mercoledì 2 luglio 2014

O comunisti, oppure solo dei ruffiani


Oggi vorrei offrire un tipico esempio di distorsione ideologica della realtà da parte d’un uomo non comune, di origini aristocratiche, che aveva compiuti studi regolari e poi ricoperto rilevanti uffici pubblici. Una persona che aveva dunque il vantaggio di muoversi in un ambiente intellettualmente superiore, ai vertici della società borghese e delle sue istituzioni, così come di servirsi delle più genuine fonti d’informazione e aggiornate statistiche, in grado insomma di possedere, per propria volizione e per rango, una visione razionale e asettica della realtà sociale. Scriveva J.M. Keynes a riguardo dell’Europa che precedette il primo conflitto mondiale:

«L’organizzazione sociale ed economica dell’Europa era tale da garantire la massima accumulazione di capitale. Mentre avveniva un certo continuo miglioramento nelle condizioni quotidiane di vita della massa della popolazione, la società era strutturata in modo da assoggettare gran parte del reddito accresciuto al controllo della classe che meno era incline a consumarlo» (*).



In termini economici e sociali la concezione di Keynes di tale dinamica sociale parte dal presupposto, ideologicamente molto comune, che a determinare la posizione delle classi sociali sia innanzitutto la disponibilità di reddito e la loro, per così dire, propensione al consumo. E per quanto riguarda il concetto, qui generico, di "reddito", ciò serve a mascherare innanzitutto:

1) l’origine del “reddito accresciuto”, considerando implicitamente il suo ”assoggettamento” da parte di una determinata classe sociale come una forma naturale di appropriazione del prodotto sociale;

2) che chiamandolo “reddito accresciuto” non si cerca nel lavoro la causa dell’esistenza del plusvalore, ma solo la causa della sua grandezza quantitativa (“gran parte del reddito”).

Data la sua posizione di classe, Keynes è ben consapevole che è molto pericoloso approfondire la scottante questione dell’origine del plusvalore, ossia dei modi nei quali esso viene estorto. Meglio dunque far intendere che la causa del profitto è che il lavoro produce più di quanto sia richiesto per il suo sostentamento e, per conseguenza, che la borghesia capitalistica, assai parsimoniosa com'è noto, è meno incline a consumare il proprio reddito rispetto all'operaio che sperpera tutto il suo.

Sennonché, quello degli operai non è “reddito”, come vuole farci intendere Keynes, bensì salario; così come non è “reddito” quello dei capitalisti, bensì profitto. Confondere queste essenziali determinazioni economiche è lo scopo principale delle teorie economiche che in qualche modo tentano di giustificare il diritto della borghesia capitalistica di sfruttare il lavoro dei lavoratori produttivi e, in subordine, quello dei salariati in generale.

Uno dei compiti fondamentali della rivoluzione sociale sarà quello di liquidare la borghesia in quanto classe, e con essa le sue mistificazioni ideologiche. In ciò sta il senso concreto del concetto di dittatura del proletariato nell’ambito della lotta ideologica contro la reazione borghese, il senso della sua realtà e necessità storica. Perciò essere di sinistra non significa proprio un cazzo: o comunisti, oppure solo dei ruffiani della borghesia.

(*) Considerazioni sulle conseguenze della pace, cap. II.


13 commenti:

  1. Che i proletari siano degli sperperoni è notorio, inclini come sono a dilapidare il salario per pagarsi vitto e alloggio, carburante o abbonamenti vari per spostarsi per lavoro e diletto, tasse, bollette, assicurazioni... e poi si lamentano se non sono ricchi 'sti scialacquatori.

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  2. Post interessante e condivisibile, ma riguardo alla dittatura come necessità storica sono rimasto un po' interdetto: non c'è in questo un rischio totalitarismo?

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    1. Credo sia altamente desiderabile un mondo senza fedi militanti religiose o politiche che siano, come in un lontano futuro non possono essere escluse società libere con un’economia senza mercato e senza proprietà privata. La seduzione perenne della tirannia dipende dal fatto che promette ai sudditi una vita molto più interessante di quella che si potrebbe immaginare per sé.
      La Guerra Fredda è stata una lite in famiglia tra ideologie occidentali, (da sempre) le guerre ora e sempre più in futuro scoppieranno per problemi di scarsità di risorse. In questo momento storico 29.1 trilioni di dollari di investimenti sul mercato (sempre che la cifra letta sia attendibile), in mano a 400 istituzioni del settore pubblico di 162 paesi costituiscono la configurazione di un totalitarismo meno che apparente (sinonimi a volontà).
      Se il termine presuppone un’altra forma di totalitarismo ‘quello stalinista e maoista delle esperienze novecentesche cioè quelle società del socialismo reale per intenderci, la Organizacija sovietica le ha trasformate in ‘un sistema capitalistico di Stato’. Se si dovesse arrivare ad una nuova organizzazione sociale ed economica in senso comunista ci si augura che i suoi dirigenti ci portino in tutt’altra direzione. Speriamo di non scambiare i desideri per leggi universali della Storia.

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  3. Ok, ma allora rivoluzione sociale a che scopo? Se non sbaglio per Marx la dittatura doveva essere una fase transitoria, antecedente alla dissoluzione dello stato e verso il comunismo. Ma è veramente possibile? non c'è in questo una sottovalutazione di quello che comporta la gestione le potere politico?

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  4. bell' analisi ...
    ma per quanto riguarda la sua conclusione
    " liquidare la borghesia in quanto classe

    faccio presente che laddove essa fu " liquidata" ( urss) essa fu prontamente sostituita da un' altra " classe" ugualmente ingiusta ed opprimente ma con l' aggravante di essere anche piu' inefficiente nel produrre "plusvalore" ( e da qui la fine dell' " esperimento ")

    Purtroppo le cose non sono cosi' " semplici"; gli "uomini" non sono ne uguali ne intercambiabili e in ogni "societa'" ci sara' sempre una "classe" " che la comandera' appropriandosi non solo del "potere".

    ws

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  5. intendiamoci:
    dal momento che vengono a modificarsi i rapporti sociali di produzione, la borghesia, come classe capitalistica, viene liquidata. per cambiare tali rapporti, sarà necessario espropriare gli espropriatori, cosa che non si lasceranno fare pacificamente: in ciò sta la dittatura del proletariato. se non vi piace il termine dittatura, usatene un altro; se trovate desueto il termine proletariato, trovatene un altro. la borghesia chiama la sua dittatura "democrazia". la questione non è nominalistica. quando a 45-50 anni non hai più un lavoro e nessuno ti prende più come schiavo, allora sperimenti cosa vuol dire democrazia, allora ti chiedi che cosa te ne fai della democrazia, di questo tipo di democrazia.
    sulla questione dello stalinismo, ossia di quel gulag a cielo aperto che fu l'urss soprattutto in certi periodi, ho già scritto più volte. perciò non è a quel modello storico che si deve fare riferimento, per molte ragioni.
    oggi ci sono le condizioni materiali e sociali per fare le cose ben diversamente, i richiami alla "natura umana" e altri simili sono solo sciocchezze. parliamo piuttosto delle "natura di classe" dei rapporti sociali.

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    1. Pane al pane e vino al vino
      Come vorrei abbracciarti...

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  6. Ciao Olympe, mi permetto di citarti:

    "...perciò non è a quel modello storico che si deve fare riferimento, per molte
    ragioni. oggi ci sono le condizioni
    materiali e sociali per fare
    le cose ben diversamente..."

    Chiedo scusa per la mia preparazione lacunosa, ma qual è dunque il modello storico al quale fare riferimento, per potersi prefigurare la strada da seguire ? E nel caso non ve ne fosse ancora stato uno, quali sarebbero le nuove possibilità materiali e sociali che consentirebbero solo oggi di fare meglio ciò che non riuscì allora, e quale sarebbe quindi l'inedito modello che ne emergerebbe ?

    Interessantissimo, non lasciar cadere....

    Un abbraccio.

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    1. ho già scritto numerosi post sull'argomento. ad ogni buon conto quando avrò un po' di tempo di rispondo volentieri, ciao

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  7. Personalmente ho evitato apposta di riproporre la questione del socialismo reale e di tutte le esperienze novecentesche proprio perchè sono un tuo lettore assiduo e so cosa ne pensi.
    Insisto sulla questione del totalitarismo. Concordo sul fatto che se si pone l'obiettivo di espropriare gli espropriatori c'è bisogno del ricorso alla dittatura, le alternative pacifiche e democratiche di solito non funzionano. Ma se l'obiettivo è l'"emancipazione" - e qui ad esempio mi rifaccio al tuo post del 25 aprile - come possibile transitare per un regime dittatoriale senza pagare dazio? Non è una questione nominalistica ma direi più antropologica. In altri termini siamo sicuri che non ci sia anche una questione natura umana?

    M. L.

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    1. come vi può essere – lo dici tu stesso – una trasformazione rivoluzionaria da un sistema sociale e politico senza l'uso della violenza? forse che la borghesia ha imposto sé stessa come classe senza lottare contro la vecchia aristocrazia? le forme specifiche in cui ciò avverrà non le conosco, ma la trasformazione non potrà che seguire, volenti o nolenti, le leggi di necessità così come esse s'imporranno.

      mi spiace, ma per dittatura intendo tutt'altra cosa dalle classiche dittature come mere forme di potere e che prescindono dai rapporti sociali di produzione. forse in questo vecchio post puoi trovare qualcosa:

      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2010/06/un-post-lungo-palloso-su-alcune-cosucce.html

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