martedì 29 aprile 2014

Il filo nero


Si chiamava anche lui Calvin, come il padre Coolidge, presidente Usa. Aveva 16 anni Calvin junior, e da qualche tempo lamentava una vescica al piede provocata dalle scarpe da tennis. Dapprima si manifestò un po’ di febbre, poi sempre peggio, infine morì di setticemia. Era il 1924, e gli antibiotici non esistevano. È molto difficile per noi, oggi, comprendere quali trasformazioni umane, sociali ed economiche ha comportato la scoperta e l’impiego degli antibiotici e dunque la sconfitta delle infezioni batteriche. Prima di allora la medicina non poteva far altro che fornire palliativi e lasciar fare alla natura. Essa non sapeva modificare il corso delle malattie, bastava a volte un nonnulla ed era finita.

In generale la medicina non può far nulla di per sé, i progressi decisivi sono venuti tutti dalla scienza e dalla sperimentazione, che cosa potrebbe fare il medico senza i farmaci e la tecnologia diagnostica e chirurgica? Salassi e clisteri. E però va notato che l’utilizzazione dei farmaci ha preceduto di gran lunga la conoscenza dei meccanismi che presiedono alla loro azione nell’organismo, tanto è vero che non di rado la loro scoperta avviene più o meno per caso, magari testando un colorante!



Prima della penicillina, per qualche lustro, i soli prodotti efficaci nella terapia delle malattie batteriche erano i sulfamidici (1932 sui topi, dal 1933 sulle persone). Anche nel corso del secondo conflitto la penicillina fu scarsa tra gli Alleati, e sconosciuta nei paesi dell’Asse. L’equipaggiamento del soldato statunitense comprendeva un sacchetto di sulfamide sterile e otto compresse di sulfadiazina. Una volta ferito il soldato aveva la consegna di spargere, se in grado, la polvere sulla piaga e d’ingerire le pastiglie a scopo preventivo. Già nel corso della guerra di Spagna il sulfamide fu impiegato direttamente sulle piaghe, anche se in definitiva questo modo di trattamento non sembra essere mai stato efficace.

La storia di come si è arrivati alla penicillina è troppo nota per essere ripetuta, e sarà sufficiente richiamare le prime ricerche di Fleming e poi i risultati ottenuti da Chain e da Florey. A Felming non venne in mente di iniettare su un topo malato il prodotto (cosa che fece Chain anni dopo), se l’avesse fatto l’umanità avrebbe avuto la penicillina dieci anni prima. A Oxford le prime prove su animali sono del 1940 e l’anno dopo la sperimentazione sull’uomo, nel 1943 la decifrazione della struttura chimica ad opera di Chain e Abraham, dal 1945 la produzione in termini di tonnellate.

Chiaro che un farmaco così rivoluzionario veniva ad avere, nel contesto della guerra fredda, un valore strategico ed economico enorme.

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Domenico Marotta (1886-1974), siciliano di Palermo, fu con Emanuele Paternò, nel 1919, tra i fondatori dell’Associazione italiana di chimica generale e applicata (oggi Società chimica italiana). Nel 1934 furono riuniti i laboratori (batteriologia, malariologia, fisica e chimica) della Direzione generale di sanità nell’inaugurato Istituto di sanità pubblica (ISP), del quale Marotta divenne l’anno successivo il direttore. L’Istituto fu dotato di uno dei pochi microscopi elettronici esistenti in Europa, il Simmens (confiscato nel 1944 dai tedeschi in ritirata), e, su richiesta dell’equipe di Fermi, fu approntato un acceleratore di particelle, il Cockroft-Walton (1 MeV), completato dopo la fuga di Fermi e alle soglie del conflitto.

Marotta, a seguito della formazione della RSI, riuscì a mantenere i laboratori dell’Istituto a Roma e, dopo la guerra, di rimanerne a capo.

L’ISP è l’antesignano dell’attuale Istituto superiore di sanità (ISS), il quale, nei decenni successivi al conflitto, divenne uno degli istituti finanziati dallo Stato che ha fornito un modello per la ricerca scientifica, combinando attività di sanità pubblica con ricerca pura e applicata, assumendo anche un ruolo importante, negli anni 1950 e 1960, come centro di formazione e di ricerca negli studi di biochimica, biofisica e biologia molecolare. Questo ha reso l'istituto uno dei motori dello sviluppo scientifico in Italia del dopoguerra (ricordo, peraltro, che il Ministero della sanità fu istituito solo nel 1958, prima d’allora era un organismo del Ministero degli interni).

L’ISP cominciò a interessarsi al "farmaco miracoloso”, alla penicillina, a partire dal 1944-1945. Nel luglio del 1944, nella rivista pubblicata dalla Scuola di Medicina dell'Università di Roma, Il Policlinico, veniva dato conto del nuovo farmaco prodotto industrialmente dagli americani, ossia il trattamento di penicillina per le infezioni da gonococco, riportando uno studio pubblicato sul Journal of American Medical Association nel mese di aprile 1944. Nel mese di agosto, il medico Giuseppe La Cava, dell'Università di Pisa, pubblicava una breve recensione del nuovo farmaco sulla base della documentazione fornita dal capo dei servizi sanitari pubblici del Governo militare alleato. Altri articoli seguirono e i primi studi condotti sulla muffa penicillium furono pubblicati nel 1945 sulla rivista scientifica dell'Istituto. Nel settembre dello stesso anno, Alexander Fleming visitava l'Istituto tenendovi delle conferenze. E tuttavia il farmaco era ancora cosa rara in Europa, prodotto solo negli Stati Uniti e in Canada.

Mentre Renato Dulbecco e Rita Levi emigravano verso istituzioni americane sicuramente più prestigiose e ricche, all’ISS arrivavano, per motivi diversi, Ernest Boris Chain, già premio Nobel (1945) per le scoperte sulla chimica della penicillina, e un altro scienziato prestigioso, Daniel Bovet, che sarà anch’egli insignito del Nobel nel 1957, il quale aveva lavorato a lungo all’Istituto Pasteur. Di Bovet, segnalo un pregevolissimo libro divulgativo, di rara chiarezza e di felicissima penna, dal titolo Vittoria sui microbi, edito nel 1991 da Bollati Boringhieri. Nell’introduzione egli ringrazia la lungimiranza di Domenico Marotta e la sua fede nella ricerca che gli ha consentito di continuare a lavorare nel campo degli antistaminici e in quello dei curari di sintesi.

E qui mi devo rifare, come accennato nel post precedente, all’articolo di Mauro Capocci pubblicato su Le Scienze di questo mese e che ha per oggetto le vicende della produzione italiana di penicillina e, di nuovo, l’incredibile vicenda di Domenico Marotta, con aspetti analoghi a quella di Felice Ippolito per quanto riguarda il nucleare, o, sotto altri aspetti, a quella dell’ingegnere Mario Tchu, dell’Olivetti, per quanto riguarda l’informatica italiana, per tacere del solito Enrico Mattei.

Anche a me i racconti di complotti danno soprattutto noia, e tuttavia i fatti restano. La storia d’Italia è punteggiata di inquisizioni, strani incidenti e morti sospette, un filo nero delle tante Caporetto subite e patite a causa della più sfacciata ignavia e del tradimento delle classi dirigenti, del loro servilismo, della liquidazione e svendita del nostro patrimonio. Della complicità della cosiddetta “grande stampa” e ora delle televisioni. Come potrà mai essere libera un’informazione se essa è proprietà di lobby affaristiche e se quella pubblica è controllata dai partiti politici?


Riprenderò l’argomento sulla vicenda “penicillina” in un prossimo post.

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