mercoledì 9 aprile 2014

ll regno delle tenebre

“ne consegue che tutte le lotte nell’ambito dello Stato, la lotta fra democrazia, aristocrazia e monarchia, la lotta per il diritto di voto, ecc. ecc., altro non sono che le forme illusorie nelle quali vengono condotte le lotte reali delle diverse classi”.

*
C’è una scienza che fa del suo oggetto di studio una cosa incomprensibile perché se reso intellegibile nelle sue autentiche dinamiche diventa pericoloso per l’ordine sociale esistente. L’economia politica, in mano agli specialisti borghesi (senza esclusione alcuna), è il regno delle tenebre, tanto per dirla con Hobbes (parte IV del Leviatano), in cui tutto pende da leggi opposte a quelle che gli uomini sono in grado di conoscere nella realtà che abitano. In questo regno delle tenebre, la luce non è altro che buio, dove l’evidente diviene dubbio o falso, l’impossibile diviene credibile e il buon senso una guida infelice. L’economia in mano ad economisti e politicanti è un insulto continuo alla ragione umana.

Un semplice esempio:
è mai possibile voler produrre di più quando la produzione è già largamente in eccesso? È per creare occupazione, dicono. Perché, per lavorare tutti non basta lavorare ognuno di meno? È un vecchio e noioso discorso, lo so, ma non per questo è meno vero e attuale. E tuttavia obiettano gli economisti: i cinesi lavorerebbero comunque di più, rendendo più competitive le proprie merci. Perché, quando i cinesi mangiavano una ciotola di riso e vestivano alla maotzetung a noi cosa mancava? Insistono: il mercato s’è globalizzato! Un cazzo, l’avete globalizzato a questa maniera perché a voi la Cina e il Bangladesh servono per aumentare i profitti e diminuire i nostri salari. I componenti del computer con il quale sto scrivendo li pagate in yuan e li rivendete in dollari e euro, i 1.138 morti dell’aprile dell’anno scorso (di cui i giornali si sono dimenticati) producevano t-shirt per una nota multinazionale dell’abbigliamento (*).

Hanno mantenuto per secoli le barriere doganali e poi le hanno tolte in nome del libero mercato solo quando non facevano più i loro interessi. Le guerre dell’oppio ricordano qualcosa? La realpolitik ha sempre avuto la meglio sulle scelte di principio. Il governo degli Stati uniti ha abolito la schiavitù solo quando la manodopera nera non gli serviva più perché sostituita massicciamente con quella in arrivo dell’Europa, e ad opporsi gli Stati del Sud che non la potevano impiegare con gli stessi margini di profitto in sostituzione dei neri (vedi qui).

Non è cosa nuova questa strategia: a fondamento il profitto, il tornaconto, e di volta in volta la dottrina libertaria usata come paravento. Un paese non può dirsi libero e democratico quando sfrutta la schiavitù. Basta leggere uno dei tanti rapporti sulla tratta degli esseri umani, per esempio questo o quest’altro. E tuttavia la tratta e lo sfruttamento della schiavitù non possono essere ricondotti solo alle forme più eclatanti e crude, è altresì necessario stabilire che il capitalismo è già di per sé una forma di schiavitù (anzi, le riassume tutte), laddove il lavoratore per bisogno è sottoposto a condizioni di sfruttamento sistematico, e tale stato di cose è peggiorato con il processo di mondializzazione. Scriveva Marx:


“per trasformare il denaro in capitale il possessore del denaro deve trovare sul mercato delle merci il lavoratore libero, libero nella duplice accezione che usi, quale persona libera, la propria forza lavorativa come propria merce, e che d’altronde non debba vendere altre merci, che sia libero e spogliato, privo di tutte le cose che occorrono per poter realizzare la sua forza lavorativa”.

(*) I Benettòn.

5 commenti:

  1. Non sarà molto proficuo ripetere gli stessi complimenti, ma tali post sono veramente straordinari.

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    1. fa sempre piacere che qualcuno lusinghi la tua vanità. ciao caro.

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  2. Perdonami Olympe, ma non ho capito questo passo "E tuttavia obiettano gli economisti: i cinesi lavorerebbero comunque di più, rendendo più competitive le proprie merci. Perché, quando i cinesi mangiavano una ciotola di riso e vestivano alla maotzetung a noi cosa mancava?"
    Potresti spiegarmi in altre parole il raffronto tra la ciotola di riso e a noi cosa mancava?

    Scusami se ti sembra una domanda banale, ma io proprio non l'ho capito.

    Ciao da Franco

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    1. nel senso che ciò che ci serviva lo sapevamo produrre in proprio, senza bisogno dei cinesi

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    2. A volte ci si perde sulle cose semplici.

      Cio e grazie.

      Franco

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