domenica 22 giugno 2014

Della necessità delle cose


Quale valore deterrente può avere oggi una scomunica papale, e quale effetto pratico? Si tratta di una censura della Chiesa, di un anatema (per chi piace il greco antico), ossia di una pena spirituale in forza della quale il fedele resta “separato dall’ecclesiastica comunione”. Quell’infelice di Origene scrive che tutti gli scomunicati (dunque deduco anche chi scrive queste righe) assomigliano al Demonio. Tenuto conto di questo, mi spiego perché i parrocchiani del luogo quando mi scorgono si fanno il segno della croce e pronunciano, neppure tanto sottovoce, tre paroline in latino.

Vi risparmio cosa dicono, secondo il LXII volume del Dizionario storico-ecclesiastico del Moroni, Tertulliano e san Antonino! La notizia del fulmine papale è stata fatta pervenire proprio ieri alla ‘ndrangheta tramite stampa e televisione. E dunque vista la forma di comunicazione non è ben chiaro se sia trattato di minaccia o di provvedimento effettivo, la qual cosa andrebbe chiarita per non lasciare in sospeso una questione così spinosa presso quella gente brava.

Pertanto posso parlare con certezza solo della mia di scomunica, la quale è stata resa perfetta dalla notifica del Decreto a cura dell’ordinario diocesano, con l’indicazione di una sfilza di articoli del codice canonico, escludendomi da tutti i sacramenti (condizione che mi sconcerta non poco) e pure dalle “esequie ecclesiastiche in mancanza di segni di pentimento”. E di che cosa mi dovrei mai pentire non è detto precisamente – posto peraltro che non faccio "più parte della Chiesa cattolica" – , ma non dubito che nel caso mi verrà suggerito al momento del rientro nello stazzo des chrétiens.


E dunque non ci resta che considerare quanto la modernità abbia posto la Chiesa cattolica nell’inefficacia e nel ridicolo delle sue cose un tempo così decisive e solenni, e perciò nella necessità di morire.

1 commento:

  1. L'iconoclastia per Origene e il Dizionario ci sta, con il paesello e le perpetue giaculanti siamo a Don Peppone. Non trattarci così, dai!

    Donna Prassede

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