Germania usa a proprio vantaggio la moneta comune e in cui impone politiche economiche restrittive un non ingiustificato risentimento da parte delle popolazioni di altri paesi dell’unione. Quando mai, solo per citare un esempio, un ministro delle finanze di un qualsiasi altro paese si permetterebbe tanto platealmente di smentire il presidente della Banca centrale europea sostenendo che ciò che questi afferma non va interpretato secondo le chiare parole espresse dall’interessato?

Ecco ribadito il motivo per cui molti sostengono che l’Unione europea così com’è organizzata e la sua moneta così com’è politicamente gestita, serve anzitutto agli interessi della Germania nel suo ruolo di potenza nella contesa globale. Di per sé la Germania è piccola sul piano della statistica mondiale, ma come potenza economica continentale è troppo forte per non assumere un ruolo egemone nel continente e dunque oggi anche in materia di politica monetaria. Ciò coglie ora un’indubbia verità che affonda le sue radici storiche almeno fin dall’epoca di Bismarck.

E tuttavia se la leadership tedesca è colta nei fatti e nel comune sentire come l’origine delle difficoltà della UE e dell’euro, a me pare che la contraddizione fondamentale che caratterizza l’organizzazione unitaria europea vada cercata ben oltre la superficie di questi temi, pur importanti, cioè in una contraddizione fondamentale che non può essere, pur nelle eventuali e migliori intenzioni, bypassata con espedienti di ordine politico e congiunturale, con degli aggiustamenti dei meccanismi politici e di revisione dei trattati.

E che si tratti di una contraddizione essenziale è presto detto laddove si consideri che ogni valutazione di questo tipo, sullo stato dei rapporti d’ordine economico e politico tra i diversi paesi aderenti all’unione, va posta in rapporto al modo di produzione capitalistico, alle sue leggi di movimento, e valutata anche in relazione alla sua fase monopolistica avanzata.  Per farla breve, chiedere alla Germania, e dunque anzitutto al capitale tedesco, dei cui interessi la politica tedesca è ovvia espressione, di recitare una parte in commedia che non gli è propria, è puro velleitarismo. Si è visto bene, per esempio, alcuni anni or sono quando s’è trattato, nei modi e nei tempi decisi da Berlino (e Parigi), di rientrare dalle esposizioni bancarie tedesche nei paesi del sud Europa.


E dunque per quanto siano auspicabili gli accordi politici tra gli Stati nazionali europei e i piani di organizzazione economica unitaria, con tutte le misure d’aiuto e di compensazione possibili tra gli uni e gli altri, resta il fatto che nell’ambito di un sistema economico capitalistico, della lotta sui mercati per fare un solo esempio, è illogico pensare di poter superare gli antagonismi economici e conseguentemente le diverse individualità nazionali sul piano politico. In altri termini, non solo è illogico, ma è altresì non dialettico, laddove si consideri che gli accordi pacifici sono indissolubilmente legati, per quanto si vogliano mettere in ombra, con i conflitti puramente capitalistici, dappertutto determinandosi la tendenza al dominio e non già alla libertà, come ogni santo giorno dimostra.

P.S. : ringrazio Luca per la foto la quale ci ricorda come ci si è ridotti.

3 commenti:

  1. Grazie cara. Aggiungo soltanto che tale bacheca del fu PCI è ubicata in una via di un suggestivo borgo medievale del Centro, là dove pulsava il cuore rosso d'Italia.

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  2. La distinzione tra popolo e classi dirigenti è essenziale non solo per l'Italia ma per ogni Paese del mondo dove un popolo non è identificato con i propri dirigenti e viceversa. Riferendomi ad un recente post, resta da definire la differenza fra massa e popolo.

    Quello di Eugenio Scalfari non è un modo suggestivo o idealistico di raccontare la Storia ma una caratteristica di molti anziani di rielaborare in profondità oltre il fisiologico,non intenzionalmente, il proprio archivio neuronale evenemenziale (fenomeno non sempre esclusivo della terza e quarta età). Situazione, da ciò che qui viene riportato episodicamente, che ritengo ormai difficilmente superabile dal vetusto giornalista.
    [...] 'Mussolini governava da solo senza corte e oligarchia' [...] Ma Scalfari da quando il Potere di qualsiasi natura ha fatto a meno di corte e oligarchia?
    [...] 'Il mondo è sconvolto, non riesce a trovare un asse intorno al quale si possa organizzare una convivenza accettabile' [...] Ma Scalfari lei ha attraversato due guerre mondiali e aspetta ancora il sole dell'avvenire?

    Adesso che De Benedetti ha piazzato Massimo Giannini a Ballarò vi beccate due stoccafissi, uno per iscritto con barba ieratica, l'altro orale via TV con pizzetto moschettiero.

    Che 'agli Italiani piaccia avere un sovrano purché gli lasci piena libertà' oltre ad essere il leitmotiv patrimonio dell'ironia letteraria nazionale di tutti i tempi è la nostra apoteosi dell'istituto della delega.

    Nel cuore rosso d'Italia pulsa un sangue ormai solo venoso, ed è ,paradossalmente, questo cuore la dimostrazione pratica dell'impossibilità di una società comunista in questo Paese.
    Al momento, come per l'Europa, la 'sovrastuttura' ha una grande autonomia.




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