giovedì 24 luglio 2014

L'impiccio/ 2

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La stessa domenica in cui il nostro ufficiale del genio varcava il portone del ministero della guerra, a Sarajevo venivano sparati due colpi di rivoltella che avrebbero segnato la fin des temps délicieux e, per converso e come altri ebbero a dire molti decenni dopo, l’inizio del secolo breve. Ma non era ancora questa notizia a turbare i pensieri del nostro tenente colonnello, quanto la situazione famigliare, laddove al figlio laureato in ingegneria era stato diagnosticato un vizio cardiaco, e la figlia più giovane era andata a vivere con uno zio a causa del clima da caserma che si respirava nella casa paterna. L’unica consolazione, in vista dell’imminente viaggio a Torino, era quella di poter riabbracciare, se il tempo a disposizione glielo avesse permesso, l’altro figlio che era sottotenente alla scuola di applicazione d’artiglieria e genio.

Il generale Pollio informò l’ufficiale che la missione non sarebbe terminata a Torino, avendo intenzione d’ispezionare, partendo da Milano, la frontiera italo-svizzera. Ciò contrariò non poco il tenente colonnello, il quale aveva contato di poter rientrare a Roma dopo tre o quattro giorni. Anche il ministro della guerra pro tempore venne informato da Pollio del suo viaggio solo poche ore prima. Congedato dal generale, il tenente colonnello tornò a casa approfittando di un passaggio sull’auto di servizio del colonnello Diaz, il quale, giunto in via dei Delfini, dispose che l’autista accompagnasse in piazza Galeno l’ufficiale del genio.

Nel pomeriggio l’agenzia Stefani batteva la prima e confusa notizia dell’eccidio di Sarajevo. Altre notizie ufficiali arrivarono a Roma solo la sera del 28, quando invece a Vienna si sapeva già tutto da mezzogiorno. Intanto il tenente colonnello nella sua abitazione predisponeva la preparazione del bagaglio, con la consueta meticolosità, riponendovi anche schizzi, calcoli e appunti sui prossimi esperimenti di tiro. Con una vettura di piazza raggiunse la stazione Termini, molto diversa da com’è oggi, dove era ad attenderlo su un binario centrale il direttissimo n. 6 per Torino delle ore 21, con sole vetture di prima e seconda classe, trattandosi di un treno internazionale che avrebbe poi raggiunto Parigi.



Non sapendo quale sarebbe stata la sua sistemazione, l’ufficiale provvide subito ad occupare un posto sulla vettura di prima classe posta subito dietro al vagone-letto. Sistemato il bagaglio, scese sul marciapiede ad attendere il generale Pollio. Il capo di stato maggiore dell’esercito arrivò accompagnato dal colonnello Diaz, suo segretario, da una donna bionda sulla quarantina e dall’aria altera, da due belle adolescenti e da una bambina, nonché da un signore sulla cinquantina, in borghese, che dalla faccia si capiva non essere italiano, infatti era austriaco.

Pollio proveniva dall’arma di artiglieria, era stato ufficiale d’ordinanza onorario del Re e poi suo aiutante di campo, poi dal 1893 per quattro anni addetto militare all’ambasciata a Vienna. Sposò con la ricca baronessa austriaca Eleonora Gormasz, di vent’anni più giovane, la quale gli impone la coabitazione con un suo fratello, ufficiale della riserva nella Landwehren e pure con una sua sorella maggiore. È normale che stando così le cose, Pollio venisse richiamato in Italia, pur con il seguito famigliare di cui s’è detto. Del resto a Vienna non aveva combinato nulla di buono, a sentire i suoi critici, anzi, troppo spesso s’era invischiato in questioni di politica internazionale che non gli competevano e troppo smaccata era la sua simpatia per la duplice monarchia asburgica, pur se alleata dell’Italia.

Infatti, Pollio, oltre che massone, era un triplicista di ferro e non lo nascondeva di certo, considerando gli accordi Prinetti-Barrère del 1902, ossia tra l’Italia e la Francia, così come quelli di Racconigi con la Russia, come inesistenti. Insomma, egli non giocava sulla posizione ondivaga dell’Italia, bensì era ben convinto che se guerra ci fosse stata, come tutto lasciava presagire, l’esercito e con esso l’Italia sarebbero stati dalla parte degli Imperi centrali.


Eppure in Italia si stava delineando un nuovo ordinamento politico e militare, tanto che il triplicista a ventiquattro carati Alberto Pollio diventava un impiccio. Quella notte del 28 giugno 1914, con il suo fidato tenente colonnello, il capo di stato maggiore dell’esercito viaggiava verso Torino, la sua ultima meta. Dal rapporto redatto successivamente dal tenente colonnello, risulterà che il generale non accennò mai, nemmeno incidentalmente, a ciò che era appena accaduto a Sarajevo, ma soprattutto ci viene detto ripetutamente che Pollio godeva di una “florida salute”. Il rapporto, e altre interessanti notizie, si può leggere integralmente (e farsene un concetto) nel libro di Giovanni d’Angelo, La strana morte del tenente generale Alberto Pollio, Gino Rossato editore, Novale, Vicenza, 20 euro ben spesi. Un saggio storico, un’inchiesta con fonti di prima mano che si legge come un giallo. Ottimo per l’estate e anche per il nostro lungo autunno.

3 commenti:

  1. Estate? Quale estate?
    Scherzi a parte questi post sono molto interessanti, grazie!

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  2. Una storia affascinante , E' sempre interessante rivedere certi risvolti " passati" specie oggi che siamo tutti resi piu smaliziati dalle ripetute storielle amerikane..

    E il diaz colonnello e segretario dell" impiccio" nel '14 non era mica " l' armando " poi maresciallismo nel '18 ? :-)

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    1. è lo stesso Diaz che servirà sotto Pollio e poi sotto Cadorna, poi sotto altri, infine sotto Mussolini quale ministro

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