venerdì 9 maggio 2014

Nuovi alchimisti



Ogni giorno, dal droghiere – laddove esso ancora esiste – o dal premio Nobel, ci sentiamo proporre discorsi e ricette sulla crisi, sulle sue cause e su come uscirne. Quello del droghiere sarà necessariamente un argomentare per concetti molto semplici, e invece di ben altro livello sarà quello del Nobel. Tuttavia, in entrambi i casi, l’analisi e le proposte del droghiere e quelle del Nobel tenderanno a privilegiare gli aspetti che riguardano la circolazione, ossia la sfera dei fenomeni connessi allo scambio, alla finanza e alla moneta. Nel caso del Nobel ciò non è casuale; nemmeno nel caso del droghiere, sia pure per aver orecchiato.

Le tesi più battute riguardano la necessità di porre delle “regole” al mercato, di agire sulla moneta, sui contratti di lavoro, oppure sulla fiscalità, il contrasto dell’evasione, la spesa pubblica e il debito, e insomma, signora mia, tutto dipende da quegli sfaticati degli operai, e dalle gravi responsabilità dell’ignobile politica che si rifiuta di darci retta e applicare le nostre ricette per superare la crisi e vivere finalmente felici, o quantomeno in “crescita”.



Succede esattamente quello che accadeva nel caso degli alchimisti, i quali, nella migliore delle ipotesi, conoscevano empiricamente alcuni degli effetti di certe sostanze ma ne ignoravano la loro struttura chimica. Allo stesso modo, gli economisti borghesi riconoscono gli effetti che nel breve periodo possono produrre taluni interventi in materia economica (vedi l’azione sui tassi o l’immissione di moneta), ma evitano di indagare le leggi di movimento dell’economia se non nel senso favorevole agli interessi legati all’economia di mercato.

Si tratta, in buona sostanza, d’interpretare i fenomeni economici negando le contraddizioni di fondo da cui muove il modo di produzione capitalistico. Ecco dunque che l’economia politica è passata da scienza ad apologia dell’esistente. Anche quando la teoria economica borghese s'approccia criticamente all’analisi, si tratta sempre di un approccio orientato ideologicamente, ossia teso a negare anzitutto un fatto fondamentale, ossia lo sfruttamento del lavoro dell’operaio, l’estorsione del plusvalore.

Come si fa ad ammettere che all’operaio non è corrisposto, nello scambio con il capitale, l’equivalente del suo lavoro? Che per effetto del contratto sul quale si basa tale scambio, pur reso legale dalle leggi, l’operaio è costretto a lavorare per un tempo superiore per il quale viene pagato? E del resto ciò è reso, tra l’altro, evidente dal fatto che il capitalista non avrebbe alcun interesse ad acquistare forza-lavoro al suo valore se poi dovesse limitare il suo tempo di lavoro allo stretto necessario per la sua riproduzione.

Se l’operaio è costretto a vendere la propria forza-lavoro per sopravvivere, e la deve vendere alle condizioni poste da chi detiene i mezzi di produzione, ne consegue che di fronte a lui sta, come antagonista, una classe di proprietari (e relativi parassiti) che ha interesse a non mutare le condizioni sociali nelle quali vive come sfruttato e si riproduce come tale. Conseguentemente i suoi diritti sono sì improntati a criteri di libertà e di democrazia, ma nella misura in cui libertà e democrazia si prestano ad essere piegate agli interessi della classe che lo sfrutta. Altrimenti si passa alla revoca fin quando non sono stabilite nuove condizioni di pace sociale.

Potrebbero mai gli economisti e gli altri ideologi borghesi ammettere ciò? Ecco che gli economisti borghesi hanno interesse, per esempio, a identificare il saggio di plusvalore (ossia il saggio di sfruttamento) con il saggio di profitto e, così facendo, lasciano credere che il plusvalore sia prodotto da tutto il capitale, dal capitale complessivo anticipato, e non invece dalla sola parte variabile, vale a dire dal lavoro non pagato all’operaio. Ma a chi interessano più questi discorsi se l’attenzione del gregge è sviata in ogni istante da altre questioni create ad arte dai cani da guardia della pace sociale?

È poggiando su questa tesi che i padroni e i loro servi della politica e dei media possono sbraitare che l’introduzione d’impianti e macchinari sempre più perfezionati (“produttivi”!!) riduce progressivamente la funzione dell’operaio nella produzione, il che dimostrerebbe, secondo queste merde, che il capitalismo tende sempre più a limitare lo sfruttamento della forza-lavoro.

In realtà la tecnologia rappresenta sempre capitale costante il cui valore può solamente trasferirsi a mano a mano nei nuovi prodotti, ma non può produrne il minimo incremento. Il fatto che il capitale impieghi nuove tecnologie ed assuma un minor numero di operai dimostra soltanto che si è ancor più intensificato lo sfruttamento della forza-lavoro mediante l’estrazione di plusvalore relativo, e che i progressi della scienza e della tecnica, ancorché liberare dal lavoro non necessario l’operaio – sempre più nella condizione di sfruttato, di precario e disoccupato – vanno a beneficio del capitale, ossia delle classi proprietarie e dei loro lacchè.

Ecco dunque che l’interesse a negare lo sfruttamento, nell’economista borghese così come nell’idiota che ripete a pappagallo le stesse tesi sui giornali, all’osteria, in televisione e su internet, tende a creare dei modelli di analisi e mentali svincolati da ciò che è la realtà effettiva, e dunque dalle leggi di movimento del modo di produzione capitalistico. E perciò l’economista non coglie le contraddizioni laddove esse hanno origine, e si accinge, per accademia, per posizione di classe e per abitudine,  a inventarsi tutto un mondo a sé, laddove le contraddizioni nascono e si risolvono a capriccio, secondo le più fantasiose alchimie.    

9 commenti:

  1. Assolutamente d'accordo con l'analisi che fai, Olympe e mi sembra particolarmente azzeccato il paragone tra economisti/propagandisti e alchimisti...

    Poche settimane fa ho sentito un economista non mainstream, non propagandista dell'esistente, come Guido Viale. La sua impostazione- economia locale/riconversione ecologica/ gestione partecipata delle risorse come energia, acqua..- mi ha convinto e mi convince solo in parte. Interi comparti industriali sono stati abbandonati, la deindustrializzazione si tocca con mano facendo un giro in una qualsiasi zona industriale di qualsiasi città. Non penso che saranno i gruppi di acquisto a salvarci passando dall'acquisto collettivo direttamente dai piccoli produttori di frutta, verdura e altro a quello di energie rinnovabili. Può aiutare ma non basta.

    Pochi giorni fa con l'ennesimo voto di fiducia è stato approvato il job act- a proposito di classe lavoratrice che per vivere deve vendere le proprie braccia o il proprio cervello a chi detiene i mezzi di produzione- e le reazioni sono state praticamente inesistenti mentre la propaganda di regime ha continuato e continuerà a battere il tamburo dicendo che queste sono le uniche misure per uscire dalla crisi...

    Credo che quasi 30 anni di neo liberismo abbiano scavato davvero a fondo come qualche decennio di sconfitte e di ritirate continue dei sindacati "concertativi", come le privatizzazioni fatte passare per modernità indispensabili e l'elenco potrebbe continuare.

    Penso che la democrazia prima della crisi non se la passava molto bene ma dal 2008 a oggi, da quando cioè la crisi è esplosa, possiamo dire che è morta e sepolta.

    Credo che il movimento operaio debba ricominciare a ricreare da solo quelle strutture di auto rappresentazione, di difesa, di mutuo soccorso, iniziate alla fine dell'800. Quelle strutture che dicono di fare questo oggi hanno mutato completamente di senso. Sarà un percorso lungo, fatto di alti e bassi, ma non ne vedo altri possibili....

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    1. il prossimo post, che sto scrivendo, parlerà proprio di questo. ciao

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    2. Quanto hai ragione, Cristiano, nel paragrafo finale. Un po' alla volta sempre più persone si sveglieranno, il sonno dovrà ben finire prima o poi. E' più che evidente che la "pacchia" è finita, e dalle difficoltà forse nascerà un po' di buon senso!! E da quello si spera nascerà la volontà di unire le forze per difendersi

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  2. Quanto mi piacciono questi post che partono con incedere tranquillo e poi esplodono in tutta la loro potenza.

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  3. Questo post è eccezionale per quanto è chiaro, diretto e incisivo. Per inciso mi tocca personalmente, e credo che questo sia vero, in diverse misure, per chiunque si sia liberato dei vecchi schemi mentali per quelli nuovi.

    " l’interesse a negare lo sfruttamento ... tende a creare dei modelli di analisi e mentali svincolati da ciò che è la realtà effettiva, e dunque dalle leggi di movimento del modo di produzione capitalistico. "

    Il vero problema sono proprio questi modelli mentali che portano a non comprendere la natura del problema. E' necessaria una nuova rivoluzione copernicana, è necessario cambiare punto di vista. Soltanto così è possibile liberarsi dalla cortina di fumo che ci rende incapaci di capire, comprendere, e quindi cambiare il corso degli eventi.

    Ciao
    Marco

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  4. Intanto la sopravvivenza di un negozio di drogheria costituisce già di per se stesso un privilegio per la città che lo ospita e per chi ha la fortuna di frequentarlo, indipendentemente dalla qualità delle merci e dall’affabilità degli addetti. Oasi del WWF commerciale.

    L’unica possibilità di un’effimera indagine sociologica che ci offrono i più o meno squallidi supermercati è la disinteressata osservazione di ciò che i nostri simili hanno acquistato, prendendo atto alla cassa con un’occhiata nel carrello altrui sin dove arrivi la diseducazione alimentare e fin dove colpisca la ‘propaganda’ mediatica. E se tanto mi da tanto...

    Pretendere dal piccolo negoziante oltre alla propria tenuta archeologica anche una pur semplice condivisione di temi economici oltre la partita doppia a fine giornata mi sembra eccessivo.
    Pretenderlo da chi ha fatto un excursus ideologico da Almirante o Malagodi (un bottegaio intellettuale) alla balena bianca per approdare al cavaliere mi sembra altrettanto eccessivo.
    Dobbiamo accontentarci della chiacchera rionale e della riconoscibiltà personale con la permanenza delle nostalgie infantili se l’attività copre quasi un lustro.
    ‘[…] gli aspetti che riguardano la circolazione, ossia la sfera dei fenomeni connessi allo scambio, alla finanza e alla moneta’[…] : abbiamo trasformato con generosità e ottimismo il sig.Carlo in uno Zingales in sedicesimo.

    Ho il 'sospetto' che questo humus mentale non sia una caratteristica del solo nostro bottegaio ma si estenda ad una vasta fetta dei connazionali per appartenenza di classe, per supposta e millantata appartenenza e per comoda abitudine.
    Non ultimo la parola comunismo e per di più marxismo non la digeriscono, è vista come sinonimo di privazioni, omologazione, collettivismo coatto. Cooperazione sa di sussidiarietà. Concetti banali ma gli stereotipi sono lunghi da demolire.Peraltro nei tempi andati i compagni per di più non erano marxisti ma stalinisti. Forse questa è una parte della probabile verità verosimile.

    L'economista non coglie..... non coglie perchè tiene famiglia.

    Bon juor

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  5. Mi sia concessa una citazione:

    Di fatto giunge all'operaio la parte più piccola e assolutamente più indispensabile del prodotto; solo quel tanto che è necessario affinchè l'operaio viva non come uomo ma come operaio, e propaghi non l'umanità, ma quella classe di schiavi, che è la classe degli operai.
    (K.Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844)

    Buon prosieguo con il lavoro di divulgazione da questo piccolo scoglio di mare (blog)

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  6. TINA, TINA,TINA, il Mantra liberista che annebbia la vista.
    E' molto più facile "Pensare" con la testa degli altri che utilizzare i propri neuroni. E' molto più facile invidiare chi ci considera "strumenti di produzioni parlanti". Il RE è vestito: VIVA il RE.

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