mercoledì 7 maggio 2014

Le sconfitte inglese e francese nel 1918


Questo post, come del resto altri su questo tema, interesserà necessariamente solo certi lettori, e ciò basta e non c’è d’aspettarsi di più (questioni di più alto momento riguardano Genny a’ carogna). Lo scopo che mi prefiggo, senza altre pretese di alcun genere, è quello di mettere in luce, in breve e schematicamente dato il mezzo, il carattere e i vizi ricorrenti delle classi dirigenti italiane così come si rivelano nei salienti decisivi della storia italiana.

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Caporetto è diventato, per antonomasia, il nome simbolo della disfatta; esso ricorre ad ogni tragedia nazionale che veda come principale responsabile per le sue insufficienze e malefatte la classe dirigente di questo straordinario paese. Eppure di quel genere di disastro militare, anche se in proporzioni forse minori e con conseguenze casualmente meno decisive, non fu immune durante il grande conflitto europeo né l’esercito inglese e nemmeno quello francese. Anzi, sia da Caporetto così come dai loro stessi rovesci, essi non trassero, a differenza dei tedeschi, nessun proficuo ammonimento, tanto da ripetere lo stesso errore – bensì strategico e non solo tattico – due decenni dopo. Ma inglesi e francesi non ne parlano volentieri, preferiscono celebrare le proprie vittorie e sorvolare sulle loro sconfitte, salvo rimarcare spocchiosamente quelle altrui (dimentichi, tra l’altro, che senza il fronte italiano che tratteneva oltre 70 divisioni nemiche, inevitabilmente essi sarebbero stati travolti). E anche in questo, noi italiani, per contrasto, riveliamo l’indole sommamente individualista e piagnona, sottomessa, retaggio di tanta nostra secolare condizione storica.

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Chi fu Cadorna? Per non prendere pregiudizio non ho letto alcuna sua biografia, nemmeno le voci della Treccani e di Wikipedia, e tuttavia azzardo un’idea dell’uomo e del generale poggiandomi su ciò che ha lasciato scritto lui medesimo e su notizie di chi l’ha conosciuto in prima persona. Il ritratto che ne ricavo è quello di un conservatore della sua epoca, d’intelligenza normativa, senza particolari doti di riflessione, ristretto nel concepire e nel giudicare, di carattere formale e di rigido concetto, sensibile all’adulazione, cospicuo di sé, incapace d’amicizia, uomo di buon gusto, amava l’arte, era una buona penna e pronto alla battuta.

Come generale, Cadorna fu un profondo conoscitore del territorio in cui operava, capace organizzatore (a lui si deve – nonostante l’opposizione politica – la costruzione dal 1914 di un poderoso e ben armato esercito), attento ai suggerimenti dei più stretti collaboratori e tuttavia autonomo e fermo nelle decisioni, esperto delle problematiche militari, eppure difettoso nell’organica d’impiego dei reparti, trascurava deliberatamente la conoscenza dei suoi comandanti di livello inferiore al corpo d’armata. Cinico come può non esserlo un comandante di esercito, ma in lui il disinteresse per la sorte centinaia di migliaia di giovani uomini che affrontano in ogni momento la morte è davvero oltremodo impietoso. Le circolari del comando supremo insistono sul risparmio di munizioni, mai su quello di vite umane. Accostava d’abitudine la sua sorte a quella di Napoleone.

Come primo responsabile del comando delle operazioni aveva un altro grave difetto che il col. Angelo Gatti, che ben l’ha conosciuto ed è stato un suo critico estimatore, rileva e riassume nel suo diario di guerra:

«[…] ora che ho visto con i miei occhi […] il generale Cadorna non esercita un’azione di comando, nemmeno nella fronte Giulia. Mi spiego meglio. Il generale Cadorna fa il piano, lo dà ai comandanti delle armate: tiene per sé una piccola riserva. Poi dà l’avanti: e da quel momento non è più il direttore».

È questo un difetto di non poco conto e che può spiegare, per la sua parte, il disastro di Caporetto e la condotta complessiva della guerra sia sul piano strategico che tattico.

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Prima di dire, con onestà, se ci si poteva aspettare un attacco in profondità dei tedeschi e degli austro-ungarici così a nord, tra Caporetto e Tolmino, bisogna osservare attentamente la carta della zona. Nessuno era mai passato di lì per invadere la pianura friulana, tanto che, come rilevavo nel post precedente dedicato allo stesso tema, per millenni le invasioni da est passavano l’Isonzo spesso nei pressi dell’attuale frazione di Mainizza, sul ponte romano che era situato poco a nord da dove passa ora l’autostrada A34 Villessa-Gorizia. Viceversa, nell’ottobre 1917, in quel settore di fronte tra Caporetto e Tolmino, si trattava di superare, oltre all’alto Isonzo, tre gradini di difesa.

E tuttavia come risulta, tra l’altro, dalle istruzioni date ai comandi del IV corpo d’armata dal gen. Cavaciocchi in data 14 ottobre, ci si attendeva l’attacco e il tentativo di sfondamento del nemico, se non altro sulla base dei piani di battaglia portati seco dai due famosi ufficiali disertori rumeni. L’attacco era dunque atteso e previsto per quei giorni, non si volle però dare loro la giusta rilevanza, nonostante si sapesse cos’era avvenuto in Russia (dirò in seguito) e in Romania.

Al comando supremo, in primis il generale Cadorna, non si dette peso alla possibilità di uno sfondamento dei tre gradi di difesa, pur non ottimali, posti in quel settore. Difese non ottimali è un eufemismo, perché in non pochi casi, ciò che appariva sulla carta non trovava riscontro nella realtà, laddove quelle linee caddero in poche ore perché furono trovate senza difensori o sorprese mentre vi si organizzava una difesa affrettata, insufficiente, sporadica e già superata dal rapidissimo precipitare degli avvenimenti.

Basti un caso per sottolineare la situazione dopo l’attacco austro-tedesco. Un fante, il cui nome è rimasto ignoto per la perdita della piastrina, improvvisatosi mitragliere sul valico di Sella di Canebola, l’ultimo prima della pianura friulana, per 36 ore tenne in scacco l’avanzata di un’intera divisione nemica tra il 26 e il 27 ottobre, finché non fu travolto e ucciso. E ciò non è leggenda.

L’ufficio informazioni del comando supremo, già il 7 di ottobre, segnalando “notizie raccolte da informatori e prigionieri, dal tono della stampa nemica e da altri indizi”, affermava che il nemico “mirasse ad avvicinare con una operazione militare la conclusione della sospirata pace”, e soggiungerà poi il Cadorna che era difficile “precisare l’entità dello sforzo ed il punto della sua principale applicazione”.

Già dai primi di ottobre c’erano segnali e notizie di un attacco, non se ne poteva stimare l’entità e soprattutto il punto principale di dove doveva venire l’offensiva. Dunque, un primo errore di sottovalutazione che poggiava su una più generale convinzione, ossia che si trattasse di un’operazione nemica tesa a creare una situazione più favorevole, dopo i successi italiani dell’XI battaglia, per giungere a trattative di pace. Eventualmente, per un grosso attacco, l’Austria-Ungheria, avrebbe provveduto dopo l’inverno, nella primavera del 1918. Nel frattempo, come da dichiarazioni del Cadorna, si sarebbe provveduto di sistemare meglio le cose nello schieramento e nell’ordinamento di reggimenti e divisioni.

Questo è il primo errore di sottovalutazione, forse nemmeno quello più decisivo. L’altro errore riguarda l’aspetto psicologico, lo stato d’animo delle truppe e degli ufficiali al fronte, dopo due anni e mezzo di guerra, una guerra che sembrava non dover finire mai, che dovesse durare, se andava avanti così, altri dieci anni, per dirla con le parole del comandante della terza armata, ossia il duca d’Aosta. Soldati che avevano bisogno di riposo stabile, lontano dalle cannonate, di licenze, di famiglia, di sfogo, e soprattutto di un trattamento più umano da parte di ufficiali arroganti e spocchiosi. E su questo lato della faccenda la pubblicistica è copiosa, non mi pare vi sia nulla più da aggiungere che non sia abbondantemente noto.

Altra questione, dopo quella tattica e quella, rilevantissima, morale e psicologica, è quella che riguarda la qualità e l’impegno dei comandanti sottoposti a Cadorna. Il generalissimo poco curava i rapporti con i suoi comandanti più diretti, fino a giungere ad affermare esplicitamente di non volersi occupare dei comandanti dalla divisione in giù!

Molti di questi generali e colonnelli erano giunti alle posizioni di vertice con avanzamenti fulminei, scavalcando spesso, anche di due gradi per volta, colleghi più anziani, e ciò non poteva che creare malcontento. Due esempi tra tutti: Diaz, che poi prenderà il posto di Cadorna, all’inizio del conflitto era appena tenente colonnello. Alla vigilia di Caporetto, ossia due anni dopo, era generale di corpo d’armata. Lo stesso percorso per un altro nome poi molto noto, quello di Badoglio. Si pensi che Badoglio, nel 1911, in Libia, era capitano alle dipendenze di un generale di brigata, quest’ultimo nel 1917, quale generale di divisione, era alle dipendenze di Badoglio comandante di corpo d’armata! Cadorna ebbe ad avanzare in seguito dei dubbi sulle doti di generale di Badoglio, sul quale il Gatti afferma: “Non credo possa avere vasti pensieri”.

È vero che da un lato i numerosissimi siluramenti e dall’altro le fulminee promozioni erano determinate dalla situazione, dovendo sbarazzarsi di ufficiali insufficienti e anche inetti, ma questo tipo di ricambio assunse proporzioni abnormi e le carriere spesso si giocavano sulla fortuna di trovarsi in un corpo d’armata anziché in un altro. Il difetto principale di questi tenenti colonnelli divenuti rapidamente generali di corpo d’armata, stava nel fatto, come lo stesso Gatti rilevava, che essi avevano conservato la mentalità dei tenenti colonnelli. Ad ogni buon conto, in quello scorcio d’autunno, diramati gli ordini dal comando supremo, ognuno ottemperava a suo modo e nei tempi suoi. Un discorso a parte meriterebbe la posizione e l’indole del generale Capello, comandante della 2^ armata.

A tale riguardo e sui fatti dell’autunno 1917, Cadorna scriverà con obiettività:

[…] in questa circostanza mancò nel comandante [Capello] della 2^ armata (e non in lui solo) quello spirito di ubbidienza in che essenzialmente risiede la disciplina delle intelligenze e la disciplina formale. Egli avrebbe consentito di contrastare più energicamente l’offensiva e l’avanzata nemica, se le artiglierie che avrebbero dovuto essere portate indietro [come da esplicito ordine di Cadorna], fossero tempestivamente entrate in azione insieme alle altre schierate [dunque Badoglio].

Capello era un genialoide, con molti difetti, di ristretta visione, rimase dopo Caporetto al suo posto. Badoglio avanzò a sottocapo di stato maggiore del comando supremo!

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Ciò che invero deve essere posto in chiaro, e per esempio lo fa Piero Melograni nel suo celebre saggio, è che quanto avvenne a Caporetto era successo prima in Russia e poi si sarebbe ripetuto in Francia a spese d’inglesi e poi dei francesi.

Tedeschi e austriaci applicarono a Caporetto una tattica nuova nella concezione e nel procedimento: non più scontri diretti di logoramento, con assalti e contrattacchi, su fronti molto ampi. Già mesi prima l’avevano applicata a Riga contro i russi questa tattica e la perfezionarono a Caporetto. Gli inglesi e i francesi – i quali si sa bene cosa pensino degli italiani – interpretarono il disastro di Caporetto come disfatta morale dell’esercito. Non ne colsero anche i motivi bellici. Dunque toccò a loro poi sperimentare.

Il 21 marzo 1918, sul fronte della Piccardia a comandare le truppe tedesche, con in faccia quelle inglesi, c’era una nostra vecchia conoscenza, il generale von Below, già comandante a Caporetto, e anche il suo collega von Hutier, che guarda caso, era proprio quello di Riga. Le truppe della V armata britannica vennero sopraffatte e molti reparti furono travolti dal panico, la Somme abbandonata precipitosamente. La stessa cosa che s’era verificata a Caporetto, la stessa metodologia tattica.

Dopo quattro giorni di battaglia i francesi si apprestavano a difendere Parigi e gli inglesi pensavano già che il loro compito principale fosse quello di difendere i porti della Manica. Insomma, la stessa situazione del giugno 1940! Dopo due settimane di battaglia, gli  inglesi – fortuna per loro che non c’erano i panzer e gli stukas – riuscirono a fermare i tedeschi, non senza aver ridotta la loro forza da 200mila a 20mila uomini, perso ingenti quantitativi di materiali, armi e munizioni, e dopo essersi ritirati per 70 chilometri! Dopo un pausa di quattro giorni, nelle Fiandre, i tedeschi sfondarono in direzione del mare, tendendo a occupare Calais e Boulogne. Dal 21 marzo alla fine di maggio gl’inglesi persero complessivamente 344mila uomini tra morti, feriti e dispersi, oltre mille cannoni e migliaia di mitragliatrici.


Il 27 maggio furono colti di sorpresa e presi dal panico i francesi, senza opporre resistenza persero in poche ore lo Chemin de Dames, considerato un’inespugnabile fortezza, e gli andò bene perché i tedeschi … “si fermarono soltanto perché così stava scritto sul piano di battaglia”. E anche questo è caratteristico.

11 commenti:

  1. Complimenti questi post sulla Grande Guerra sono veramente interessanti e piacevoli. Continua, mi raccomando, che vogliamo sapere ... come andò a finire!
    Scherzi a parte rinnovo i complimenti e attendo le prossime puntate.

    "Un fante, il cui nome è rimasto ignoto per la perdita della piastrina, improvvisatosi mitragliere ..."
    Qualche post fa si parlava del coraggio delle nostre truppe. I poveri cristi ne dimostrano non di rado moltissimo, soprattutto il coraggio disperato di chi vuol vendere cara la pelle.

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  2. Ciao Olympe, scusami per l'O.T.

    Ma ti volevo chiedere cosa ne pensi di queste affermazioni:
    Roma, 6 mag. (Adnkronos/Ign) - "Confindustria non fa mai appelli elettorali, ma questa volta mi sento di rompere una tradizione, consapevole del fatto che il nostro richiamo sia quanto mai necessario". Lo afferma il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, in un intervento alla Luiss, sottolineando che "votare oggi per l'Europa significa non mettere a rischio l'unica grande visione comune costruita nel secondo dopoguerra".

    "Gli euroscettici sono sempre esistiti, e hanno alle spalle qualche successo. Affermano come valori di oggi i cattivi germi che portarono a ben due conflitti mondiali" è il giudizio espresso da Squinzi.

    A chi predica la disintegrazione dell'euro, il leader degli industriali risponde che "costi e rischi di questa prospettiva sono enormi, con la quasi certezza di fuga dalle valute deboli verso quelle più forti". Senza contare, aggiunge, "l'obbligo di dover far fronte ai propri impegni debitori in euro o in altra valuta forte: e sarebbe difficile stimare nel nostro Paese a quale livello salirebbe il rapporto debito/Pil".

    Agli antieuro italiani, Squinzi ricorda che "le esportazioni italiane volano già, mentre la droga della svalutazione per competere è stata alla base di alcuni dei mali profondi della nostra economia". "Le imprese - avverte - non avrebbero nulla da guadagnare dalla fine dell'euro".

    Ciao, Franco

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    1. mi chiedi di commentare confindustria. ci vorrebbe ben altro che un commento. ad ogni modo, pur restando lontani chilometri, se fuori piove non si può negare che scende acqua dal cielo. gli appelli li dovevano fare prima, prima dell'euro.

      sono come i generali della prima guerra mondiale, tanto per stare in tema al post, che invitavano alla difesa della patria dopo caporetto. la difesa della patria la dovevano fare prima, prima della guerra, dicendo no alla guerra. ciao

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    2. Insomma, prevenire è meglio che curare.

      Grazie, Franco.

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  3. Cara Olympe, parli di una nuova tattica ma non dici quale, o io non l'ho capita?

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    1. infiltrazione di piccoli reparti (max livello compagnia), armati di armi automatiche e aggiramento delle linee. invece prima lo scontro avveniva in linea, con attacchi frontali massicci e dopo lunga preparazione d'artiglieria. ora fuoco batterie breve e lancio di gas. il gas basta respirarne una boccata e non c'è più niente da fare, era tremendo. i reparti hanno anche provato a resistere, ma quando sei accerchiato butti le armi e ti arrendi, specie in una condizione di prostrazione e di sfinimento dopo 26 mesi di trincea e di attacchi.

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  4. Anch'io mi associo all'interesse per questi post che ripercorrono alcune fasi della prima guerra mondiale e faccio i miei complimenti ad Olympe aspettando le prossime puntate....

    Aggiungo un tema in un post che titola sulle sconfitte: la sconfitta, appunto, della seconda Internazionale e dell'internazionalismo. Qui si parla degli errori, degli orrori e delle sottovalutazioni dei militari e della classe politica dell'epoca. Ma a proposito di orrori: cosa ha voluto dire votare i crediti di guerra per i partiti socialdemocratici e socialisti e la linea "né aderire né sabotare" dei socialisti italiani se non rinnegare uno degli elementi fondanti del movimento operaio dell'epoca cioè l'internazionalismo?

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  5. Ben fatto il post chiaro e preciso. Andrebbe ampliato nel senso che a Cadorna la ns. classe politica concesse nei fatti la direzione "politica" della guerra. Cadorna di suo fece molti danni, ma il partito dei cadorniani fortissimo nella stampa impedì di criticare i difetti e gli errori già palesi sia nel 1915 sia nel 1916.

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    1. è vero, ma sono molti gli argomenti che non ho toccato e che forse toccherò in un prossimo post. c'era ojetti, albertini e altri che lo sostenevano, quest'ultimo aveva una specie d'infatuazione. su cadorna avevo scritto, ma oggi lo riscriverei in modo diverso, anche questo:
      http://diciottobrumaio.blogspot.it/2010/11/cadorna-il-napoleone-de-noantri-1.html

      ecc. ecc.
      grazie del commento

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