mercoledì 14 maggio 2014

Pusher


«L’essere umano non è qualcosa di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà esso è l’insieme dei rapporti sociali» (*).

La teologia ha sempre negato che l’uomo possa conoscere la verità se non come verità rivelata (dai preti). Per contro, certa scienza, quando ha a che fare con le “verità” che riguardano l’uomo, nega che esse possano essere cercate nella storia e nello sviluppo sociale dell’uomo stesso, se non in misura davvero marginale e a conferma del suo paradigma monodimensionale. È una vecchia questione che non riguarda la scienza in sé, ma l’ideologia su cui essa poggia.

Per esempio, il cervello umano non è un prodotto storico-sociale, bensì un prodotto dell’evoluzione biologica, e cos’ dicasi per la sua coscienza. Nella sua essenzialità l’approccio e la modellizzazione dell’umano nelle scienze neurologiche è questo. La motivazione è politica, e, come detto, vecchia come il cucco, solo che viene ammantata di dati “scientifici”.

Stabilire che è la “natura” a determinare la coscienza è il primo e fondamentale passo per dire che è la coscienza, dunque il biologico, a determinare l’uomo. E tutto ciò serve agli innatisti di ieri non meno che ai neurobiologi di oggi per negare la coscienza quale prodotto dell’essere sociale, concetto questo politicamente assai pericoloso per lo status quo. Dunque, in tal caso, il dato biologico per i marxisti non conta nulla? Non diciamo sciocchezze, solo i mistificatori borghesi possono tradurre il marxismo in una cosa del genere.



Prendiamo il linguaggio, che non rappresenta un regno a sé ma rientra, in quanto manifestazione della vita reale, nello studio più generale del linguaggio della vita reale. Il linguaggio nasce dal lavoro e con il lavoro, ed è esso stesso un lavoro che si svolge nel quadro di rapporti sociali storicamente determinati per il tramite di strumenti segnici determinati per produrre informazione extragenetica e cioè strumenti di conoscenza indispensabili per finalizzare la propria attività trasformatrice del mondo circostante, per trasmettere sensazioni, conoscenze, comandi, ecc.. Il lavoro che consente all’uomo di sottomettere e controllare il proprio come l’altrui comportamento, è un bisogno specificamente sociale, un’attività per eccellenza umana che gli permette di svilupparsi incessantemente.

Eh, ma qui si tratta di avere a che fare con il materialismo storico-dialettico (dico storico-dialettico perché in giro ci sono dei “dialettici” che guardano con disincanto alla storia), approccio pericoloso poiché tende (di questi tempi, poi!) a ricomporre un sapere unitario relativo alla produzione dei rapporti sociali e delle formazioni sociali, intesi come forme della materia sociale in espansione.

L’essere umano è la concreta materia sociale nella sue forme di esistenza storicamente determinate, non un’astrazione immanente all’individuo singolo oppure mero risultato del dato biologico. Nella sua attività, sia pure in forme particolari, esso riproduce l’insieme dei rapporti sociali, e pertanto individuo concreto e formazione sociale sono termini che non si oppongono non essendo in rapporto di prima/dopo e di sopra/sotto (come vorrebbe la vulgata che rappresenta il marxismo caricaturalmente). Pertanto, tra individuo concreto e formazione sociale non c’è alcuna differenza di contenuto, poiché il concreto divenire della materia sociale li implica vicendevolmente.

Ciò potrà apparire ovvio, ma nella faccenda “scientifica” ciò viene del tutto trascurato, e una volta preparata la “pappa”, corroborata di grafici e terminologie sofisticate, ci viene fatta ingurgitare che è un piacere, anzi, ne chiediamo sempre di più, ne diventiamo dipendenti e non se ne può più fare a meno e guai a criticare i pusher.

La nozione di essere umano non è in alcun modo riducibile alla sua determinazione biologica, e pur se quest’ultima non è solo un presupposto della forma sociale di esistenza della materia, sistema biologico e rapporti sociali costituiscono un’unità di opposti in cui il polo dominante è rappresentato dai rapporti sociali. Non c’è alcuna frattura o opposizione di principio tra società e natura, poiché tale modo di vedere è riduttivo, meccanico e a-dialettico.

La società rappresenta, nel complesso divenire storico della natura, il suo punto di massimo sviluppo, uno stadio qualitativamente superiore regolato da specifiche leggi di movimento. Le forme non sociali di esistenza della materia, e ciò questa volta va aggiunto per gli “storicisti”, non si risolvono semplicemente nei modi storici della loro appropriazione da parte dell’uomo, ma hanno anche un’esistenza oggettiva indipendente dall’uomo, e anch’esse hanno un carattere storico come la materia sociale, così come la totalità dei rapporti sociali ha un carattere naturale.

Questo è materialismo dialettico, questo è, sia pure delineato molto schematicamente e meritevole di approfondimento, l’approccio su cui fonda la scienza marxista per quanto riguarda il rapporto uomo/natura. Il resto è idealismo variamente declinato, ideologicamente interessato (che se ne abbia coscienza o meno), per quanto supportato da “riscontri oggettivi”.


(*) Das menschliche Wesen ist kein, dem einzelnen Individuum innenwohnendes Abstraktum. In seiner Wirklichkeit ist es das Ensemble der gesellschaftlichen Verhältnisse.

5 commenti:

  1. Ciao!

    post bellissimo e pieno di spunti di riflessione. Ammetto però di essermi letteralmente perso nel finale. Cosa significa:

    " Le forme non sociali di esistenza della materia, e ciò questa volta va aggiunto per gli “storicisti”, non si risolvono semplicemente nei modi storici della loro appropriazione da parte dell’uomo, ma hanno anche un’esistenza oggettiva indipendente dall’uomo, e anch’esse hanno un carattere storico come la materia sociale, così come la totalità dei rapporti sociali ha un carattere naturale."

    A latere mi sembra interessante rilevare come l'approccio marxista porti con sè una visione dell'uomo e della vita molto confortante. La propaganda culturale borghese inculca che uno dei mali del marxismo stia nella rinuncia all'individualità e a tutte le infinite possibilità ad essa legate, e questo viene identificato come fonte di tutti i mali. Quello che invece insegnano molti pensatori, non solo Marx (mi viene banalmente in mente il Buddhismo), è che l'uomo esiste e si realizza in relazione a ciò che è fuori da lui, e che l'individualità e l'individualismo sono da un lato inganni della mente e dall'altro la fonte del vero male e della sofferenza dell'uomo. E direi che basta guardarsi in giro per capire che questo non è misticismo, ma realtà...

    Ciao
    Marco

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    1. infatti da te non mi aspettavo la domanda del genere. segue un secondo post, forse oggi, è un argomento a cui tengo, importantissimo di là della semplice disputa. importantissimo anche per LORO. ciao

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  3. Dal punto di vista filosofico, il Buddha stesso affermò che il suo insegnamento era lontano da entrambi gli estremi dell'assolutismo e del nichilismo. La vacuità filosofica buddista è la negazione di tutte le negazioni e in ultima analisi allude (senza postularla) a una realtà inesprimibile. E' come se il Buddha dicesse: la realtà di cui si parla non è la vera realtà: perché la realtà parli, bisogna che tu taci, che ti svuoti, di ogni teoria, di ogni concetto. Il concetto di suññata è la reintegrazione non-concettuale di ogni fenomeno particolare nella sua realtà. E' un vuoto gravido di possibilità, sia manifeste sia immanifeste.

    Il concetto di possibile rinuncia alla individualità del pensiero marxista poco ha a che vedere con la visione buddista. Penso che convenga mantenerci nei nostri territori.

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    1. Grazie per la precisazione, sicuramente puntuale, però temo tu abbia travisato il senso del mio commento.

      Io volevo semplicemente sottolineare la distanza tra la visione capitalista del mondo e altri modi di intendere l'esistenza umana (e non fare un così ingenuo parallelismo tra marxismo e buddhismo). In questo senso trovavo interessante rilevare come buddhismo e marxismo, per quanto estremamente diversi dal punto di vista filosofico, condividano all'atto pratico una grande distanza dalla concezione individualista tipica del capitalismo.

      Per concludere, il punto non era assolutamente il buddhismo (che era solo un esempio "a caso", infatti ho scritto "banalmente"), piuttosto osservare come il capitalismo (e tutto il suo olimpo di divinità.. il Mercato, il Liberismo, la Libera Iniziativa) sia nella sostanza basato su una concezione della vita che molte altre filosofie hanno invece osservato essere fonte di dolore e infelicità.

      Ciao
      Marco

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